Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16964 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16964 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Fondi il 30/11/1978 avverso l’ordinanza del 23/04/2024 del Tribunale della Libertà di Latina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette la memoria e le conclusioni rassegnate dall’avv. NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
1. Con ordinanza del 23 aprile 2024 il Tribunale della Libertà di Latina ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di COGNOME NOME, anche nella qualità di legale rappresentante pro-tempore della RAGIONE_SOCIALE“, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 14 marzo 2024 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Latina -in via diretta nonché pe equivalente- di beni mobili e immobili, denaro e titoli, crediti e altre utilità, par euro 1.044.000,00, nella titolarità di NOME NOME (titolare dell’omonima ditt individuale), COGNOME NOME (socio unico e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME (legale rappresentante e socio unico della RAGIONE_SOCIALE, indagati, nelle rispettive qualità e in concorso tra loro relazione ai reati di cui agli artt. 11 D.Igs. n. 74/200 e 648-ter cod. pen. per aver effettuato operazioni fraudolente di dismissione di beni immobili e di cessioni, in frode, d’azienda, idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva nei confronti della ditta individuale “NOME Rita” gravata da oneri tributari per euro 1.780.162,00-.
COGNOME NOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, ricorso per cassazione per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, affidandolo a due motivi. 2,1. Col primo motivo la difesa lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett b), c) ed e) cod.proc.pen., in relazione all’art. 125, comma 3, 321, comma 2, 309, comma 9, cod.proc.pen., nonché 240 cod.pen., riguardo all’assenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti .
Difetterebbero in capo al ricorrente gli indici per essere definito ‘persona non estranea al reato’.
COGNOME, nella qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, ha acquistat da NOME COGNOME beni (essenzialmente veicoli) a prezzo superiore a quello di mercato, come comprovato dalle perizie di stima svolte da RAGIONE_SOCIALE, società attiva nell’ambito della compravendita di veicoli industriali nelle province d L’Aquila, Roma, Frosinone Latina e Viterbo.
Tanto, insieme con i costi documentalmente supportati dalle cambiali rilasciate in favore della ditta COGNOME NOMECOGNOME e con le risultanze delle fatture -allegate al istanza ed attestanti le spese sopportate da RAGIONE_SOCIALE per numerose e onerose lavorazioni sui predetti veicoli- dimostrerebbe l’assenza di tornaconto che è stata invece eretta a giustifica della sottoposizione a sequestro di beni appartenenti a soggetti terzi.
2.2. Col secondo motivo la difesa lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett b, c ed e cod.proc.pen., in relazione all’art. 125, comma 3, 321,
comma 2, 309, comma 9, cod.proc.pen., nonché 240 cod.pen., riguardo all’assenza di motivazione in ordine al periculum in mora (che in relazione alle ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod pen deve essere esplicitato in rapporto alla ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del processo, salvo restando che, nelle ipotesi in cui il sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso porto o detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può solo riguardare l’appartenenza del bene al novero di quelli sequestrabili ex lege (Sez. U. n. 36959 del 24/06/2021, Rv 281848-01, e successive sezioni semplici).
Sul punto il provvedimento genetico sarebbe assolutamente silente, e, a fronte di tanto, il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto/potuto solo annullare il provvedimento (Sez Un n. 18954 del 31/03/2016, Rv 266789-01) nel rispetto dei parametri identificati dal combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 9, cod proc pen.
Ne deriva che anche la Cassazione deve annullare senza rinvio sia l’ordinanza del Tribunale del riesame sia il decreto o l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari e disporre la restituzione all’avente diritto di quanto sottoposto vincolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Intende il Collegio innanzi tutto rilevare che, pur essendo svolto il ricorso con riferimento al denunciato difetto di motivazione così in ordine al fumus boni iuris come al periculum in mora, tale ultima censura merita di essere esaminata in prima battuta, per l’evidente priorità logico-giuridica determinata dalla denuncia del difetto di motivazione, al proposito, nel provvedimento genetico.
