Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19109 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto nel procedimento a carico di:
BRAGIONE_SOCIALE.
, nata a Taranto il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/12/2023 emessa dal Tribunale di Taranto visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
COGNOME
letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO, difensore di RAGIONE_SOCIALE
, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto, invitava il pubblico ministero, ai sensi del novellato art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. a valutare la modifica dell’imputazione, segnalando l’opportunità di derubricare il reato di maltrattamenti in famiglia, contestato nella richiesta di rinvio a giudizio, in quello di atti persecutori.
A fronte del diniego della parte pubblica, il giudice emetteva l’ordinanza impugnata, con la quale disponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero, segnalando che la qualificazione giuridica non risultava conforme alla prospettazione in fatto, atteso che tra l’imputata e la persona offesa non vi erano rapporti di parafamiliarità, bensì un ordinario rapporto di lavoro.
Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica ha proposto un unico motivo, con il quale deduce l’abnormità dell’ordinanza adottata ex art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen.
2.1. Dopo aver dato atto che l’ordinanza in questione non è ordinariamente impugnabile con ricorso in Cassazione, il ricorrente evidenzia specifici profili di abnormità, sottolineando che nel procedimento in esame si era giunti alla formulazione della richiesta di rinvio a giudizio solo a seguito di un’iniziale richiesta di archiviazione formulata in relazione ai reati di cui agli artt. 572 e 323 cod. proc. pen.
Il giudice per le indagini preliminari accoglieva parzialmente la richiesta di archiviazione, ordinando l’imputazione coatta con riguardo al solo reato di maltrattamenti in famiglia.
Sostiene il Procuratore della Repubblica che l’azione penale, essendo stata esercitata in ottemperanza all’ordinanza di imputazione coatta, doveva ritenersi vincolante quanto alla qualificazione giuridica del fatto, il che impediva anche al giudice dell’udienza preliminare di sollecitare una diversa formulazione dell’imputazione.
Tale conclusione era ulteriormente motivata sul fatto che il quadro probatorio offerto al giudice per le indagini preliminari e a quello dell’udienza preliminare era sostanzialmente immutato, sicchè non poteva neppure desumersi l’esistenza di un fatto nuovo, idoneo a giustificare una diversa qualificazione.
Il ricorrente richiamava anche la giurisprudenza in tema di irretrattabilità dell’azione penale, in base alla quale il pubblico ministero non ha il potere riformulare l’imputazione.
A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, il regresso del procedimento alla
fase delle indagini preliminari implicava necessariamente la perdurante efficacia dell’ordinanza che disponeva l’imputazione coatta, sicchè il Pubblico ministero sarebbe stato costretto a formulare nuovamente la richiesta di rinvio a giudizio in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia, ovvero a rimanere inattivo.
Entrambe le soluzione, tuttavia, avrebbero determinato la stasi del procedimento, posto che ove pure si fosse reiterata la richiesta di rinvio a giudizio come indicato nell’ordinanza di imputazione coatta, ne sarebbe nuovamente conseguita la restituzione degli atti da parte del giudice per l’udienza preliminare.
3. Il ricorso è stato trattato con rito cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La questione che pone il ricorrente concerne la possibilità di attivare il meccanismo di controllo sulla correttezza dell’imputazione, introdotto all’art. 423 cod. proc. pen., nel caso in cui l’esercizio dell’azione penale sia frutto dell’imputazione coatta ordinata dal giudice in sede di rigetto della richiesta di archiviazione.
Si assume che in tal caso non potrebbe richiedersi al pubblico ministero di procedere ad una diversa qualificazione o descrizione del fatto, proprio perché la contestazione risulterebbe obbligata e necessariamente formulata sulla base dell’ordinanza adottata dal giudice per le indagini preliminari.
2.1. Si tratta di una soluzione non corretta, che non tiene conto della specificità del mezzo di controllo sull’imputazione introdotta all’art. 423 cod. proc. pen.
Occorre in primo luogo sgombrare il campo dal dubbio che il meccanismo previsto dall’art. 423 cod. proc. pen. possa collidere con il principio dell’irretrattabilità dell’azione penale.
