Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 32768 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 32768 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Data Udienza: 17/09/2025
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMECOGNOMECOGNOMENOMEXX
avverso la sentenza del 11/11/2024 della Corte d’assise d’appello di RAGIONE_SOCIALE Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; uditi:
il Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
il difensore RAGIONE_SOCIALE parti civili COGNOMEX e COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
l difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, anche quale sostituto processuale della parte civile RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, anche quale sostituto processuale della parte civile RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
il difensore della parte civile COGNOMEXXXXX, sorella della vittima, anche quale erede di COGNOMEXX, madre della vittima, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza dell’11 novembre 2024 la Corte di assise di appello di RAGIONE_SOCIALE ha confermato la condanna all’ergastolo pronunciata, in rito ordinario, dalla Corte di assise di RAGIONE_SOCIALE il 12 febbraio 2024 nei confronti di COGNOMEXXXX per l’omicidio, aggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti e futili, e dall’essere avvenuto nei confronti della persona offesa del reato di atti persecutori, commesso in danno di
COGNOMEXXXXXXX, fatto avvenuto il 24 agosto 2022.
In particolare, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, l’imputato, che aveva avuto una relazione sentimentale con la vittima, interrotta per volontà di quest’ultima, la sera del 23 agosto si era appostato sotto l’abitazione della vittima, aveva aspettato che questa
arrivasse, e, dopo una breve animata conversazione che aveva attirato l’attenzione di alcuni condomini, l’aveva colpita ripetutamente al volto e alla testa con calci, pugni, con un martello, che si era staccato dal manico durante l’azione, e con una panchina di ferro rinvenuta sul posto, continuando a colpire anche quando la vittima era rimasta esanime e priva di coscienza. Intervenuti i sanitari del servizio di emergenza del 118, essi avevano trovato la vittima in stato di arresto cardiaco; trasportata in ospedale, la vittima era morta dopo circa due ore a seguito di un ulteriore arresto cardiaco conseguenza RAGIONE_SOCIALE lesioni riportate.
Nel processo il fatto materiale era stato considerato pacifico, così come la responsabilità dell’imputato per esso, atteso che l’aggressione era stata sentita, e vista, da vicini di casa della vittima che avevano chiamato le forze di polizia, e che l’imputato era rimasto sulla scena del crimine, ed era stato arrestato in flagranza.
Il processo si era concentrato, pertanto, sulla esistenza o meno della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, in quanto nel corso della indagine, e poi del giudizio, erano emersi il carattere ossessivo-maniacale RAGIONE_SOCIALE forme di controllo che l’imputato aveva attuato nei confronti della partner durante la loro relazione, e dopo la fine di essa, ed il sentimento di frustrazione e rancore che l’imputato aveva maturato per la decisione della RAGIONE_SOCIALE di interrompere la relazione.
L’incarico peritale di accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto era stato affidato ad un collegio di due periti, che avevano avuto difficoltà a portare a termine il programma RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali che avevano pianificato, in quanto l’imputato aveva inveito contro i periti nel primo colloquio accusandoli di ordire un complotto ai suoi danni, ed aveva rifiutato di effettuare la risonanza magnetica alla testa il giorno che era stato fissato per tale incombente. Le operazioni peritali erano, comunque, proseguite poi con la somministrazione dei test cognitivi e con il prelievo di un campione salivare per il test del DNA, nonchØ con la somministrazione al periziando del test MMPI-2 ( Minnesota multiphasic personality inventory ), con colloqui peritali con lo stesso, con l’acquisizione dei documenti relativi al test della DES-II ( Dissociative experience scale ), alla Structural clinical interview-II for DSM-IV , al test RAGIONE_SOCIALE matrici progressive di Raven, allo Structured inventory of malingered symptomatology effettuati dal servizio psichiatrico della casa circondariale . I periti avevano poi completato il lavoro di analisi somministrando all’imputato il Personality assessment inventory, lo Stop signal task, il test dei 15 items di NOME .
Questo numero così elevato di esami, interviste e test sulla personalità si era reso necessario, perchØ sia nel corso degli esami effettuati dai periti sia in quelli effettuati dai medici del reparto osservazione psichiatrica di Piacenza era emersa una certa tendenza dell’imputato a simulare, consapevolmente o no, l’esistenza dei propri disturbi ed a alterare volutamente le risposte date ai test. Il tipo di risposte che l’imputato aveva dato ai test escludevano, infatti, che esse potessero essere veritiere, perchØ davano come esito sintomi neurologici impossibili e sintomi psichiatrici estremamente rari in pazienti con reali disturbi cognitivi.
Anche i medici del reparto di osservazione psichiatrica del carcere, che pure avevano concluso per l’esistenza nell’imputato di un disturbo di personalità di tipo misto con tratti di disturbo delirante cronico e tratti di disfunzionamento sociale, relazionale ed emotivo, avevano ritenuto che il paziente fosse un possibile simulatore dato l’elevato numero di sintomi atipici, improbabili o incoerenti che risultavano dalle risposte date ai test.
L’esame del DNA aveva, invece, consentito di apprendere, che l’imputato presentava
un genotipo omozigote COGNOME per il polimorfismo CODICE_FISCALE, che nella letteratura scientifica Ł stato messo in relazione con una maggiore predisposizione della presenza al comportamento antisociale violento ed impulsivo quando la stessa Ł in presenza di condizioni ambientali stressanti.
All’esito di tutto questo percorso di analisi, colloqui ed esami, le conclusioni dei periti erano state nel senso che non vi fosse alcuna evidenza della presenza nell’imputato di qualsivoglia psicopatologia nelle vicinanze temporali del momento di commissione dell’omicidio, e che l’aggressione fosse la conseguenza non di un impulso incontrollabile ma di una decisione pianificata; i periti avevano rilevato anche che i sintomi psichiatrici denunciati dall’imputato erano emersi soltanto dopo diversi mesi dall’omicidio ed avevano anticipato la strategia difensiva basata sul vizio di mente.
Le conclusioni dei periti erano state, pertanto, nel senso che l’imputato, al momento della commissione dell’omicidio, fosse provvisto sia della capacità di intendere l’azione che stava commettendo, sia di quella di volerla, perchØ era una persona in grado di trattenere l’impulso aggressivo, impulso che aveva, in effetti, trattenuto in alcuni momenti dell’azione criminosa (ed, in particolare, nella fase iniziale quando non aveva aggredito la vittima a mani nude ma aveva preferito recuperare il martello che aveva nascosto a pochi passi di distanza, e nella fase finale quando aveva colloquiato con i vicini di casa che erano intervenuti a bloccare l’aggressione) dimostrando, in concreto, di essere in pieno controllo di sŁ.
Secondo i periti, la presenza di polimorfismi genetici che aumentano, in genere, la predisposizione all’aggressività non avrebbe avuto nel caso in esame alcuna rilevanza causale, ma avrebbe rappresentato soltanto un fattore di aumento probabilistico del rischio che, però, non aveva scemato la capacità dell’imputato di autodeterminarsi.
I giudici sia di primo che di secondo grado avevano concluso, pertanto, per la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, in conformità alle valutazioni dei periti, che erano stati anche ascoltati in udienza nel contraddittorio RAGIONE_SOCIALE parti.
I giudici di secondo grado avevano ritenuto completa l’istruttoria sulla imputabilità e respinto le richieste di un supplemento istruttorio presentate in grado di appello dalla difesa dell’imputato.
Ne era conseguita, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’imputato per il fatto così come descritto in imputazione, aggravato dalla premeditazione, che era stata individuata in diversi comportamenti tenuti dall’imputato nei giorni precedenti al delitto (diverse ricerche internet effettuate su come commettere un omicidio; una nota salvata sul proprio telefono in cui aveva appuntato di portare con sØ nastro isolante, martello, corda, ‘meglio, manette’, e di scrivere una chat inventata sul telefono per far apparire che lei gli avesse chiesto di portare le manette; un messaggio di commiato inviato a sua madre; una ricerca internet di un volo Ryanair per ‘l’Africa’), dai futili motivi, che erano stati individuati nella gelosia e nel desiderio di controllo e dominio sulla partner , e dall’essere stato commesso il fatto nei confronti della vittima di atti persecutori, aggravante conseguenza degli episodi pregressi di molestie e minacce che l’imputato già aveva perpetrato in danno della NOMEX.
Sia in primo che in secondo grado l’imputato era stato ritenuto non meritevole della concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche.
Ne era conseguita la condanna all’ergastolo già descritta all’inizio, con le conseguenti statuizioni civili, confermata in grado di appello dalla sentenza della Corte di assise di appello di RAGIONE_SOCIALE.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del
difensore, con i seguenti motivi descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso principale
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe motivato sulla richiesta della difesa dell’imputato di ‘ultimazione’ della perizia disposta in primo grado sulla imputabilità dell’autore del reato; la perizia era incompleta perchØ gli stessi periti si erano ripromessi di effettuare esami che poi non hanno realizzato; gli esami eseguiti avevano dato un risultato incoerente con le conclusioni finali dei periti perchØ dagli esami genetici era emerso che l’imputato era portatore di varianti alleliche che sono associate ad aggressività, ansia e disturbo ossessivo compulsivo.