Si anticipa che il motivo, nella misura in cui si contesta il difetto di motivazione ordine al decreto di sequestro con riferimento al periculum in mora -che come tale non è stato rilevato dal tribunale del riesame- è inammissibile, trattandosi di motivo non dedotto in sede di riesame e come tale nuovo.
Infatti, va osservato che, secondo il riepilogo dei motivi di impugnazione proposti davanti al tribunale del riesame riportato nella ordinanza impugnata e rimasto incontestato, il ricorrente ha chiesto l’annullamento del decreto di sequestro per carenza del fumus commissi delicti, argomento cui, per esplicita deduzione difensiva, sono stati dedicati anche i motivi nuovi in quella sede prodotti (si legge nel ricorso qui presentato che “Con i motivi nuovi abbiamo dimostrato che in capo al sig. COGNOME Daniele n.q. di amministratore della RAGIONE_SOCIALE difettano gli indici per essere definito “persona estranea al reato “) .
Ne conseguono la novità e l’inammissibilità del motivo qui in esame, siccome riguardante il vizio di motivazione in ordine al requisito del periculum in mora. Giova in proposito rammentarsi, sia che sussiste un onere di specifica contestazione del riepilogo delle contestazioni, così come dei motivi di appello, contenuto nel provvedimento impugnato, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame, sia che in ragione di tale principio, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (cfr. in tal senso, con riferimento alla omessa contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
Né osta a tale ricostruzione e cornice giuridica il carattere interamente devolutivo del procedimento di riesame in materia cautelare.
1.1. Non ignora il Collegio l’indirizzo di legittimità, affermato da plurime pronunce, secondo cui, in tema di impugnazioni cautelari reali in particolare, il tribunale del riesame, per l’effetto interamente devolutivo del gravame avverso un provvedimento impositivo di un sequestro preventivo a fini di confisca, è tenuto a motivare, seppur succintamente, in ordine alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, anche in difetto di specifici motivi di doglianza sul punto, eventualmente richiamando quanto argomentato dal primo giudice nel provvedimento genetico (da ultimo, tra le tante, Sez. 3, n. 1465 del 10/11/2023, dep. 2024, Orza, Rv. 285737 – 03).
A tal fine, in particolare, sono stati valorizzati i seguenti dati normativi: l’art. comma 4, cod. proc. pen., che prevede che la formulazione di motivi è meramente facoltativa, siccome gli stessi «possono» – non debbono – essere enunciati nella richiesta in sede di discussione; l’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., che dispone l’applicazione (anche) della disposizione di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., secondo la quale «il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso».
1.2. Si tratta di un orientamento, che questo collegio non condivide, ritenendo non persuasive, per il sostegno di tale tesi, le argomentazioni sopra riportate, orientamento comunque già contrastato da tutte quelle pronunce che hanno ritenuto inammissibili -anche con riferimento agli aspetti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari con riguardo alle misure personali (Sez. 5, n. 47078 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277543 – 01; Sez. 2, n. 11027 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266226 – 01; Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254037 – 01; Sez. 1, n. 1786 del 05/12/2003, dep. 2024, COGNOME, Rv. 227110 – 01; Sez. 1, n. 2927 del 22/04/1997, COGNOME, Rv. 207759 – 01), e con
riferimento al fumus e al periculum con riguardo a quelle reali (Sez. 2, n. 9434 del 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284419, in motivazione, Sez. 6, n. 1008 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 215865)- motivi proposti per la prima volta in sede di legittimità.
Tali argomentazioni invero, appaiono il portato di un indirizzo di legittimità sviluppatosi sia con riguardo alle misure cautelari reali che a quelle personali, con particolare riferimento al tema della estensibilità, alle impugnazioni opposte avverso tali misure, della regola di cui all’art. 581 cod. proc. pen., lett. c) ( ed lettera d), che impone la contestuale presentazione, con l’atto di impugnazione, di motivi specifici.
Il primo indirizzo -qui non condiviso per quanto di seguito esplicitato- è stato formulato nel senso che la predetta regola non sarebbe applicabile anche per le forme di impugnazione cautelare, trattandosi di richieste che afferiscono ad una procedura, quella cautelare appunto, del tutto particolare, come tale diversa da quella propria dei normali atti di impugnazione.