Per COGNOME consolidata COGNOME giurisprudenza, COGNOME il COGNOME principio di irretrattabilità dell’azione penale priva il pubblico ministero che l’abbi esercitata, del potere di riformulare l’imputazione (eliminando uno dei reati in contestazione, una aggravante o derubricando il reato in una fattispecie diversa) sicché, ove una tale modifica sia intervenuta, essa è priva di qualunque effetto e non incide sul dovere del giudice di pronunciarsi sull’intera materia devolutagli (da ultimo Sez.5, n. 8998 del 24/2/2022, Barabino, Rv. 282861).
Si tratta di una regola che è stata erroneamente invocata in relazione al caso
in esame, posto che il principio di irretrattabilità presuppone l’iniziativa unilateral dell’organo dell’accusa, mentre non si applica a tutte quelle ipotesi in cui la modifica dell’imputazione consegue ad una decisione del giudice (Sez.2, n.18617 dell’8/2/2017, COGNOME, Rv. 269743; Sez.1, n. 8759 del 25/10/2022, Crea, Rv. 284212).
Sulla base di tali considerazioni, deve affermarsi il principio per cui la sola modifica unilaterale dell’accusa viola il principio di irretrattabilità dell’azio penale, mentre è sempre riconosciuto il potere del giudice di addivenire ad una diversa qualificazione giudica del fatto. Del resto, ove si applicasse il diverso principio sostenuto dal ricorrente, si giungerebbe alla sostanziale disapplicazione del novellato art. 423 cod. proc. pen., posto che l’avvenuto esercizio dell’azione risulterebbe sempre preclusivo di una diversa modulazione dell’imputazione.
2.2. Superato tale aspetto, la questione da affrontare concerne l’individuazione dei rapporti tra l’istituto dell’imputazione coatta e quello dell restituzione degli atti al pubblico ministero ex art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Il problema che si pone è duplice, dovendosi in primo luogo stabilire se il giudice dell’udienza preliminare possa o meno qualificare diversamente il fatto, pur in assenza dell’acquisizione di elementi fattuali nuovi.
Il secondo attiene alle conseguenze che la restituzione degli atti determina e, cioè, se il pubblico ministero rimane o meno vincolato alla qualificazione giuridica data con l’ordinanza con la quale si è disposta l’imputazione coatta.
In relazione al primo aspetto, deve ritenersi che il potere riconosciuto dall’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. non può ritenersi in alcun modo limitato dalla precedente decisione adottata, in diversa fase procedimentale, da parte di un giudice cui non compete espressamente la pronuncia circa l’esatta qualificazione del reato, quanto piuttosto il controllo sulla richiesta di archiviazione.
Il giudice dell’udienza preliminare è onerato di una valutazione di merito circa la corretta qualificazione giuridica del fatto, dovendo emettere il decreto di rinvio a giudizio con riguardo alla fattispecie che ritiene effettivamente configurabile nel caso di specie.
Quanto detto comporta che la sua decisione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto è necessariamente destinata a prevalere ed assorbire quella precedentemente resa in merito all’imputazione coatta.
In buona sostanza, la sequenza procedimentale prevede una fase di controllo sull’archiviazione incentrata essenzialmente sulla scelta di procedere o meno nei confronti dell’indagato, nell’ambito della quale l’esatta qualificazione giuridica del fatto è un aspetto sostanzialmente recessivo, posto che il controllo su tale dato è
funzionalmente rimesso alle successive fasi di merito.
È pur vero che la giurisprudenza riconosce al giudice per le indagini preliminare il potere di ordinare l’imputazione coatta per il fatto di reato oggetto dell’originaria iscrizione, qualificando diversamente la fattispecie individuata nella richiesta di archiviazione (di recente Sez.5, n. 24616 del 16/3/2021, Di Cillo, Rv. 281441). Tuttavia, deve ritenersi che la qualificazione recepita nel disporre l’imputazione coatta – e quindi anche l’omessa diversa qualificazione – non può ritenersi in alcun modo vincolante per i giudici chiamati a pronunciarsi nelle fasi successive, posto che il potere di qualificare giuridicamente il fatto costituisce una prerogativa del giudice che connota tutti i diversi segmenti processuali, senza che, al di fuori del sistema delle impugnazioni, sia possibile ipotizzare una stabilizzazione della qualificazione che risulti vincolante per il giudice chiamato, sia pur in via non definitiva, a pronunciarsi successivamente.