Con il secondo motivo deduce mancata assunzione di prova decisiva, consistente nell’audizione in giudizio del referente del reparto osservazione psichiatrica di Piacenza, eventualmente a confronto con i periti; la referente medica del carcere aveva, infatti, redatto una diagnosi in cui riteneva l’imputato un paziente psichiatrico molto grave, la sua audizione avrebbe potuto recare un contributo alla conoscenza.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto provata l’imputabilità dell’autore del reato al momento del fatto, in quanto i giudici del merito si sono adagiati sulle conclusioni dei periti senza considerare che sia il consulente del pubblico ministero che quelli della difesa nonchØ i medici del carcere avevano ritenuto l’esistenza nell’imputato di un disturbo della personalità; la sentenza impugnata ha, inoltre, omesso di considerare la familiarità specifica riscontrata nella nonna materna dell’imputato con il disturbo diagnosticato, nonchŁ la predisposizione genetica marcata dell’imputato verso quel tipo di patologia; la sentenza, inoltre, non ha approfondito la rilevanza agli effetti penali, ed, in particolare, sulla capacità di intendere e di volere, del grave turbamento in cui l’imputato ha commesso il crimine alla luce del nuovo testo dell’art. 55 cod. pen.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’art. 576, comma 1, n.5.1. cod. pen., in quanto, ferma la materialità degli atti persecutori compiuti dall’imputato, di tale reato manca, però, l’elemento soggettivo, che Ł rilevante agli effetti di cui all’art. 59 cod. pen., in quanto la coscienza e volontà del persecutore deve comprendere anche la consapevolezza della rilevanza causale dei propri comportamenti rispetto agli eventi di danno nella vita del partner previsti dalla norma dell’art. 612-bis cod. pen., e la alternanza di sensazioni emotive all’interno della coppia, le manifestazioni esteriori reciproche di interesse e di affetto avvenute anche pochissimi giorni prima dell’omicidio non consentono di avere certezze sul fatto che il ricorrente avesse compreso adeguatamente le ricadute dei suoi comportamenti sulla vita della vittima.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’art. 577, comma 1, n. 3, cod. pen. in quanto in senso contrario alla esistenza della premeditazione depongono la circostanza che l’imputato, che non si Ł sottratto all’arresto, ancora quattro giorni prima dell’omicidio avesse chiesto di partecipare ad una trasmissione televisiva, ancora due giorni prima avesse chiesto all’allenatore di poter giocare la gara successiva di campionato, ancora il giorno prima avesse chiesto al proprio agente di potersi trasferire in altra RAGIONE_SOCIALE, ancora nei giorni dell’omicidio avesse prenotato l’albergo in cui stare con la ex partner , e sempre in quei giorni avesse preso appuntamenti su EMAIL con altre RAGIONE_SOCIALE, i programmi che aveva preso per i primi di settembre erano, pertanto, incompatibili con una determinazione ad uccidere che contenesse quella irrevocabilità della decisione che deve caratterizzare il reato
premeditato ed inducono a ritenere che si sia in presenza di un dolo condizionato.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’art. 577, comma 1, n. 4, cod. pen., in quanto nella pronuncia di appello i futili motivi sono stati ritenuti consistere nella gelosia possessiva, che, però, Ł un atteggiamento soggettivo multiforme, ed inidoneo, per giurisprudenza consolidata, a reggere una aggravante, perchØ esso può avere anche una efficacia scriminante, in quanto manifestazione di un grave turbamento emotivo nel significato dell’art. 55 cod. pen.
Con il settimo motivo deduce violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere concesse all’imputato per l’impulsività dell’azione – quello RAGIONE_SOCIALE circostanze Ł, infatti, il livello minimo di riconoscimento dei meccanismi tra cognizione ed emozione – per la giovane età dell’imputato, per il suo difficile rapporto con il padre, e per il contegno tenuto successivamente al reato, sia perchØ egli non ha inteso sfuggire alla cattura, sia perchØ nel processo egli ha consentito ad acquisire tutto il fascicolo del pubblico ministero.
2.2. Motivi aggiunti
Con riferimento al primo motivo del ricorso principale, il ricorso deduce ulteriormente che l’incompletezza della perizia emerge anche dalle ulteriori relazioni sanitare della casa circondariale depositate nelle more e dagli esiti degli esami cui il ricorrente Ł stato sottoposto, nonchØ dagli scritti scientifici degli stessi periti.
Con riferimento al quarto motivo del ricorso principale, il ricorso deduce ancora che quello di atti persecutori Ł un reato di evento e l’evento della condotta deve essere conosciuto dall’agente, per cui l’alternanza di sensazioni emotive nel rapporto tra i due partner impone di verificare se il ricorrente potesse aver percepito che la vittima si sentiva perseguitata dai suoi comportamenti.
Con riferimento al quinto motivo del ricorso principale, il ricorso deduce ancora che la sentenza di appello resta vaga sui motivi dell’azione, ovvero se essi consistano nella gelosia dell’imputato o nel suo desiderio di vendetta, e questa vaghezza incide sulla possibilità di ritenere integrata l’aggravante, non riuscendosi a questo punto ad individuare quale sia stato in concreto il moto interiore che ha generato l’azione.
Con riferimento al sesto motivo del ricorso principale, il ricorso deduce anche che la sentenza di appello ha confuso premeditazione con preordinazione, e che l’atteggiamento bonario con cui il ricorrente approcciò la vittima la sera del delitto, descritto dai testimoni, sarebbe incompatibile con la premeditazione e farebbe pensare piø ad un dolo condizionato.
Con riferimento al settimo motivo del ricorso principale, il ricorso deduce anche che Ł stato ingiustamente svalutato lo stato emotivo in cui l’agente ha colpito la vittima.
La difesa dell’imputato ha chiesto la discussione orale, per cui la procedura Ł proseguita con il rito previsto dall’art. 611, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.
Con nota del 14 settembre 2025 la difesa dell’imputato ha anche depositato letteratura giuridica sugli argomenti su cui intendeva impostare la discussione orale in udienza.
Le parti civili COGNOME, nipote della vittima, e NOME, anche lui nipote della vittima, hanno depositato nota di conclusioni scritte.
Anche la parte civile RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha depositato nota di conclusioni scritte.
La discussione orale del ricorso Ł avvenuta nell’udienza pubblica del 17 settembre 2025.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore RAGIONE_SOCIALE parti civili COGNOMEX e COGNOME, AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, anche quale sostituto processuale della parte civile RAGIONE_SOCIALE, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, anche quale sostituto processuale della parte civile RAGIONE_SOCIALE, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore della parte civile COGNOMEXXXXX, sorella della vittima, anche quale erede di COGNOMEXX, madre della vittima, AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso Ł infondato.
Il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo aggiunto contestano, sotto il profilo dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la motivazione con cui la Corte di appello ha respinto la richiesta della difesa dell’imputato di ‘ultimazione’ della perizia mediante effettuazione della risonanza magnetica al cervello, di un colloquio con il periziando, e di alcuni test che gli stessi periti avevano in un primo momento ritenuto di svolgere, e cui poi avevano deciso di rinunciare.
La modifica del programma RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali era avvenuta per le ragioni che sono indicate nella sentenza di primo grado, ovvero che era stato il periziando a rifiutarsi di collaborare, ma il ricorso evidenzia che la stanchezza del periziando lo aveva portato al rifiuto di sottoporsi al colloquio, ed un fraintendimento sul programma dei lavori lo aveva portato a rifiutare la risonanza magnetica, ma entrambi questi rifiuti erano stati soltanto temporanei.
La richiesta di procedere a questi accertamenti peritali supplementari era stata presentata in appello dalla difesa dell’imputato, che l’aveva supportata anche con la produzione dell’esito di una risonanza magnetica effettuata privatamente che aveva evidenziato l’esistenza di una cisti nella corteccia cerebrale dell’imputato.
A fronte di questa istanza presentata in secondo grado, il giudice di appello aveva ritenuto non utile l’effettuazione di questo approfondimento istruttorio sulla capacità di intendere e di volere, ritenendo esaurienti gli accertamenti peritali del primo grado, ed evidenziando che i test effettuati dai periti erano sufficienti, che la conformazione del cervello non avrebbe alcuna influenza sulla capacità psichica di un soggetto, e che alla base non Ł stato trovato nell’imputato alcun disturbo catalogabile nel manuale DSM.
Il ricorso contesta questa motivazione deducendo che il giudice di appello non avrebbe dato una risposta sulla circostanza che erano stati gli stessi periti in un primo momento a ritenere necessari quegli accertamenti, e che il giudice di appello si sarebbe di fatto sostituito ai periti nella decisione, in violazione della regola giurisprudenziale secondo cui nella decisione su una questione scientifica il ruolo del giudice Ł soltanto quello di garante del corretto metodo di acquisizione della prova.
L’argomento Ł infondato.
Il ricorso aggredisce una decisione presa su una istanza di integrazione istruttoria presentata al giudice di appello, e la integrazione istruttoria davanti al giudice di appello Ł possibile nel sistema processuale soltanto se il giudice ‘ritiene di non essere in grado di
decidere allo stato degli atti’, secondo la formula dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen.
La rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale rappresenta, infatti, un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorchØ il giudice di appello non sia in grado di decidere sulla base del solo materiale probatorio a sua disposizione all’esito del processo di primo grado.
