Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2730 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2730 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bergamo il 17/03/1962
avverso l’ordinanza emessa in data 03/06/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo ha disposto che il Pubblico Ministero formuli l’imputazione nel termine di legge per il delitto di peculato con riguardo all’appropriazione da parte di NOME COGNOME del nastro di archiviazione (NAS), di una macchina
fotografica e di un distanziometro laser del comune di Carobbio degli Angeli.
L’avvocato NOME COGNOME ricorre avverso questa ordinanza e, deducendone l’abnormità, ne chiede l’annullamento.
Il difensore premette che il pubblico ministero del Tribunale di Bergamo ha richiesto l’archiviazione della notitia criminis iscritta nei confronti di COGNOME in relazione alla condotta di appropriazione di alcuni beni, poste in essere nella sua qualità di geometra alle dipendenze dell’ufficio tecnico del Comune di Carobbio degli Angeli.
Il Giudice per le indagini preliminari – a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla parte offesa – avrebbe, tuttavia, erroneamente fissato la camera di consiglio e disposto l’imputazione coatta per il reato di cui all’art. 314 cod. pen. per condotte di sottrazione diverse da quelle indicate dal pubblico ministero nell’imputazione delineata nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il difensore denuncia, quindi, l’abnormità di tale atto, rilevando che il giudice per le indagini preliminari può imporre l’esercizio dell’azione penale solo limitatamente al perimetro di iscrizione indicato dal pubblico ministero e nel caso di specie l’imputazione coatta aveva ad oggetto condotte appropriative diverse da quelle indicate nell’avviso di conclusione delle indagini e per le quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione.
Ad avviso del difensore, dunque, il difensore avrebbe dovuto disporre la restituzione degli atti, ordinando l’iscrizione nel registro degli indagati di COGNOME per le differenti sottrazioni; solo successivamente il pubblico ministero avrebbe potuto valutare se chiedere nuovamente l’archiviazione ovvero esercitare l’azione penale.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 7 novembre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che, in materia di procedimento di archiviazione, costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, sia l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione (Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014. L.,
Rv. 257786 – 01, la Suprema Corte ha precisato che, nelle suddette ipotesi, il giudice per le indagini preliminari deve limitarsi ad ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.).
Secondo le Sezioni unite, dunque, i poteri di controllo attribuiti al giudice per le indagini preliminari sulla notitia criminis in sede di archiviazione non possono esorbitare il perimetro dell’iscrizione della notizia di reato nel registro operata dal pubblico ministero procedente.
Il Giudice per le indagini preliminari ha fatto corretta applicazione di questi principi nell’ordinanza impugnata.
Dall’esame diretto degli atti processuali (ammesso in sede di legittimità quando è censurata una violazione della legge processuale, ex plurimis: Sez. U, n. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 229092), risulta che il sindaco di Carobbio degli Angeli in data 6 aprile 2021 ha depositato presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bergamo una denuncia-querela nei confronti di NOME COGNOME responsabile del settore tecnico sino al 25 marzo 2020, per la sottrazione di numerosi beni di proprietà di beni del comune (e, segnatamente, di un NAS di archiviazione dei documenti, di una macchina fotografica e di un distanziometro laser).
Il Pubblico Ministero ha iscritto COGNOME nel registro degli indagati per la commissione del delitto di peculato («art. 314 cod. pen., accertato in epoca successiva o prossima al 24 marzo 2021») e ha disposto la perquisizione presso il domicilio della persona sottoposta a indagini, che, in quella sede, ha dichiarato di aver buttato i beni ricercati in discarica, in quanto obsoleti.
La perquisizione eseguita ha, peraltro, condotto al rinvenimento presso l’abitazione dell’indagato di documenti e di timbri originali del Comune.
Il pubblico ministero, nell’imputazione provvisoria delineata nell’avviso delle indagini preliminari emesso in data 20 settembre 2021, ha contestato a COGNOME il reato di peculato, in quanto, in qualità di pubblico ufficiale, si sarebbe appropriato di «documenti e beni» di proprietà del Comune, detenendoli presso la propria abitazione e ha, di seguito, richiesto l’archiviazione del procedimento.
Il Giudice per le indagini preliminari, con l’ordinanza impugnata, ha, dunque, esercitato legittimamente il potere di rigettare la richiesta di archiviazione e di disporre l’imputazione cotta, rilevando che la sottrazione dei beni del Comune è stata confessata dall’indagato.
L’ordine di imputazione, dunque, non è abnorme, in quanto si iscrive proprio nel perimetro fattuale denunciato dalla parte offesa, recepito nell’iscrizione nel registro degli indagati («art. 314 cod. pen., accertato in epoca successiva o prossima la 24 marzo 2021»).
Il limite ai poteri riconosciuti dall’art. 409, comma 5, cod. proc. pen. al
giudice per le indagini preliminari in sede di esame della richiesta di archiviazione, del resto, è costituito dall’iscrizione nel registro degli indagati e non già della formulazione dell’imputazione provvisoria delineata nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Non è abnorme, e pertanto non è ricorribile per cassazione, l’ordinanza con la quale il Gip, all’esito dell’udienza camerale fissata sull’opposizione della persona offesa per il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione del P.M., ordini l’imputazione coatta della persona sottoposta a indagini per condotte ricomprese nel perimetro dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato, anche se non considerate nell’imputazione provvisoria delineata nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in quanto si tratta pur sempre di una decisione che rientra nei poteri di controllo a lui devoluti dalla legge sull’intera notitia criminis.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma
1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorsosiano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2024.