In conclusione, deve affermarsi che la qualificazione recepita nell’ordinanza che dispone l’imputazione coatta non vincola in alcun modo il giudice dell’udienza preliminare il quale, pertanto, può legittimamente esercitare il potere previsto dal novellato art. 423, comma 1-bis, cod. proc. peri. sollecitando la modifica del capo di imputazione e, in caso di mancato recepinnento, disponendo la restituzione degli atti.
2.3. Una volta risolto positivamente il quesito in ordire alla legittimità dell’ordinanza di restituzione degli atti ex art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., L/ anche nel caso in cui si sia proceduti) sulla base dell’imputazione coatta, ne consegue l’agevole soluzione dell’ulteriore dubbio sollevato dal ricorrente, circa la perdurante vincolatività dell’ordinanza che disponeva l’esercizio dell’azione penale.
Erra il ricorrente nel ritenere che, per effetto della restituzione degli atti pubblico ministero e della conseguente regressione alla fase delle indagini preliminari, l’organo dell’accusa non avrebbe alcuna alternativa se non formulare nuovamente la medesima imputazione in precedenza ordinata dal giudice per le indagini preliminari, posto che l’ordinanza ex art. 409, comma 5, cod. proc. pen., non ha perso efficacia.
Si tratta di una soluzione che non è condivisibile, posto che l’ordinanza ex art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. non produce il mero effetto di determinare la regressione del procedimento, bensì obbliga anche il pubblico ministero ad adeguarsi alle indicazioni in essa contenuta e, quindi, a rinnovare l’esercizio dell’azione penale in conformità a quanto indicato dal giudice dell’udienza preliminare.
A seguito della regressione, pertanto, l’unico vincolo per il pubblico ministero è costituito dall’ordinanza ex art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., mentre la
precedente ordinanza che disponeva l’imputazione coatta ha definitivamente prodotto il suo effetto a seguito del primo esercizio dell’azione penale e, quindi, l’organo dell’accusa non è più tenuto al suo rispetto.
2.4. La correttezza della soluzione sopra indicata non è inficiata dall’astratta possibilità che il giudice dell’udienza preliminari emetta il decreto di rinvio a giudizio modificando la qualificazione del fatto.
Prima dell’introduzione dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., la giurisprudenza aveva affermato che non incorre in abnormità, sotto il duplice profilo strutturale e funzionale, né in eccesso di potere il decreto con cui il giudice per l’udienza preliminare dispone il giudizio modificando la qualificazione giuridica del fatto posta dal pubblico ministero nella propria richiesta, atteso che lo ius variandi in punto di diritto è potere tipico attribuito al giudice in ogni fase e grado del procedimento (Sez.6, n. 28262 del 10/5/2017, Tosi, Rv. 270521; Sez.6, n. 3658 del 16/11/1998; COGNOME, Rv. 212688; Sez. 3, n. 51424 del 18/9/2014, Longhi, Rv. 261398).
Tuttavia, a seguito dell’introduzione di uno specifico rimedio processuale, volto ad evitare difformità tra l’imputazione (sia in relazione alla descrizione del fatto che alla qualificazione giuridica) indicata nella richiesta di rinvio a giudizi rispetto a quella contenuta nel decreto di rinvio a giudizio, deve ritenersi che il nuovo istituto prevalga sulla soluzione giurisprudenziale in precedenza individuata.
A tale conclusione si giunge anche valorizzando un ulteriore elemento e, cioè, quello concernente la necessità di garantire la corretta instaurazione del giudizio fin dall’udienza preliminare, con riguardo alla qualificazione del fatto corretta ritenuta dal giudice.
Si tratta, a ben vedere, di un’esigenza che è strettamente collegata anche al corretto esplicarsi del diritto di difesa, dovendosi ritenere che ove il giudice ritenga la configurabilità di un reato diverso e, come nel caso in esame, meno grave rispetto a quello contestato nella iniziale imputazione, si consente all’imputato di compiere scelte processuali potenzialmente alternative, eventualmente accedendo a riti deflattivi.
In definitiva, l’esigenza di garantire la correttezza della qualificazione giuridica risponde ad un’esigenza che permea il procedimento già nella fase dell’udienza preliminare, sicchè il controllo sulla tale aspetto non può essere demandato esclusivamente alla successiva fase dibattimentale.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Rigetta il ricorso. Così deciso il 26 marzo 2024 Il Consigliere estensore
La Presidente