Pertanto, dinanzi a una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, fondata, come nel caso in esame, sull’indicazione di prova preesistente al giudizio di appello, ma non ancora acquisita, al giudice Ł attribuito, ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., un potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della “non decidibilità allo stato degli atti”, potere che Ł temperato dal dovere di esplicitare le ragioni della scelta operata senza incorrere in vizi di manifesta illogicità (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 203974; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233391).
La deduzione contenuta nel ricorso secondo cui il giudice di appello non aveva le competenze per stabilire se la risonanza magnetica o il colloquio con l’imputato fossero esami utili, o non utili, allo scopo di decidere sulla capacità di intendere e di volere dell’autore del reato al momento del fatto, pertanto, pur corretta in sØ, non Ł conferente con il tipo di decisione che era chiamato a prendere il giudice d’appello sulla istanza di integrazione istruttoria, che non era stabilire se tali esami fossero utili, ma stabilire se il materiale consegnatogli dal processo di primo grado fosse sufficiente o meno per decidere sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto; solo in caso di risposta negativa, infatti, il giudice del merito avrebbe poi dovuto valutare se gli accertamenti supplementari chiesti dalla difesa dell’imputato fossero sufficienti a superare quel deficit di conoscenze consegnategli dal processo di primo grado.
Per sostenere la deduzione di incompletezza della perizia di primo grado, il ricorso si affida, in definitiva, alla stessa valutazione dei periti che, in un primo momento, avevano ritenuto di effettuare alcuni esami, cui poi hanno rinunciato per la resistenza del periziando, ma il programma originario di lavoro dei periti non Ł un parametro di valutazione della sufficienza o meno del materiale probatorio raccolto nel processo di primo grado, perchØ nel sistema processuale non esiste alcun metodo legale obbligato per l’accertamento della imputabilità ed ogni tipo di indagine ‘rappresenta solo uno dei diversi metodi scientifici di indagine psicologica’ (Sez. 3, n. 23202 del 05/04/2018, V., Rv. 273152 – 01; Sez. 3, n. 48571 del 26/04/2016, S., Rv. 268187 – 01); la scelta del tipo di esami attraverso cui giungere alle conclusioni che verranno rassegnate al giudice Ł, infatti, affidata alla competenza dell’esperto che dovrà rispondere al giudice e alle parti del loro grado di scientificità ( Sez. 3, n. 8058 del 23/10/2024, dep. 2025, D., n.m.).
Pertanto, lo stesso programma originario RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali steso in un primo momento dai periti non era altro che uno dei diversi percorsi attraverso cui giungere all’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, percorso che non in modo irragionevole può sempre essere modificato in corso d’opera non solo, come nel caso in esame, per le resistenze dell’imputato a sottoporsi ad esame, ma anche per la eventuale raccolta nel corso dell’indagine di elementi di giudizio che rendono non piø necessario procedere ancora come si era deciso in primo momento, e, nel caso in esame, rilevano in tal senso soprattutto la scoperta, attraverso la somministrazione di diversi test per la personalità, che l’imputato alterava, consapevolmente o meno, le risposte ai test
che gli venivano somministrati cercando di far apparire una condizione patologica di cui non era portatore e perdendo, però, in questo modo il controllo della congruenza logica RAGIONE_SOCIALE risposte.
Deve, quindi, affermarsi che la modifica del programma RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali nella indagine non Ł, di per sØ, se non accompagnata da una allegazione sulla decisività sul piano scientifico degli esami omessi, un indice di anomalia che rende manifestamente illogica la decisione del giudice di appello di ritenere completa la istruttoria effettuata in primo grado sulla capacità di intendere e di volere e di non disporre accertamenti supplementari sul punto.
Dalla lettura della sentenza impugnata e del ricorso una allegazione di questo tipo sulla decisività scientifica degli esami che non sono stati compiuti manca del tutto. Lo scritto scientifico di uno dei periti, citato nel ricorso ed allegato ai motivi aggiunti, non conforta, infatti, in alcun modo la tesi della necessita della risonanza magnetica al cervello per accertare la capacità di intendere e di volere; al contrario, lo scritto Ł molto cauto sulla possibilità di trarre elementi decisivi, sulla imputabilità, dalle moderne metodiche di esplorazione funzionale del cervello, ed, in particolare, dall’esame della corteccia prefrontale, come Ł molto cauto sulla possibilità di poter dedurre dai geni la capacità di intendere e di volere di un individuo; nello scritto scientifico si sostiene, al contrario, che allo stato attuale RAGIONE_SOCIALE conoscenze il determinismo genetico Ł un concetto assolutamente insostenibile sulla base dei dati della moderna genetica comportamentale.
Sull’esame del periziando, va, invece, osservato che la sentenza di primo grado dà atto dello svolgimento di colloqui peritali tra i periti ed il periziando avvenuti il 12 giugno 2023 ed il 30 giugno 2023.
NØ una allegazione di decisività scientifica si rinviene sui test della personalità che erano stati previsti nel programma originario e poi non sono stati eseguiti, peraltro neanche indicati specificamente in ricorso.
Peraltro, come fa notare la sentenza di appello (sia a pag. 35 che a pag. 39), la decisione di ritenere sufficienti gli esami svolti e di concludere i lavori della perizia era stata presa concordemente, già nel corso del giudizio di primo grado, da periti e consulenti nel verbale della riunione peritale del 4 ottobre 2023; gli unici contrari a questa decisione scrive la sentenza di appello – erano stati i consulenti tecnici della parte civile.
PoichØ, pertanto, l’integrazione istruttoria in grado di appello ha carattere eccezionale e può essere disposta soltanto quando il giudice non possa decidere allo stato degli atti e quando la prova offerta sia decisiva, ovvero idonea ad eliminare ogni incertezza o ad inficiare il valore probatorio di ogni altra risultanza di segno contrario (Sez. 3 n. 35372 del 23/05/2007, COGNOME, Rv 237410; Sez. 3 n. 21687 del 7/04/2004, Modi, Rv 228920), la motivazione con cui il giudice di appello ha respinto la richiesta di ultimazione della perizia presentata dalla difesa dell’imputato resiste alle censure contenute nel ricorso, non essendo manifestamente illogica la decisione nella parte in cui ha ritenuto sufficiente per la decisione il materiale probatorio consegnato al giudizio di appello da quello di primo grado.
Ne consegue che il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo nuovo sono infondati.
2. ¨ infondato, per le stesse ragioni, anche il secondo motivo di ricorso, con cui si censura, sotto il profilo dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la mancata assunzione della deposizione della referente del reparto osservazione psichiatrica di Piacenza, che aveva concluso nel senso della esistenza nell’imputato di un disturbo della personalità. Il ricorso chiedeva l’assunzione della deposizione del medico piacentino, anche
eventualmente a confronto con i periti. L’argomento Ł ripreso anche nei motivi nuovi, ed a supporto si deposita una relazione psichiatrica recente della casa circondariale di RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo Ł una variante del precedente, perchØ contesta la completezza RAGIONE_SOCIALE conclusioni della perizia, alla luce RAGIONE_SOCIALE diverse conclusioni sulla esistenza o meno di una psicopatologia dell’imputato, cui erano giunti i sanitari del reparto osservazione psichiatrica del carcere di Piacenza. Il motivo Ł proposto come mancata assunzione di prova decisiva, perchØ nel caso in esame la prova richiesta non era una perizia, ma una prova dichiarativa.
La sentenza di appello ha ritenuto non decisiva l’audizione del medico del reparto piacentino, ed ha evidenziato che le osservazioni della dottoressa erano state tenute in conto dai periti, che, in ogni caso, l’inizio dei colloqui tra l’imputato ed il medico era avvenuto quando l’imputato era in carcere già da diversi mesi, era provato dalla situazione carceraria, riceveva la somministrazione di psicofarmaci e si trovava in una situazione diversa da quella in cui aveva commesso il reato, e che comunque l’imputato aveva dato risposte dotate di bassa credibilità ai test che gli erano stati somministrati in carcere che potevano aver inquinato il giudizio finale del medico.
Il ricorso deduce che l’imputato non Ł accusato, in realtà, di aver volutamente falsificato le risposte date ai test , perchØ gli stessi periti riconoscono che la simulazione potrebbe essere stata inconsapevole, e che l’accentuazione dei sintomi di una psicopatologia significa pur sempre che i sintomi di base esistono; si trattava comunque di un tema che avrebbe dovuto essere approfondito meglio nel corso del giudizio.
L’argomento Ł infondato.
Come ha ricordato piø volte la giurisprudenza di legittimità, ‘l’assunzione di una prova può ritenersi decisiva, e quindi la mancata acquisizione di essa integra violazione rilevante sotto il profilo dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., solo se abbia, in una valutazione ex ante che il giudice di merito deve necessariamente operare, la potenzialità di sovvertire il valore degli altri elementi probatori utilizzati o ancora utilizzabili, nel senso che, ove l’assunzione sia richiesta dall’imputato, la stessa abbia l’attitudine ad infirmare i dati favorevoli all’accusa, convalidando, ad esempio, l’alibi difensivo’ (già, a suo tempo, Sez. 2, n. 2689 del 17/11/1999, dep. 2000, Rapisarda, Rv. 215714 – 01; piø di recente, nello stesso senso, Sez. 4, n . 56311 del 28/11/2018, COGNOME, n.m., Sez. 3, n. 52130 del 24/04/2018, M., n.m.). La prova richiesta deve avere, pertanto, ‘preventivamente efficacia decisiva, e cioŁ la capacità di contrastare le acquisizioni processuali contrarie, elidendone l’efficacia e provocando una decisione contraria’ (Sez. 2, n. 38883 del 10/11/2006, Giocondo, Rv. 235310 – 01).