Si è ritenuto infondato l’assunto secondo cui la collocazione sistematica delle norme che regolano le impugnazioni cautelari personali e reali dovrebbe comportare l’applicabilità all’istanza di riesame anche della disposizione dell’art. 581 lett. c) dello stesso codice che, a pena d’inammissibilità, impone l’indicazione dei motivi di impugnazione contestualmente alla proposizione del gravame.
Vero che rispetto a tale impostazione le Sezioni Unite hanno rilevato che, in tema di riesame di misure cautelari, non è applicabile la particolare disposizione dell’art. 581 lett. c) cod. proc. pen. che impone, a pena di inammissibilità, l’indicazione dei motivi di impugnazione contestualmente alla presentazione del gravame,-stante la facoltatività, prevista dal sesto comma dell’art. 309 stesso codice, della indicazione dei motivi a sostegno e, quindi, dell’inapplicabilità del principio tantum devolutum quantum appellatum (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994,Demitry, Rv. 199388 – 01).
Intende tuttavia questo Collegio ribadire il decisum di Sez. 3, n. 29366 del 23/04/2024 Cc. (dep. 19/07/2024 ) Rv. 286752 – 01, secondo cui tale affermazione delle Sez Unite ineriva -non allo specifico quesito rivolto al supremo consesso, ma- al tema della configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, sicchè la soluzione (comunque estranea al principio di diritto enunciato in ordine alle questioni rimesse al suo esame, e quindi priva della vincolatività di cui all’art. 618, comma 1-bis, cod proc pen) della questione qui rilevante è stata, solo, riaffermata quale principio già emerso nella specifica giurisprudenza della Corte, laddove molteplici più recenti pronunce se ne sono reiteratamente discostate. Pronuncia, quella della Corte a sezioni unite, che ha, comunque, ribadito l’essenza del riesame cautelare quale
tipico mezzo di impugnazione, ancorché fornito di caratteristiche peculiari rispetto agli altri mezzi di impugnazione (Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, dep. 1994, COGNOME, non mass. sul punto), caratteristica, che sarebbe invece completamente pretermessa, ove si giungesse a ritenere insussistente qualsivoglia onere, per l’interessato, di produzione critica rispetto all’atto impugnato. Così che, in ultima analisi, il procedimento potrebbe ridursi, come sostenuto da certa dottrina, piuttosto che alla fase di impugnazione, a mezzo di controllo che si pone in successione cronologica rispetto ad un precedente provvedimento, del quale condividerebbe ogni potere, contenuto ed effetto.
Che del resto sia essenziale, per l’atto di impugnazione come tale, la presenza di motivi di censura, è stato da ultimo ribadito dal Legislatore con la cd. riforma Orlando ex lege 23 giugno 2017 n. 103, in ordine alla novella dell’art. 581 cod. proc. pen. .
L’indiscutibile peculiarità, pur ormai riconosciuta e ribadita in dottrina giurisprudenza, del procedimento cautelare di riesame, non può tuttavia sic et simpliciter ripercuotersi anche sul profilo della assenza di oneri di espressa critica dell’atto impugnato, da parte dell’interessato.
1.3. Si ribadisce, allora, quanto già proprio questa Sezione ha di recente affermato a proposito della impugnazione cautelare reale.