Nel caso in esame, si tratta con evidenza di prova che non aveva ‘la capacità di contrastare le acquisizioni processuali contrarie, elidendone l’efficacia e provocando una decisione contraria’, per riprendere la motivazione della sentenza Giocondo appena citata, perchØ le conclusioni dello specialista del reparto di osservazione psichiatrica di Piacenza erano già note nel processo, in quanto presenti a livello documentale, ed erano state considerate nell’ambito dei lavori peritali.
Inoltre, le conclusioni della dottoressa di cui era stata chiesta l’audizione in appello (che aveva ritenuto sussistente un disturbo della personalità) non inficiano, in realtà, le diverse conclusioni dei periti, perchØ nulla dicono sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. L’infermità mentale non Ł, infatti, uno stato permanente, ma una condizione da doversi accertare caso per caso in riferimento alla commissione di ciascun reato, e l’accertamento della stessa deve essere compiuto in relazione al fatto concreto addebitato ed al tempo in cui Ł stato commesso. L’accertamento della struttura psichiatrica
del carcere non si Ł esteso, perchØ estraneo al proprio compito istituzionale – ai rapporti tra asserito disturbo della personalità di cui Ł stato ritenuto affetto l’imputato e reato commesso, rendendo, pertanto, all’evidenza non decisiva l’assunzione della prova dichiarativa richiesta.
Anche il secondo motivo Ł, pertanto, infondato.
3. ¨ infondato anche il terzo motivo, in cui si contesta, sotto il profilo dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto esistente la capacità di intendere ei di volere dell’imputato al momento del fatto.
In esso si deduce che la motivazione della sentenza non si Ł confrontata con la valutazione del consulente tecnico del pubblico ministero che aveva concluso nel senso che l’imputato fosse gravato da un disturbo di personalità con le caratteristiche del cluster B di tipo borderline ; su queste conclusioni del consulente della pubblica accusa la sentenza impugnata non avrebbbe speso verbo, e questo avrebbe fatto perdere razionalità e completezza allo sviluppo logico della motivazione.
Il ricorso deduce anche che la motivazione sarebbe manifestamente illogica, perchØ pure gli specialisti RAGIONE_SOCIALE tre diverse case circondariali in cui era stato detenuto l’imputato erano arrivati alla conclusione di un soggetto affetto da disturbo di personalità, come d’altronde anche i consulenti della difesa, che avevano concluso per un disturbo narcisisticodelirante della personalità. Vi sarebbe, quindi, almeno una mezza dozzina di psichiatri che avrebbero ritenuto la presenza in NOME di un disturbo della personalità.
Gli argomenti sono infondati.
¨ orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che lo stabilire se l’imputato fosse al momento del fatto totalmente privo di capacità d’intendere e di volere ovvero avesse tale capacità, ma grandemente scemata, costituisce una questione di fatto la cui valutazione, attraverso l’ausilio RAGIONE_SOCIALE risultanze della perizia psichiatrica, compete esclusivamente al giudice di merito, il giudizio del quale si sottrae al sindacato di legittimità quante volte, anche con il solo richiamo alle condivise valutazioni e conclusioni RAGIONE_SOCIALE perizie, divenute tuttavia consustanziali alla motivazione, risulti essere esaurientemente motivato, immune da vizi logici di ragionamento, garantito da una continua osservazione del soggetto e conforme a corretti criteri scientifici di esame clinico e di valutazione (tra le tante v. Sez. 1, n. 11897 del 18/05/2018, dep. 2019, P.G. in proc. F., n.m.; Sez. 1, n. 32373 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 261410; Sez. 1, n. 42996 del 21/10/2008, Marina, Rv. 241828), non dovendo la Corte di cassazione, in tema di prova scientifica, stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica RAGIONE_SOCIALE acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica, in quanto essa non Ł giudice del sapere scientifico e non detiene conoscenze privilegiate, essendo chiamata solo a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità RAGIONE_SOCIALE informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (tra le altre, Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722; Sez. 5, n. 686 del 03/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257965; Sez. 4, n. 24573 del 13/05/2011, Monopoli, n.m.).
¨ anche orientamento consolidato della Corte di legittimità che, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio Ł tenuto a un piø penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi, come già rilevato, la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, a partire dalla preliminare,
indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità RAGIONE_SOCIALE informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto (da ultimo, Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep. 2016, Minichini, Rv. 267566), mentre il giudice che, invece, ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica RAGIONE_SOCIALE prime e dell’erroneità RAGIONE_SOCIALE seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; ragione per cui potrà configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal perito e recepito dal giudice (tra le altre, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909; Sez. 6, n. 5749 del 09/01/2014, COGNOME, Rv. 258630; Sez. 1, n. 25183 del 17/02/2009, Panini, Rv. 243791; Sez. 4, n. 34379 del 12/07/2004, COGNOME, Rv. 229279).
La sentenza impugnata Ł stata coerente con gli approdi interpretativi sopra riportati, perchØ, in presenza di una perizia che ha concluso nel senso della imputabilità dell’autore del reato, ha prestato adesione alle conclusioni dei periti, ma non ha ignorato le argomentazioni dei consulenti di parte, che sono state non solo prese in considerazione, ma addirittura confutate, andando oltre ciò che impone al giudice il sistema processuale, come ricostruito dalla giurisprudenza di legittimità, che, come detto appena sopra, non grava il giudice ‘dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica’ RAGIONE_SOCIALE conclusioni del perito e dell’erroneità di quelle del consulente tecnico della parte.
Eppure, ciò nonostante, i giudici del merito, ed, in particolare, in modo piø approfondito, la sentenza di primo grado, che – versandosi in una situazione di doppia conforme in cui la motivazione della sentenza di primo grado e quella della sentenza di appello si integrano vicendevolmente (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; piø di recente, nello stesso senso, v. Sez. 6, n. 30893 del 25/06/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 30402 del 08/07/2025, COGNOME, n.m.) – Ł anch’essa parametro di controllo di legittimità sul vizio di motivazione, hanno preso posizione sostenendo la eterogeneità e la erroneità RAGIONE_SOCIALE ipotesi ricostruttive alternative formulate dai consulenti di parte, evidenziando che il quadro shizoide affermato dal consulente dell’imputato non Ł compatibile con la tipologia di vita condotta dall’imputato, perchØ, per definizione scientifica, i pazienti con disturbo schizoide di personalità non hanno alcun desiderio stretto di relazioni con altre persone e non hanno amici stretti o confidenti, ovvero una tipologia di vita molto diversa da quella condotta in concreto dall’imputato fino al giorno del delitto.
I giudici di primo grado (con argomento poi ripreso in modo identico nella sentenza di appello a pag. 40) hanno preso posizione, arrivando fino a sostenerne la erroneità scientifica, anche sulla ipotesi della presenza di un disturbo delirante cronico, pure sostenuto dai consulenti dell’imputato, evidenziando che, a quanto riferito in giudizio dai periti, esso Ł del tutto incompatibile con le allucinazioni visive o uditive che l’imputato dopo alcuni mesi di detenzione in carcere ha cominciato a sostenere di avere.
Il ricorso non attacca la logicità di queste valutazioni, o la correttezza scientifica RAGIONE_SOCIALE stesse, ma si trincera dietro al numero di psichiatri che, a vario titolo coinvolti nella vicenda, hanno effettuato una valutazione sulla situazione psicopatologica dell’imputato diversa da quella formulata dai periti. Il ricorso, pertanto, sul punto soffre anche di un difetto di specificità (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME Cave, Rv. 276916, nonchØ, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), perchØ segue un proprio percorso logico, ma non prende posizione sul percorso logico
seguito dalla sentenza impugnata.
Si ricorda, in ogni caso, che nella giurisprudenza di legittimità Ł consolidata la diversità di posizione processuale dei consulenti di parte, ed, in particolare, di quelli RAGIONE_SOCIALE parti private, rispetto ai periti, «essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte che li ha nominati, senza assunzione, quindi, dell’impegno di obiettività previsto, per i soli periti, dall’art. 226 c.p.p.», costruendosi su tale distinzione il diverso onere motivazionale gravante sul giudice di merito nella «delicata opera di ricostruzione dei dati del sapere scientifico e di valutazione della inferenza di essi rispetto alle particolarità del caso concreto, secondo le regole proprie del ragionamento induttivo» (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, citata, in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata, Sez. I, n. 11706 del 11/11/1993, Rv. 196076; Sez. I, n. 6528 del 11/05/1998, Rv. 210712
NØ a conclusioni diverse induce la esistenza di una relazione del consulente tecnico del pubblico ministero, che – come risulta dallo stesso passaggio della relazione tecnica del consulente del pubblico ministero che il difensore ha trascritto nel ricorso – pur avendo ritenuto esistente nell’imputato un disturbo della personalità di tipo cluster B , ha concluso, però, nel senso della imputabilità dell’autore del reato ed ha ritenuto non significative, ai fini della decisione, le differenze di interpretazioni diagnostiche con i periti (pag. 26 del ricorso). Non Ł, pertanto, decisiva la circostanza che la sentenza di appello non abbia motivato sulla differenza di valutazioni scientifiche tra il consulente tecnico del pubblico ministero ed i periti, perchØ Ł stato lo stesso consulente del pubblico ministero a ritenere non rilevante, al fine della risposta da dare ai quesiti, tale differenza di valutazioni.
NØ a conclusioni diverse induce la esistenza di relazioni della equipe psichiatrica del carcere che ha pure ritenuto che l’imputato fosse affetto da disturbo della personalità di tipo misto, perchØ, come detto, i giudici del merito hanno evidenziato piø volte la parzialità del lavoro dei medici del carcere, che non avevano il compito di verificare il nesso tra eventuale patologia e reato, e che comunque disponevano di un materiale frammentario rispetto a periti e consulenti.
Il ricorso deduce, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare la familiarità specifica riscontrata nella nonna materna dell’imputato con il test del DNA rispetto al disturbo di personalità; secondo il ricorso, la predisposizione genetica marcata dell’imputato verso quel tipo di patologia avrebbe imposto un maggiore approfondimento.
Anche questo argomento Ł inammissibile per mancanza di specificità, perchØ non si confronta con la risposta della sentenza di secondo grado all’analoga deduzione presentata nei motivi di appello; la sentenza di appello, infatti, ricorda a pag. 40 che gli esami genetici non hanno un risultato decisivo, perchØ gli effetti dei geni sul comportamento umano sono di tipo probabilistico, come risulta dallo stesso studio scientifico prodotto in giudizio dalla difesa dell’imputato. D’altronde, già nel punto 1 di questa sentenza si Ł messo in luce che, in base alla stessa letteratura scientifica prodotta con il ricorso, il determinismo genetico Ł un concetto insostenibile sulla base dei dati della moderna genetica comportamentale.
Il ricorso deduce ancora che non Ł stata, inoltre, approfondita nella sentenza impugnata la rilevanza sulla capacità di intendere e di volere del ‘grave turbamento’ emotivo in cui l’imputato ha commesso il reato, che avrebbe dovuto essere valutata alla luce del nuovo testo dell’art. 55 cod. pen., tema che la sentenza di appello non ha neanche sfiorato, e che, però, sarebbe di interesse perchØ lo stato di alterazione emotiva può incidere anche agli effetti attenuatori della pena. Il ricorso aggiunge che, come deve essere emessa sentenza liberatoria quando la imputabilità non Ł accertata oltre ogni ragionevole dubbio, così dovrebbe essere emesso lo stesso tipo di decisione quando non si possa escludere
ragionevolmente uno stato di alterazione perturbazione emotiva del soggetto al momento del fatto.
L’argomento Ł manifestamente infondato.
Premesso che non sono conferenti con la critica al punto della sentenza impugnata che ha deciso sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato nØ il riferimento alla rilevanza degli stati emotivi agli effetti attenuatori della pena, nØ il riferimento all’accertamento da condurre, anche per l’imputabilità, secondo il parametro dell’oltre ogni ragionevole dubbio, perchØ non discussi dalla sentenza impugnata, il collegio non può che ribadire l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità – imposto, peraltro, dal testo dell’art. 90 cod. pen. – che ritiene che ‘nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità (…), nonchØ agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro piø ampio di infermità (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317 – 01), e che ha fatto dire alla giurisprudenza successiva che’ai fini dell’imputabilità nessun rilievo svolgono gli stati emotivi e passionali, salvo che essi non si inseriscano eccezionalmente in un quadro piø ampio di infermità, tale per consistenza, intensità e gravità da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia causalmente determinato dal disturbo mentale’ (Sez. 5, n. 9843 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 255226 – 01; piø di recente nel senso del divieto di valutare gli stati emotivi e passionali ai fini della imputabilità v. Sez. 6, n. 39457 del 07/07/2023, P., Rv. 285643 – 01).
Il ricorso deduce che l’orientamento tradizionale sulla irrilevanza degli stati emotivi e passionali dovrebbe essere ripensato alla luce del testo novellato dell’art. 55 cod. pen., che, in presenza di certe condizioni, attribuisce rilevanza, quale causa di giustificazione, al ‘grave turbamento’ in cui Ł stato commesso il reato, ma l’argomento Ł manifestamente infondato.
Anche prima della modifica dell’art. 55 cod. pen., il sistema penale riconosceva già rilievo, in particolari casi, a situazioni emotive dell’agente che, pur non dipendenti da infermità, avevano influito sulla sua capacità di autodeterminarsi, prevedendo circostanze attenuanti (v. art. 62, nn. 2 e 3 cod. pen.) o cause di non punibilità (art. 599, secondo comma, cod. pen.).
In altri casi era stata la giurisprudenza di legittimità a riconoscere rilevanza agli stati emotivi o passionali agli effetti del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che essi influirebbero sulla misura della responsabilità penale (Sez. 1, n. 7272 del 05/04/2013, dep. 2014, Disha, Rv. 259160).
Il testo attuale dell’art. 55 cod. pen. non Ł, pertanto, uno sconvolgimento del sistema, ma costituisce soltanto la codificazione di una situazione di inesigibilità della condotta che non avrebbe potuto trovare ingresso nell’ordinamento se non espressamente prevista ( Sez. 3, n.49883 del 10/10/2019, COGNOME, n.m.).
Esso, pertanto, costituendo soltanto uno dei casi in cui Ł stata normativamente tipizzata la rilevanza penale dello stato emotivo – in questo caso quale elemento costitutivo negativo di una fattispecie penale secondo il modello RAGIONE_SOCIALE cause di giustificazione – non Ł di ostacolo a continuare a ritenerlo non rilevante agli effetti dell’imputabilità, in presenza di una norma esplicita a ciò destinata, come l’art. 90 cod. pen. che continua a prevedere che ‘gli stati emotivi o passionali non escludono nØ diminuiscono l’imputabilità’.
D’altronde, la giurisprudenza di legittimità ha già precisato che le norme speciali che attribuiscono rilevanza, ad alcuni effetti penali, agli stati emotivi costituiscono eccezione ad
una regola generale (v. Sez. 1, n. 40177 del 01/10/2009, Gaudino, Rv. 245666 – 01: La circostanza attenuante della provocazione ricorre quando il reato sia commesso non già in un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensì in uno stato d’ira, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di se stesso in conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle modalità esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di diminuzione della imputabilità; conformi, piø di recente, Sez. 5, n. 25817 del 06/05/2025, P.G. in proc. Piccolo, n.m.; Sez. 5, n. 20387 del 01/04/2025, R., n.m.), e questa conclusione deve essere tenuta ferma anche dopo la modifica dell’art. 55 cod. pen. anche perchØ, per loro natura, le cause di giustificazione costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali (Corte cost., n. 140 del 04/05/2009).
In definitiva, il motivo Ł infondato.
Il quarto motivo, dedicato all’aggravante dell’art. 576, comma 1, n. 5.1., cod. pen., di cui Ł stato riconosciuto responsabile l’imputato, ed il corrispondente motivo nuovo, in cui ne vengono ulteriormente sviluppati gli argomenti, Ł infondato.
Il ricorso deduce che, ferma la materialità degli atti persecutori compiuti dall’imputato (l’essersi appostato ripetutamente presso la abitazione o il luogo di lavoro della ex compagna; l’aver preteso l’invio di video ogni dieci minuti che gli permettessero di verificare dove si trovasse la ex compagna e con chi; averle imposto l’obbligo di condividere con lui la posizione del telefono; l’essersi impossessato della password di accesso al sistema di videosorveglianza dell’abitazione della compagna al fine di controllarla, nonchŁ gli altri comportamenti descritti piø compiutamente in imputazione), dell’aggravante mancherebbe, però, l’elemento soggettivo, in quanto la coscienza e volontà del persecutore deve comprendere anche la consapevolezza della rilevanza causale dei propri comportamenti rispetto agli eventi di danno nella vita del partner previsti dalla norma dell’art. 612-bis cod. pen., ed i comportamenti contraddittori della vittima già rilevati dalla sentenza di primo grado, che evidenziò che la RAGIONE_SOCIALE, nonostante avesse già sporto querela, riprese a contattare il ragazzo e gli chiese di non accettare l’ingaggio nella RAGIONE_SOCIALE che lo avrebbe allontanato da lei, e lo stesso comportamento tenuto ancora il giorno prima del delitto quando non rifiutò l’incontro che gli aveva imposto l’ex compagno e non avvertì le forze di polizia dopo di esso, non consentono di avere certezze sul fatto che il ricorrente avesse compreso adeguatamente le ricadute dei suoi comportamenti ossessivi e molesti sulla vita della vittima.
Nel motivo nuovo si aggiunge che quello di atti persecutori Ł un reato di evento ed, in quanto reato doloso, anche l’evento deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente. La mancanza di consapevolezza dell’evento non permetterebbe di ritenere integrato il reato, o, come nel caso in esame, l’aggravante.
L’argomento Ł infondato.