Sez. 3, n. 29366 del 23/04/2024 Cc. (dep. 19/07/2024) Rv. 286752 – 01, ha così ritenuto: «Con particolare riferimento alla citazione dell’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., laddove dispone l’applicazione (anche) della disposizione di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., secondo la quale «il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso», si osserva come tale previsione, ispirata, nella prima parte, ad un chiaro favor libertatis nel caso in esame, di natura patrimoniale -, espande il potere valutativo e di intervento del giudice in favore dell’interessato, ponendolo oltre ogni eventuale perimetrazione derivante da deduzioni critiche dello stesso; ma ciò non implica né è incompatibile con un onere di motivazione dell’atto di impugnazione e con le conseguenti regole ad esso connesse quanto alla deducibilità (e alla conseguente rilevabilità di vizi), in sede di successivo ricorso in cassazione, di analoghe censure piuttosto che di critiche mai proposte in sede di riesame. In tal senso, ovvero della eccentricità della citata disposizione rispetto allo scopo di valorizzarla a supporto della tesi per cui la istanza di riesame potrebbe anche non essere motivata, depone anche la considerazione per cui non solo “il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati” ma, anche, come appena visto, “può confermarlo per ragioni
diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso”: in altri termini, la natura pienamente devolutiva del giudizio di riesame trascende non solo i limiti segnati dal perimetro delle deduzioni difensive ma anche quelli segnati dagli stessi motivi posti a fondamento del provvedimento impugnato. Così che tale ampiezza del giudizio è semplicemente posta in funzione di un favor di controllo pieno, più ampio di quello pur sempre necessariamente innescato dalle deduzioni a corredo della domanda difensiva, ma non di per sé in grado di rendersi incompatibile con le deduzioni medesime ovvero di rendere le stesse non doverose in capo al soggetto impugnante.
Né soccorre, in tal senso, l’altra disposizione valorizzata a sostegno della tesi della assenza di ogni onere di motivazione dell’atto di impugnazione. Si fa riferimento all’art. 324, comma 4, cod. proc. pen., il quale stabilirebbe secondo il predetto orientamento qui criticato, analogamente al corrispondente art. 309 comma 6 cod. proc. pen. per l’impugnazione delle misure cautelari personali, che la formulazione di motivi è meramente facoltativa, siccome gli stessi «possono» – non debbono – essere enunciati nella richiesta in sede di discussione. Anche questa previsione pare, infatti, provare troppo rispetto al tema della proposizione necessaria o meno dei motivi di riesame, posto innanzitutto che la “possibilità” della proposizione di motivi contestualmente alla istanza di riesame sta solo a significare, sul piano letterale, che, in deroga a quanto previsto in vi generale per i mezzi di impugnazione ex art. 581 comma 1 cod. proc. pen., essi possono essere proposti anche successivamente. Del resto, conferma la lettura di una costruzione espansiva dei tempi entro cui presentare motivi di impugnazione, l’ulteriore susseguente previsione del medesimo comma dell’art. 324 citato, secondo la quale “chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice, del riesame, facendone dare atto a verbale prima dell’inizio della discussione”. Si tratta di disposizione, infatti, che, letta pur sem alla luce di quello che può ritenersi un principio generale in tema di impugnazione, quale la deduzione di motivi critici della stessa, mira più limitatamente a consentire, data la peculiare urgenza della procedura, di presentare nuovi motivi anche in ultima istanza, in occasione della udienza di discussione, piuttosto che entro un termine massimo anteriore alla stessa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In altri termini, anche la prevista possibilità di presentare, altresì, nuovi mot davanti al giudice del riesame, appare inquadrarsi nella peculiare tempistica del procedimento in esame, così da consentire, sino all’ultimo istante, una tale facoltà, senza tuttavia che tale previsione possa deporre nel senso di consentire la totale assenza di motivi critici. Del resto, e in caso contrario, sarebbe stato altrimenti sufficiente, per il Legislatore, limitarsi a riportare esclusivamente la dizione per cu i motivi “possono” essere proposti contestualmente, e quindi anche dopo il
deposito della domanda di riesame, posto che tale espressione così interpretata sarebbe stata sufficiente per lasciare indiscriminato spazio alla proposizione, facoltativa, di motivi e in ogni tempo.
Che persista la necessità che la richiesta di riesame sia comunque supportata dalla redazione, in tale fase cautelare, ancorché non contestualmente alla domanda, di motivi di impugnazione, lo si evince del resto anche dalla lettera dell’art. 322 cod. proc. pen., laddove sono disciplinati i soggetti legittimati alla impugnazione in esame, prevedendosi che la domanda avverso il decreto di sequestro può essere proposta dell’ «imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione».
Anche con riguardo all’appello cautelare questa Corte ha evidenziato che « ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p., sono legittimati a proporre appello il pubblico ministero l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla restituzione».
Con affermazione che peraltro è valevole anche per il giudizio cautelare di riesame, si è altresì aggiunto, nella medesima sentenza sopra citata, che «secondo un costante orientamento interpretativo di questa Corte, avuto riguardo alla finalità dell’impugnazione, avente di mira la caducazione del titolo, gli aventi diritto all restituzione sono coloro che si trovano in una relazione giuridica o di fatto (purché tutelata dal diritto) con la res. Persona avente diritto alla restituzione è, pertanto non chi abbia un qualsiasi interesse alla restituzione, ma soltanto colui che sia titolare di una posizione giuridica autonomamente protetta, coincidente, quindi, con un diritto soggettivo assoluto od anche con un mero rapporto di fatto tutelato da diritto» (Sez. 6, n. 862 del 21/02/2000, COGNOME, Rv. 220570 – 01 e Sez. 6, n. 3775 del 02/11/1994, dep. 1995; anche in motivazione, Sez. 2, n. 43967 del 19/10/2022, COGNOME, Rv. 283990 – 02).
Ebbene, tra tali legittimati all’impugnazione cautelare, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, nella misura in cui si prospettino quali terzi interessati, come tali distinti dall’indaga come noto non possono, in via generale (fatte salve le precisazioni operate da questa Corte con riguardo alle pretese delle persone giuridiche proprietarie del bene sottoposto a sequestro ai fini di confisca diretta: v. Sez. 3, n.9709 del 10/10/2023, dep. 2024, Università degli studi Niccolò Cusano telematica, Rv. 286032 – 02), presentare deduzioni in ordine al fumus del reatoed al perículum in mora, trattandosi di profili non pertinenti direttamente a tali parti private, so eventualmente presenti nel procedimento penale e come tali non legittimate a dispiegare un mero intervento ad adiuvandum in favore dell’indagato, i cui aspetti di interesse quindi, a partire da quelli inerenti il fumus commissi delicti, non possono che essere affidati alla sua sfera di azione processuale. Si tratta invero di
soggetti la cui posizione processuale è nettamente distinta, sotto il profilo difensivo, da quella dell’indagato e dell’imputato, i quali, in quanto assoggettati all’azione penale, possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege senza alcuna necessità di procura speciale, che è imposta solo per i casi di atti cd. “personalissimi”.
Al contrario deve dirsi per il terzo interessato che, al pari dei soggetti indica dall’art. 100 cod. proc. pen., è portatore di interessi civilistici, per cui, oltre a poter stare personalmente in giudizio, ha un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore, come del resto avviene nel processo civile ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. In tale quadro, appare diffuso e coerente l’indirizzo di questa Corte, che ha più volte precisato che in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione de bene oggetto di sequestro, può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza d un proprio contributo al reato attribuito all’indagato, senza potere contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare (Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, Pica, Rv. 276700 – 01; Sez. 6, n. 420:37 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268070 – 01; nel medesimo senso, tra le altre, ancorché con riguardo a casi concreti diversi, inerenti la confisca, Sez. 2, n. 53384 del 12/10/2018, Lega Nord, Rv. 274242 – 02, per cui, in motivazione, si ritiene che il terzo interessato da un provvedimento di sequestro preventivo o coinvolto nella confisca penale di un bene, non abbia, di massima, titolo né per partecipare al giudizio di merito sul fatto di reato che costituisce il presupposto tanto della misura cautelare reale che del provvedimento ablativo, né per impugnare le sentenze emesse nel corso del procedimento penale). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, il fumus commissi delicti e il periculum in mora sono i presupposti che, secondo la tesi qui in discussione, dovrebbero costituire l’oggetto, interamente devoluto al tribunale, su cui il collegio della cautela dovrebbe comunque pronunziarsi pur in assenza di deduzioni dell’interessato. In tale prospettiva, allora, dovendo i soggetti terzi interessati limitarsi solo a dedurre la titolarità bene sequestrato e la loro estraneità rispetto al reato, ovvero profili diversi dal periculum e dal fumus, gli stessi non potrebbero assolutamente astenersi dal proporre deduzioni pertinenti alla loro pretesa restitutoria ed estranee, tuttavia, a predetti requisiti del sequestro; così trovando ulteriore conferma il principio, da ritenersi valevole per tutti i legittimati ex art. 323 cod. proc. pen., della necessar prospettazione di censure impugnatorie. Del resto, anche con riferimento ai casi in cui si ritenga possibile dedurre critiche rispetto al fumus e al periculum in mora, ciò non escluderebbe comunque, l’onere, principale e preliminare rispetto alla
deduzione delle censure relative ai presupposti del sequestro, di rappresentare necessariamente e quindi dedurre esplicitamente nell’atto di impugnazione, le ragioni della titolarità del bene in vinculis e della propria buona fede.
Smentendo, anche in quest’ultima prospettiva, la tesi della non necessaria deduzione di motivi di impugnazione in sede di riesame.
Diversamente, a seguire l’indirizzo qui non condiviso, tale principio dovrebbe essere limitato solo nei confronti di alcuni dei soggetti legittimati, ex art. 322 cod proc. pen., alla richiesta di riesame, con esclusione di altri; ma tale articolat distinzione, oltre a non trovare conforto nel principio generale di necessaria motivazione dell’impugnazione, non trova fondamento, come invece sarebbe necessario, quale eccezione alla regola, neppure in una esplicita formulazione derogatoria alla stessa, pur nel quadro della peculiare disciplina del procedimento di riesame.
In altri termini, le suesposte considerazioni letterali e sistematiche delle norme citate, e la considerazione di principi generali in tema di impugnazione, come tali derogabili solo in presenza di precise e puntuali deroghe, portano a concludere, ad avviso di questo collegio, che non vi è incompatibilità tra la natura interamente devolutiva del giudizio di riesame e la necessità che la relativa richiesta sia comunque supportata da motivi di impugnazione.
Del resto, mentre si rinviene sul piano normativo un principio generale in ordine alla necessaria deduzione di motivi di impugnazione, non può dirsi lo stesso in ordine al tipo di effetto devolutivo conseguente ad un atto di impugnazione, essendo indiscusso che esso possa presentare, secondo le legittime e ragionevoli scelte del Legislatore, carattere parzialmente o totalmente devolutivo.
Né è sancita tra i due aspetti una necessaria correlazione o, a seconda della prospettiva privilegiata, incompatibilità.
Nulla invero esclude che, pur in presenza di necessari motivi espressamente dedotti, il tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., espressamente richiamato dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., possa «annullare il provvedimento anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso».
In altri termini, per quanto sinora osservato, nessuna equivalenza sussiste tra la natura interamente devolutiva del giudizio di riesame e la esclusione dell’obbligo di motivare la domanda di riesame, trattandosi di due profili distinti e tra lor pienamente compatibili.
Né appare ragionevolmente concepibile l affermazione, reiterata nell’indirizzo qui in discussione, per cui in assenza di ogni motivo il collegio potrebbe allora limitarsi ad una succinta motivazione sui requisiti del sequestro, atteso che ove sussista un
obbligo di controllo generale dei presupposti delle misure cautelari reali oltre che personali, tale dovere non può che estrinsecarsi in una piena valutazione e in una altrettanto piena ed articolata motivazione su ogni profilo.
Tale ultima affermazione sembra tradire, piuttosto, la difficoltà di conciliare la necessaria deduzione di censure difensive, quale inevitabile parametro, anche qualitativo, su cui poter validamente verificare l’obbligo motivazionale del giudice dell’impugnazione, con la tesi della non necessità delle deduzioni stesse.»
1.4. Come in quella sede allora, anche qui non può che ribadirsi, in conclusione, in conformità con l’indirizzo già richiamato sopra, la necessità, per l’interessato, di corredare la richiesta di riesame con appositi motivi e quindi l’obbligo, per lo stesso, ove proponga ricorso in cassazione, di dedurre motivi corrispondenti alle questioni che siano state già sottoposte al previo vaglio del tribunale di riesame, pena l’inammissibilità della deduzione, siccome nuova (in linea con tale impostazione tra i precedenti pure già citati Sez. 6, n. 1008 del 23/02/2000, Russano, Rv. 215865).
Sicchè quanto al secondo motivo, riguardante la carenza di motivazione in ordine al periculum della ordinanza impugnata, si deve riaffermare quanto sopra osservato, nel senso che si tratta di questione non sollevata in sede di riesame e che come tale non può essere recuperata in questa sede.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente è indagato per il reimpiego di beni provenienti da delitto ovvero per avere concorso nel delitto di cui all’ad 11 d.lgs 74/2000.
2.1.In tale prospettiva non incide sulla sussistenza del fumus l’entità del prezzo figurato per l’acquisto dei beni, essendo state svolte ampie motivazioni dal Tribunale nella ordinanza impugnata in ordine alla gravità indiziaria circa le condotte artificiose per sottrarre i beni alla garanzia del fisco con il concorso de ricorrente.
Ci si riferisce alla indicata tempistica della costituzione della nuova società RAGIONE_SOCIALE -20 gennaio 2022- e dei trasferimenti di beni mobili ed immobili; alla coincidenza delle sedi legali della predetta società, oltre che della RAGIONE_SOCIALE e della ditta individuale COGNOME rispetto alla quale è stat accertato, come da attività investigativa comprovata in atti, il danno erariale corrispondete alla complessiva cifra di euro 1.780.162,00; alla medesimezza dell’oggetto sociale delle tre società; alla coincidenza del personale dipendente delle tre società; alla assunzione a tempo determinato della NOME con la qualifica di responsabile di piccola azienda di trasporti da parte della società facente capo alla figlia; alla continuità della gestione dell’attività sociale tra le
costituite società con medesimi beni aziendali, medesima sede, medesime maestranze.
2.2. Va premesso che, a norma dell’art.325 cod.proc.pen., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5876 del 28/1/2004, P.C. F. in proc. B., Rv.226710), nella nozione di “violazione di legge” rientrano, però, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art.125 cod.proc.pen., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art.606 lett.e) c.p.p.
Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n.25932 del 29/5/2008-1., Rv. 25932, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
2.3. La verifica del compiuto accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto “sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, ai fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di ragionevole probabilità- di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sussistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro” (ex multis Cass.pen.sez.,3 n.40189 del 2006- ric.D.L.).
Esercitando, è vero, un controllo che non può limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall’accusa al fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, tenendo conto, nell’accertamento del fumus commissi delicti, degli elementi dedotti dall’accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive, c riferimento ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtual (principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, C.; 1.7.1996, C.; 30.11.199, R.; 2.4.2000, P.M.c.C.; n.5145/2006). Anche più di recente è stato
ribadito che, nella valutazione del fumus commissi dell’ed, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato (Cass. sez.5 n.49596 del 16.9.2014; conf. sez. n.28515 del 21.5.2014; sez. 4 n. 15448 del 14.3.2012; sez. 5 n.49596 del 16.9.2014; sez. 3 n.26197 del 5.5.2010).
2.4. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi ed ha svolto un motivazione esente da vizi logici ancorata ai dati processuali svolgendo rispetto ad essi una prognosi effettiva sulle ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria e plausibile una definizione giudiziale negativa per l’indagato .
Ha, come anticipato, motivato diffusamente sulla struttura del reato di cui all’art. 11 D.L.vo 74/2000, ed in ordine al meccanismo fraudolento, posto in essere in favore dell’indagata titolare della ditta individuale gravata dei debiti erarial compiuto con la complicità dei figli e delle relative società a loro riconducibili pe sottrarre i propri beni alla garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori ed particolare dell’Erario (in ordine al pagamento delle imposte).
Ha precisamente connotato la posizione del singolo indagato, e ha ritenuto sussistente il contributo causale fornito dal ricorrente nella realizzazione della fattispecie e, soprattutto, il dolo specifico richiesto dalla norma (finalità di sottr al pagamento del debito tributario), valutando l’argomento difensivo svolto circa il prezzo vantaggioso pagato per l’acquisto dei beni come non rilevante nella ricostruzione illecita del meccanismo fraudolento e causalmente significativo per il raggiungimento dello scopo elusivo.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2024
La Consigliera est.
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