A prescindere dalla questione del titolo della imputazione soggettiva dell’aggravante dell’art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen. in un sistema in cui la regola generale dell’art. 59, comma 2, cod. pen. prevede la imputazione RAGIONE_SOCIALE circostanze aggravanti ‘soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa’ ed in cui, pertanto, non vi Ł simmetria tra titolo di imputazione degli elementi costitutivi del reato e titolo di imputazione degli elementi circostanziali, esso, infatti, si pone in frontale contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, in ogni caso, ritiene che la esistenza di momenti di riavvicinamento tra le parti non escludano la sussistenza del reato (Sez. 5, n. 17240 del 20/01/2020, I., Rv. 279111 – 01; nella giurisprudenza piø recente v. Sez. 5, n.
27587 del 29/04/2025, B., n.m.; Sez. 2, n. 9619 del 19/02/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 9401 del 05/02/2025, C., n.m.), in quanto essi sono caratteristici di questa tipologia di vicende personali, che sono ‘spesso connotate da auspici di risanamento RAGIONE_SOCIALE situazioni’ da parte della stessa vittima del reato (v. sempre sentenza COGNOME appena citata).
La esistenza di momenti di riavvicinamento tra le parti non esclude la sussistenza del reato sul piano oggettivo, ma non la esclude neanche sul piano soggettivo.
Nella sistematica della giurisprudenza di legittimità, infatti, il dolo del reato di atti persecutori si risolve ‘nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità RAGIONE_SOCIALE medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice’. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C, Rv. 260411 – 01; conformi Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726, Sez. 2, n. 12022 del 23/01/2025, C., n.m.). Ciò che serve, per sostenere l’esistenza del dolo del reato, Ł, infatti, che ‘sussista l’oggettiva e complessiva idoneità RAGIONE_SOCIALE stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una RAGIONE_SOCIALE forme descritte dall’art. 612-bis cod. pen’ ( Sez. 5, n. 13617 del 06/12/2023, dep. 2024. D., n.m.; Sez. 5, n. 19379 del 17/04/2023, G., n.m.).
In definitiva, pur se ‘le condizioni soggettive della vittima devono essere note all’agente, e come tali necessariamente rientranti nell’oggetto del dolo’ (Corte Costituzionale, 11/06/2014, n.172), nella lettura della giurisprudenza di legittimità, il dolo dell’evento di danno del reato di atti persecutori si risolve nella consapevolezza e volontà da parte dell’agente della idoneità RAGIONE_SOCIALE proprie condotte ad arrecare alla vittima uno degli eventi di danno alternativamente previsti dalla norma incriminatrice – il perdurante stato di ansia o di paura, il fondato timore per la incolumità o l’alterazione RAGIONE_SOCIALE abitudini di vita – non nella consapevolezza di averli in concreto arrecati.
Si tratta di una soluzione interpretativa obbligata, a tutela della determinatezza della fattispecie, in una fattispecie penale in cui due degli eventi di danno (il perdurante stato di ansia o di paura, il fondato timore per la incolumità) sono atteggiamenti psichici interni alla vittima, che confinano con altri che sono penalmente irrilevanti (Sez. 5, n. 2555 del 18/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280172 – 01: in tema di atti persecutori, l’evento tipico del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, che consiste in un profondo turbamento con effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, non può risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione o insofferenza per le condotte minatorie o moleste subìte), ed in cui il superamento della linea di confine della rilevanza penale può dipendere anche dalla maggiore o minore reazione della psiche della vittima agli stimoli esterni.
Non potendosi far dipendere la incriminazione dalla eventuale particolare sensibilità o debolezza della persona offesa, che percepisca ansia o paura per effetto di comportamenti che non hanno in generale la capacità di cagionarle, o dalla particolare insensibilità o attitudine prevaricatoria dell’autore del reato che fatichi a percepire le afflizioni che generino nella vittima i propri comportamenti, il processo di accertamento del dolo deve avvenire partendo dalla ‘natura dei comportamenti tenuti dall’agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante’ (Sez.5, n. 7559 del 10/01/2022, B., Rv. 282866) e dalla astratta idoneità a causare l’evento ( Sez. 5, n. 29455 del 05/06/2025, COGNOME, n.m.), in coerenza, d’altronde, con approdi interpretativi classici cui Ł pervenuto il diritto penale su fattispecie di reato che contengono, o contenevano, al loro interno un accertamento della attitudine della condotta a perturbare la sfera psichica della vittima, quali quelle di cui agli artt. 594 e 595 cod. pen., in cui, per l’integrazione del dolo
generico del reato, Ł sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di espressioni o parole socialmente interpretabili come offensive, cioŁ utilizzate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza che abbiano rilievo le intenzioni dell’agente (v., per tutte, per il reato di diffamazione Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012, dep. 2013, Arcadi, Rv. 254390 – 01; per l’abrogato reato di ingiuria, Sez. 5, n. 6169 del 19/10/2012, dep. 2013, Prado, Rv. 255015 – 01).
Non essendo discutibile che la natura dei comportamenti tenuti dall’imputato (l’essersi appostato ripetutamente presso la abitazione o il luogo di lavoro della ex compagna; l’aver preteso l’invio di video ogni dieci minuti che gli permettessero di verificare dove si trovasse la ex compagna e con chi; averle imposto l’obbligo di condividere con lui la posizione del telefono; l’essersi impossessato della password di accesso al sistema di videosorveglianza dell’abitazione della compagna al fine di controllarla, nonchŁ gli altri comportamenti descritti piø compiutamente in imputazione) fosse idonea a determinare in una persona comune l’effetto destabilizzante previsto dalla norma dell’art. 612-bis cod. pen., deve concludersi nel senso che la sentenza impugnata resista alle censure che le sono state rivolte.
Ne consegue che i motivi del ricorso principale e di quello aggiunto, che riconoscono l’integrazione dell’aggravante sul piano strettamente oggettivo, ma la contestano sotto il profilo soggettivo, sono infondati.
Sono infondati anche il quinto motivo, dedicato all’aggravante della premeditazione, ed il corrispondente motivo nuovo.
Il ricorso deduce che la premeditazione Ł stata desunta dalla circostanza che, nel recarsi sotto casa della vittima, l’imputato ha portato con sØ il martello con cui ha eseguito l’omicidio, che, però, in concreto Ł stato inefficace per lo scopo lesivo (si Ł rotto durante l’azione per la violenza con cui l’imputato l’ha usato nei confronti della vittima), e che di per sŁ non sarebbe sufficiente ad integrare il fattore di aggravamento. Il motivo nuovo aggiunge che la sentenza impugnata ha confuso preordinazione con premeditazione. Sia il ricorso che il motivo nuovo deducono che nel comportamento incostante tenuto dall’imputato in tutto l’ultimo periodo antecedente la commissione dell’omicidio mancherebbe quella fermezza, ed irrevocabilità, della deliberazione criminosa che deve caratterizzare l’aggravante. Il ricorso ed il motivo nuovo evidenziano, anche, che l’imputato ancora quattro giorni prima dell’omicidio aveva chiesto di partecipare ad una trasmissione televisiva, ancora due giorni prima aveva chiesto all’allenatore di poter giocare la gara successiva di campionato, ancora il giorno prima aveva chiesto al proprio agente di potersi trasferire in altra RAGIONE_SOCIALE, sempre in quei giorni aveva prenotato l’albergo in cui stare con la ex compagna, sempre negli stessi giorni aveva preso appuntamento in chat con altre RAGIONE_SOCIALE per un periodo successivo alla data in cui poi ha commesso l’omicidio, tutti comportamenti che inducono a ritenere che la volontà di uccidere fosse tutto tranne che solida, e che lo stesso porto del martello sul luogo del delitto fosse soltanto espressione di un dolo condizionato incompatibile con la premeditazione, in quanto non contenente quella irrevocabilità della decisione che deve caratterizzare il reato premeditato.
Gli argomenti sono infondati.
La sentenza di appello Ł particolarmente attenta nella indicazione degli elementi di fatto da cui ha tratto il giudizio sull’esistenza nel caso in esame di quel ‘radicamento e persistenza costante, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida’ (Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 – 01), che costituisce il proprium dell’aggravante.
Questi elementi sono dettagliatamente indicati nelle pagine da 19 a 23 della sentenza
di appello, e sono stati, in effetti, in modo non illogico ritenuti univocamente indicativi del fatto che il proposito criminoso fosse insorto già giorni prima della commissione del reato; su tutti, il riferimento, in particolare, alle ricerche internet effettuate dall’imputato pochi giorni prima dell’omicidio (‘metodi per soffocare una persona’, ‘quanto ci vuole per (sic) morire una persona per strangolamento’ ‘dove perde meno sangue una persona con un coltello’, ‘con un colpo alla testa forte con spranga riesce poi ad urlare’, ‘dove Ł piø difficile rintracciare un cadavere’), la nota che l’imputato aveva scritto sul suo telefono con il promemoria RAGIONE_SOCIALE cose da fare e da comprare in vista della commissione del reato (‘nastro isolante, martello, corda, meglio manette, chat inventata tra te e lei dove ti dice di venire a casa sua e portare manette’) o i messaggi inviati a sua madre ed ad un amico, da cui emerge con evidenza l’intenzione di compiere un gesto che egli stesso definisce ‘terribile’.
Il ricorso deduce, però, che l’imputato era un uomo incostante, che un giorno voleva far del male alla ex compagna, ed un giorno a se stesso, che un giorno progettava l’omicidio ed il giorno successivo prenotava una camera in albergo per stare con la ex compagna o pensava ad organizzare la stagione calcistica successiva, e che, perciò, il dolo di omicidio Ł stato un dolo condizionato, ovvero dipendente da quelli che sarebbero stati gli eventi successivi, il che sarebbe incompatibile con la premeditazione.
In realtà, Ł orientamento della giurisprudenza di legittimità, talmente consolidato da poter essere ritenuto ormai diritto vivente, che la circostanza che l’attuazione di un proposito criminoso ormai deliberato possa essere condizionato anche dallo svolgersi degli eventi, ivi compreso l’atteggiamento che nell’occasione del reato la vittima assumerà nei confronti dell’agente, Ł del tutto compatibile con la premeditazione, atteso che ‘in tema di premeditazione, non osta alla configurabilità dell’aggravante il fatto che il soggetto agente abbia condizionato l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la piø precisa e ferma risoluzione criminosa del reo. Fattispecie in cui l’omicidio era stato programmato per il caso in cui la vittima avesse ribadito il rifiuto di riprendere il rapporto sentimentale con il reo. (Sez. 1, n. 32746 del 17/06/2020, COGNOME, Rv. 279933 – 01; Sez. 1, n. 19974 del 12/02/2013, COGNOME, Rv. 256180 – 01; Sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008, dep. 2009, Lancia, Rv. 242485 – 01; Sez. 1, n. 7766 del 30/01/2008, COGNOME, Rv. 239232 – 01).
Pertanto, sempre che persista, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo il proposito omicida, il dolo condizionato di omicidio resta un dolo di premeditazione. La sentenza COGNOME arriva anche a dire con estrema decisione, in aperto contrasto con la ricostruzione scientifica su cui Ł impostato il motivo di ricorso, che ‘il dolo condizionato Ł pienamente compatibile con l’aggravante della premeditazione (sentenza COGNOME citata).
¨ da notare, anche, per calare il principio giurisprudenziale nel caso in esame, che le vicende concrete oggetto RAGIONE_SOCIALE sentenze COGNOME e COGNOME avevano ad oggetto entrambe situazioni, molto simili a quella oggetto del ricorso, in cui l’attuazione del proposito criminoso era condizionato al rifiuto da parte della vittima designata di riallacciare il rapporto sentimentale con il reo, ovvero a situazioni del tutto sovrapponibili a quella che Ł descritta nella motivazione RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito che hanno condannato NOME e che ritengono che quando, nella notte tra il 20 ed il 21 agosto, l’imputato lasciò il ritiro della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per cui lavorava e salì dalla Sicilia a RAGIONE_SOCIALE per arrivarvi la sera del 21 agosto ed appostarsi sotto casa della ex compagna, dopo aver effettuato nel corso della giornata le ricerche internet sopra riportate, avesse ormai deliberato di commettere l’omicidio, che non fu perpetrato la mattina del 22 agosto soltanto perchØ la NOMEX
accettò di vederlo, di parlare della loro relazione e di passare la giornata insieme, e fu commesso la sera del 23 agosto perchØ il rifiuto di contatti telefonici ed internet con l’imputato tra la sera del 22 e la mattina del 23 e l’inizio della conversazione avvenuta nell’atrio condominiale dell’abitazione della NOMEX ed udito dalla testimone COGNOMECOGNOMEXX (descritto alle pagine 58 e 59 della sentenza di primo grado) costituirono soltanto l’occasione in cui il proposito criminoso, ormai deliberato, fu destinato ad essere portato ad attuazione.
L’occasionalità del momento di consumazione del reato esclude la premeditazione, infatti, soltanto quando appaia preponderante, ossia sia tale da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241575 – 01; Sez. 1, n. 23979 del 5/5/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 574 del 09/07/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492 – 01; Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 265149 – 01).
PerchØ sia integrata l’aggravante non Ł necessario, pertanto, che il proposito criminoso, una volta insorto, sia resistente a qualsiasi dubbio o ripensamento interno ed a qualsiasi circostanza esterna, ma occorre soltanto che tra il momento dell’insorgenza e quello della sua attuazione il proposito criminoso insorto resti robusto e sopravanzi ‘tutte le controspinte inibitorie che, nell’intervallo temporale suddetto, si presentano via via alla coscienza e che, ordinariamente, avrebbero vinto un normale proposito delittuoso’ (Sez. 1, n. 574 del 09/07/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492 – 01).
E, nel caso in esame, non illogicamente Ł stato ritenuto, anche in virtø della temporanea sospensione del proposito criminoso avvenuta la mattina del 22 agosto, che NOME abbia potuto disporre di un intervallo temporale piø che sufficiente per vedersi formare nella propria coscienza le controspinte inibitorie che avrebbero dovuto dissuaderlo dal compiere un delitto così efferato.
Il ricorso deduce anche che, attribuendo importanza decisiva alla circostanza che il giorno 23 agosto NOME avesse portato con sØ un martello, la sentenza impugnata ha confuso preordinazione con premeditazione, ma anche questo argomento Ł infondato.
La stessa giurisprudenza di legittimità che avverte che ‘in tema di omicidio, la mera preordinazione del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente – non Ł sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione’ (v., per tutte, Sez. 1, n. 5147 del 14/07/2015, dep. 2016, Scanni, Rv. 266205 – 01) precisa, però, che la preordinazione dei mezzi necessari all’esecuzione de delitto Ł uno degli indicatori da cui si deve ricavare il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida; di tale radicamento e persistenza del proposito sono, infatti, ‘sintomi il previo studio RAGIONE_SOCIALE occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione RAGIONE_SOCIALE modalità esecutive’ (v. sempre la sentenza Scanni).
La ragione per cui la giurisprudenza di legittimità ricorda spesso che preordinazione non va confusa con la premeditazione Ł che la prima descrive un comportamento oggettivo mentre la seconda Ł un atteggiamento soggettivo, ma ciò non toglie che dalla prima possa essere legittimamente inferita l’esistenza della seconda, ‘alla luce dei mezzi impiegati e RAGIONE_SOCIALE modalità della condotta’ (Sez. 1, n. 3868 del 12/09/2024, dep. 2025, N., Rv. 287472 – 01).
Il ricorso per motivi nuovi aggiunge che l’iniziale comportamento bonario tenuto la sera del 23 agosto da NOME quando vide arrivare la TARGA_VEICOLO lascia pensare che quel giorno non fosse partito da Senigallia con la volontà di commettere un omicidio, ma, anche a prescindere da quanto si Ł già detto con riferimento alla rilevanza, agli effetti dell’aggravante,
del dolo condizionato alla reazione della vittima, l’argomento Ł inammissibile per difetto di autosufficienza (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, COGNOME, rv. 256723), perchØ non allega o trascrive gli elementi di prova da cui si dovrebbe desumere questo iniziale atteggiamento bonario.
Ne consegue che anche sotto questo punto di vista il ricorso Ł infondato.
Sono infondati anche il sesto motivo, dedicato all’aggravante dei motivi abietti o futili, ed il corrispondente motivo del ricorso per motivi aggiunti.
Il ricorso deduce che la sentenza di primo grado ha ritenuto che l’aggravante sia stata integrata nel caso in esame dalla rabbia scaturente nell’imputato dall’esser stato denunciato penalmente, dalla non accettazione da parte di lui della fine della relazione e della perdita di controllo sulla RAGIONE_SOCIALE, dalla volontà dello stesso di riaffermare il proprio dominio su di lei, mentre la sentenza di appello avrebbe ritenuto configurato il motivo futile per la gelosia possessiva nutrita dall’imputato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma sia il desiderio di vendetta che la gelosia possessiva, per costante giurisprudenza di legittimità, non permetterebbero di qualificare il motivo a delinquere nØ come abietto nØ come futile.
Nel motivo aggiunto il ricorso deduce anche che la sentenza di appello resterebbe vaga sui motivi dell’azione, incerta sul se essi consistano nella gelosia o nel desiderio di vendetta. e questa vaghezza incide sulla possibilità di ritenere integrata l’aggravante non riuscendosi ad individuare a questo punto quale sia il moto interiore che ha ispirato l’azione.
Gli argomenti sono infondati.
Occorre partire dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto integrata l’aggravante, affermando che ‘l’aggravante Ł stata integrata dalle ragioni di gelosia irragionevole ed incontenibile da parte dell’imputato, nonchØ da altri aspetti quali la rabbia scaturente dall’essere stato denunciato, la non accettazione della fine della relazione che aveva portato alla perdita di controllo e la conseguente volontà di vendicarsi e riaffermare il proprio ruolo di dominio. Tali motivi, generalmente all’origine dei casi di femminicidio, sono avvertiti attualmente dalla stragrande maggioranza della popolazione come qualcosa di aberrante ed inconcepibile che giustifica ampiamente un aggravamento del trattamento sanzionatorio’.
A differenza di quanto sostiene il ricorso, non Ł, pertanto, vero che la sentenza di secondo grado abbia spostato il fuoco dell’aggravante verso la gelosia possessiva, perchØ essa ripropone il motivo della non accettazione da parte dell’imputato della fine della relazione e della perdita di controllo sulla ex compagna e della conseguente volontà di riaffermare il proprio ruolo di dominio che erano stati ritenuti esistenti dai giudici di primo grado.
Lo stesso sentimento di gelosia incontentibile valorizzato dalla sentenza di appello non Ł estraneo al percorso argomentativo della decisione di primo grado, che non escludeva l’esistenza di un movente di gelosia, ma sosteneva che il movente del crimine non si esauriva in esso, perchŁ conteneva anche una volontà di dominio sulla vittima.
In definitiva, a differenza di questo sostiene il ricorso, le sentenze di primo e secondo grado seguono sul punto un percorso logico sostanzialmente sovrapponibile.
E questo percorso logico Ł anche coerente con gli approdi cui Ł pervenuta la giurisprudenza di legittimità che ritiene che ‘in tema di omicidio, sussiste l’aggravante dei motivi abietti o futili, caratterizzata dalla sproporzione tra movente e delitto, nel caso in cui la gelosia si manifesti nell’autore quale ingiustificata espressione di possesso e intento punitivo avverso la libertà di autodeterminazione della persona con la quale ha intrattenuto una
relazione sentimentale’ (Sez. 1, n. 5514 del 19/10/2023, dep. 2024, M., Rv. 285721 – 01), e che ‘la gelosia, quale sentimento morboso espressione di supremazia e possesso che si estrinseca attraverso l’annientamento della vittima, può rendere configurabile l’aggravante dell’aver agito per motivi futili o abietti, di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen.’ (Sez. 1, n. 36364 del 07/07/2023, Barbri, Rv. 285244 – 01).
NØ Ł decisivo, in senso contrario, il richiamo che il ricorso effettua alla diversa giurisprudenza della Corte di legittimità, ed, in particolare, alla sentenza Sez. 1, n. 49129 del 07/07/2018, COGNOME, n.m., che (in un caso in cui l’azione omicidiaria era stata rivolta dall’autore del reato contro il supposto amante della moglie) ha sostenuto che la sola manifestazione parossistica e ingiustificabile di gelosia non integra l’aggravante, perchØ la stessa sentenza COGNOME aveva precisato che la sola manifestazione parossistica e ingiustificabile di gelosia non integra l’aggravante quando non sia anche espressione “di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l’insubordinazione’ (conforme Sez. 5, n. 35368 del 22/09/2006, P.m. in proc. Abate, Rv. 235008 – 01), che Ł esattamente ciò che hanno ritenuto sussistente nel caso in esame i giudici di entrambi i gradi del processo di merito.
Nel caso in esame, infatti, sono rispettati tutti i componenti dello schema – dal comportamento della vittima percepito dall’agente come atto di insubordinazione nei suoi confronti (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P., Rv. 278082 – 02) all’istinto dell’autore del reato di conservare un controllo sull’ex partner (Sez. 5, n. 44319 del 21/05/2019, M., Rv. 276962 – 01) – del motivo abietto o futile per sproporzione tra movente e delitto, cui la giurisprudenza di legittimità ha condizionato la rilevanza, a titolo di maggiore riprovevolezza dell’azione criminosa, del sentimento umano di gelosia quando esso si trasforma in una espressione di possesso e intento punitivo avverso la libertà di autodeterminazione della persona con cui l’agente ha intrattenuto una relazione sentimentale.
Il motivo del ricorso principale ed il corrispondente motivo nuovo sono, pertanto, infondati.
Sono infondati anche il settimo motivo del ricorso principale ed il pedissequo motivo nuovo, in cui si censura la decisione per il mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche.
La sentenza di appello he negato le attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. per gravità del fatto e modalità feroci di perpetrazione dello stesso, caratterizzate da estrema crudeltà e violenza, nonchØ per la mancanza di qualsiasi forma di pentimento, per il comportamento tenuto dall’imputato durante i test peritali, per la condotta antecedente al reato caratterizzata da condotte progressivamente sempre piø gravi attuate nei confronti della vittima, ed, ancora, per la capacità a delinquere elevata dimostrata dall’imputato, capacità a delinquere non frenata neanche dalla situazione privilegiata di vita dell’imputato, che era un giovane calciatore professionista, anche socialmente molto inserito, e con prospettive di vita futura di altissima soddisfazione. La motivazione della sentenza di secondo grado in punto di attenuanti generiche Ł estremamente articolata e copre per intero le pagine 52 e 53 della sentenza impugnata.
Il ricorso deduce che le attenuanti avrebbero dovuto essere riconosciute all’imputato per la impulsività dell’azione, per la sua giovane età, per il suo difficile rapporto con il padre, e per il contegno successivo al reato, atteso che l’imputato non ha inteso sfuggire alla cattura e nel processo ha consentito ad acquisire tutto il fascicolo del pubblico ministero.
Gli argomenti sono infondati.
Per giurisprudenza consolidata di legittimità, nella concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti di cui
all’art. 62-bis cod. pen. il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione Ł insindacabile nel giudizio di cassazione, purchØ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899). Anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; conformi, da ultimo, Sez. 4, n. 29960 del 11/07/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 30624 del 06/05/2025, COGNOME, n.m.).
Pertanto, in ogni giudizio, agli effetti di cui all’art. 62-bis cod. pen., su un fatto e sul suo autore, esistono, di regola, elementi favorevoli all’imputato che possono indurre alla concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti ed elementi sfavorevoli che possono far propendere in senso contrario, ma la decisione su quali elementi debbano essere prevalenti e quali subvalenti spetta, come detto, al giudice del merito, che ha il solo obbligo di specificare quali sono quelli cui ha dato prevalenza, e la cui decisione può essere censurata soltanto se manifestamente illogica o contraddittoria.
Ciò che il ricorso definisce una ingiusta svalutazione della componente emotiva in cui Ł stato commesso il reato si risolve, pertanto – pur valorizzando un elemento che può senz’altro trovare spazio all’interno della decisione di cui all’art. 62-bis cod. pen. (Sez. 1, n. 27115 del 30/05/2024, D., Rv. 286606) – in definitiva, in una mera richiesta di rivalutare gli elementi del fatto prevalenti e subvalenti agli effetti della decisione sulle attenuanti.
Mentre sfugge del tutto ad ogni censura di manifesta illogicità la decisione del giudice di secondo grado, che, anzi, Ł strettamente conforme ai canoni della logica, di negare rilievo al comportamento tenuto dall’imputato successivamente al reato, in quanto comportamento necessitato dalle circostanze dell’azione (delitto avvenuto almeno in parte in presenza di testimoni, arresto in flagranza) ed, in definitiva, neutro agli effetti di cui all’art. 62-bis cod. pen.
Il riferimento al difficile rapporto con il padre Ł troppo lontano dal fatto commesso per poter riuscire a rendere manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata, che, invece, ha fondato il giudizio sulle attenuanti su elementi molto piø concreti e pertinenti al caso in esame.
Il riferimento alla giovane età dell’imputato non Ł pertinente al caso in esame, atteso che NOME Ł nato nel XXXX ed ha commesso il delitto nel 2022, ovvero in un’età in cui Ł difficile potergli riconoscere ancora una ‘non completa maturità e capacità di valutare il proprio comportamento secondo le norme del buon vivere civile’ (Sez. 2, n. 11985 del 04/02/2020, Pg, Rv. 278633 – 01), che sono la condizione cui la giurisprudenza di legittimità ha subordinato l’utilizzo di tale parametro di giudizio quale elemento di valutazione della sussistenza RAGIONE_SOCIALE attenuanti.
Il settimo motivo ed il motivo nuovo sono, in definitiva, infondatoi.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento.
Nel giudizio di cassazione si sono costituite anche le parti civili NOME COGNOME, sorella della vittima, in proprio e per conto di NOME, madre della vittima, deceduta nelle more, XXXXXX e COGNOMEX, nipoti della vittima, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.
In ossequio al principio della soccombenza, l’imputato ricorrente deve, pertanto, essere condannato ex art. 541, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili nel giudizio di cassazione, che vengono quantificate come indicato di seguito in dispositivo, in base al numero di posizioni difese, alla nota-spese presentata, all’apporto fornito al giudizio.
Con riferimento alle sole parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che hanno riferito di essere ammesse al gratuito patrocinio, il pagamento va disposto in favore dello Stato.
Sempre con riferimento alle sole parti civili ammesse al gratuito patrocinio, alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE stesse ed alla emissione del decreto di pagamento provvederà ex art. 83 d.P.R. 115 del 2002 il giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato (cfr. Sez. U, Ordinanza n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 – 01, secondo cui ‘in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre Ł rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione RAGIONE_SOCIALE stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.’).
10. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle seguenti parti civili nella misura per ciascuna indicata:
COGNOMEXXXX, per euro 4.797,00 oltre accessori di legge; COGNOME e
COGNOME, per euro 5.000 oltre accessori di legge; RAGIONE_SOCIALE, per euro 3.686,00 oltre accessori di legge; RAGIONE_SOCIALE, per euro 3.400 oltre accessori di legge; RAGIONE_SOCIALE per euro 3.400 olte accessori di legge. Condanna, infine, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara’ liquidata dalla Corte di assise di appello di RAGIONE_SOCIALE con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 17/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME