Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9946 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato ad Altamura il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato ad Altamura il DATA_NASCITA
MANGIATORDI NOME, nato ad Altamura il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo: l’accoglimento dei ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; che il ricorso di COGNOME NOME sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento di esso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 9061 del 24/09/2012, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione – nel rigettare i ricorsi che erano stati proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del 12/07/2011 della Corte d’appello di Bari con riguardo ai motivi degli
stessi ricorsi relativi all’affermata responsabilità penale dei ricorrenti per il re di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 d d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e per i reati-fine di vendita illecita delle stess sostanze (art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990) – annullava, tuttavia, la suddetta sentenza del 12/07/2011 della Corte d’appello di Bari limitatamente, per quanto qui ancora interessa:
nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, al denegato riconoscimento della continuazione tra i reati sub iudice e quelli di cui a precedenti sentenze irrevocabili, segnatamente:
a.1) quanto a NOME COGNOME, alla sentenza di applicazione della pena su richiesta (di due anni e nove mesi di reclusione ed C 12.000,00 di multa) del 09/05/2007 del G.i.p. del Tribunale di Bari, divenuta irrevocabile il 30/01/2008 (fatto di detenzione a fini di spaccio di kg. 5,5 di hashish commesso in Altamura il 21/12/2006, in occasione del quale il COGNOME fu arrestato in flagranza di reato);
a.2) quanto a NOME COGNOME, alla sentenza di condanna (a quattro anni e otto mesi di reclusione ed C 18.000,00 di multa) del 18/06/2009 della Corte d’appello di Bologna, divenuta irrevocabile il 11/06/2010 (fatto di detenzione a fini di spaccio del medesimo quantitativo di kg. 5,5 di hashish commesso in Bologna il 07/02/2007, in occasione del quale il COGNOME fu anch’egli arrestato in flagranza di reato);
b) nei confronti di NOME COGNOME, alla confisca di un bene immobile e di un’autovettura intestati, rispettivamente, alla moglie e alla sorella dell’imputato, che era stata disposta ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
La Sesta sezione penale della Corte di cassazione rinviava perciò per un nuovo giudizio sugli indicati punti ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.
Con sentenza del 17/01/2023, la Corte d’appello di Bari, giudicando in sede di rinvio:
quanto alle posizioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, riconosciuta la continuazione tra i più gravi reati sub iudice e i meno gravi reati di detenzione a fini di spaccio del quantitativo di kg. 5,5 di hashish oggetto delle due sopra menzionate sentenze irrevocabili, irrogava, per la continuazione con questi due ultimi reati: a.1) a NOME COGNOME, l’aumento di pena di otto mesi di reclusione, rideterminando la pena a lui complessivamente irrogata in otto anni e quattro mesi di reclusione; a.2) a NOME COGNOME, l’identico aumento di pena di otto mesi di reclusione, rideterminando la pena a lui complessivamente irrogata in sette anni e quattro mesi di reclusione;
quanto alla posizione di NOME COGNOME, confermava la confisca dei summenzionati bene immobile e autovettura, reputando che gli stessi fossero stati solo fittiziamente intestati, rispettivamente, alla moglie e alla sorella dell’imputato
Avverso l’indicata sentenza del 17/01/2023 della Corte d’appello di Bari, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 81, 132 e 133 cod. pen.; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 125 dello stesso codice; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente lamenta anzitutto che la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva di motivazione in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per il meno grave reato di cui alla sentenza di “patteggiamento” del 09/05/2007 del G.i.p. del Tribunale di Bari, divenuta irrevocabile il 30/01/2008, atteso che la Corte d’appello di Bari avrebbe del tutto omesso di spiegare in base a quali criteri fosse giunta determinare il suddetto aumento, neppure mediante il ricorso a formule quali «è congrua» o «si stima equa”.
In secondo luogo, COGNOME lamenta che la stessa Corte d’appello di Bari, nell’irrogare l’indicato aumento di pena di otto mesi di reclusione, avrebbe omesso di applicare, come sarebbe invece stato necessario fare, «la riduzione per il rito speciale prescelto (art. 444 c.p.p.)».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, che è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992.
Dopo avere ripercorso lo sviluppo del processo e avere riassunto la motivazione della sentenza impugnata sul punto della conferma della confisca nei propri confronti, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bari avrebbe reso al riguardo una motivazione non in linea con i principi in tema di confisca ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 e non «esaustiva» rispetto alle proprie specifiche doglianze, che sarebbero state disattese con una motivazione meramente apparente, anapodittica e contraddittoria, la quale sarebbe ricorsa «ad un mero automatismo estendendo la confisca indistintamente a tutti i beni riconducibili al COGNOME, senza operare alcun distinguo», ritenendo che tutti indistintamente tali beni costituissero un’illecita accumulazione patrimoniale per il solo fatto che egli era stato condannato per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n 309 del 1990.
Nell’affermare che, «mentre per gli altri beni mobili registrati intestati a terze persone, si può ammettere che il relativo costo di acquisto, fossero stati in parte o quasi integralmente saldati con risorse provenienti dalle attività illecite poste in essere da COGNOME», il ricorrente deduce che, con riguardo all’immobile sito in INDIRIZZO, INDIRIZZO, che era stato acquistato dalla propria moglie NOME COGNOME con atto del 26/10/2007, aveva «offerto prova contraria alla presunzione» e che, ciò nonostante, la Corte d’appello di Bari aveva omesso di valutare come insussistente la sproporzione rispetto ai suoi redditi con specifico riguardo all’acquisto del suddetto bene immobile. In proposito, il ricorrente rappresenta che tale immobile era stato acquistato dalla propria moglie accendendo, a proprio nome, un mutuo di C 80.000,00 e che la somma che era stata versata a titolo di anticipo «era il frutto di risparmi personali della donna che, purtroppo, non ha potuto dimostrare in modo esaustivo». In particolare, tali risparmi «provenivano dall’aiuto economico riconosciuto dalla madre per l’opera di assistenza a lei svolta dalla figlia, nonché da altri lavori di pulizie presso alt famiglie».
Il ricorrente aggiunge che, «quand’anche, come nel caso in esame, la parte non sia riuscita ad allegare circostanze puntuali circa la derivazione dei beni, nel caso specifico l’immobile, da operazioni lecite, il Giudice avrebbe dovuto escludere l’applicazione dell’automatismo poc’anzi censurato, per dedurre che il mancato assolvimento dell’onere probatorio, sia dipeso esclusivamente dalla difficoltà di fornire un elemento non producibile».
Il COGNOME contesta ancora che la sentenza impugnata: a) non motiverebbe in ordine al fatto che «la confisca fosse stata adottata a distanza di tempo rispetto all’unico accertamento probatorio fornito dall’accusa e consistito nella informativa dei Carabinieri di Altamura, confluita nel sequestro preventivo disposto con provvedimento del 17.12.08»; b) non risponderebbe alla censura difensiva che «la sproporzione dei valori andasse accertata sulla base dei redditi e delle attività economiche esistenti al momento dell’acquisizione del bene non già al momento del sequestro».
5. Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 81 e 133 cod. pen. e all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, la mancanza della motivazione con riguardo alla determinazione dell’aumento di pena per il meno grave reato di cui alla sentenza di condanna del 18/06/2009 della Corte d’appello di Bologna divenuta irrevocabile il 11/06/2010, in quanto la Corte d’appello di Bari avrebbe irrogato tale aumento senza operare alcun riferimento ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., rendendo così
impossibile conoscere gli elementi che hanno indotto la stessa Corte d’appello ad attribuire al suddetto reato quel determinato valore ponderale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché è stato proposto da un difensore non munito di specifico mandato a impugnare, rilasciato dall’imputato dopo la pronuncia della sentenza di appello.
Il comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. – comma aggiunto dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2020, n. 150 – stabilisce che, «el caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza».
A norma dell’art. 89, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2022, tale disposizione si applica alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore dello stesso decreto (30/12/2022), essendo irrilevante che la dichiarazione di assenza sia avvenuta prima o dopo l’entrata in vigore della cosiddetta riforma “Cartabia”.
La Corte di cassazione ha chiarito che la suddetta nuova causa di inammissibilità dell’impugnazione, in mancanza di indici normativi contrari, si applica anche al ricorso per cassazione, atteso che la menzionata disposizione è collocata tra le norme generali sulle impugnazioni, sicché, nei casi disciplinati dalla norma, avverso la sentenza pronunciata in data successiva al 30 dicembre 2022, occorre, per proporre ricorso per cassazione, lo specifico mandato ivi previsto (Sez. 3, n. 46690 del 09/11/2023, Baum; Sez. Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME NOME, Rv. 285324-02; Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 28530501).
Posto che la sentenza qui impugnata è stata pronunciata (il 17/01/2023) successivamente al 30/12/2022, si deve rilevare che, come risulta dai verbali delle udienze del 23/01/2020, 05/03/2020, 15/10/2020, 09/02/2021, 15/06/2021, 25/01/2022, 05/04/2022, 20/09/2022 e 17/01/2023, la Corte d’appello di Bari ha proceduto in assenza dell’imputato NOME COGNOME.
Pertanto, ai sensi del citato comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., con il proposto ricorso per cassazione doveva essere depositato, a pena d’inammissibilità dello stesso ricorso, specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza della Corte d’appello di Bari.
Orbene, un siffatto mandato non è menzionato nel ricorso, non è stato a esso allegato e, comunque, non è stato rinvenuto agli atti, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
La presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 (ora art. 240-bis cod. pen.), non opera in realtà nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull’accusa l’onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata dallo stesso, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non già a quello dell’applicazione della misura (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, COGNOME, Rv. 275406-01).
Richiamato tale principio, il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Bari abbia in realtà adeguatamente motivato la sproporzione dei beni intestati alla moglie del COGNOME NOME rispetto al reddito dichiarato e all’attività economica esercitata dalla stessa COGNOME con riferimento al momento dell’acquisto dell’immobile (26/10/2007), avendo evidenziato come la sig.ra COGNOME risultasse avere acquisito un’autonoma capacità reddituale (da lavoro dipendente) solo dal 2009, sicché sia la corresponsione, da parte sua, della somma di € 45.000,00 a titolo di anticipo, sia l’impegno che essa aveva assunto stipulando un contratto di mutuo – atti che erano intervenuti entrambi nel 2007, al momento dell’acquisto del bene immobile – apparivano come del tutto sproporzionati rispetto agli inesistenti reddito e attività della RAGIONE_SOCIALE al momento dell’acquisto dell’immobile. Con la conseguente del tutto logica conclusione – la quale sfugge, perciò, a censure in questa sede di legittimità – che la COGNOME si doveva ritenere intestataria fittizia dello stesso immobile e che questo, mercé tale interposizione, si doveva ritenere nella titolarità e disponibilità del COGNOME e, quindi, legittimamente assoggettato alla confisca “allargata” ex art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
3.1. Con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269-01), le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato più grave e a stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
Questo rigore astrattamente richiesto ai giudici di merito nel determinare l’aumento di pena per ciascuno dei reati in continuazione deve essere peraltro calato, di volta in volta, nel caso concreto, atteso che, come è stato chiarito dalle Sezioni unite nella stessa sentenza COGNOME, il grado di impegno motivazionale che
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è richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi ed è funzionale a consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risulti rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia oper surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
Già in un’ormai risalente pronuncia delle stesse Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549-01), si era del resto posto l’accento sulla funzione della motivazione come preordinata al controllo sul buon uso del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena, sicché non si poteva ritenere consentita, in quanto non permetteva il suddetto controllo, la determinazione della pena complessiva senza alcuna indicazione di quella stabilita per ciascun reato, del reato ritenuto più grave e dell’aumento per la continuazione.
Nel sottolineare come il peso (in termini di aumento di pena irrogata) attribuito dal giudice a ciascuno dei reati satellite concorra a determinare il ragionevole trattamento sanzionatorio – con la conseguente necessità che siano resi palesi gli elementi che hanno condotto la stesso giudice al risultato al quale è pervenuto – la sentenza COGNOME non ha peraltro mancato di sottolineare il consolidato il principio secondo cui, quando venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che non al massimo edittale, il mero richiamo ai «criteri di cui all’art. 133 c.p.» si deve ritenere motivazione sufficiente per dimostrare l’avvenuta ponderazione di una pena adeguata all’entità del fatto, atteso che l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più s attenua quanto maggiormente la pena in concreto irrogata si avvicina al minimo edittale (le Sezioni unite hanno richiamato, sul punto: Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464-01; Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537-01).
3.2. Tanto premesso in ordine alla disciplina che governa il dovere di motivazione in ordine alla quantificazione della pena anche con riguardo agli aumenti per i reati satellite, si deve rilevare che, nel caso di specie, la Corte d’appello di Bari ha irrogato al COGNOME, per il meno grave reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente (essendogli stata irrogata, per il più grave reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la pena di dieci anni di reclusione, diminuita, per le concesse circostanze attenuanti generiche, a sei anni e otto mesi di reclusione) oggetto della sentenza di condanna del 18/06/2009 della Corte d’appello di Bologna, divenuta irrevocabile il 11/06/2010, l’aumento di pena di otto mesi di reclusione.
Ciò a fronte di una pena che era stata irrogata per lo stesso reato dalla Corte d’appello di Bologna di quattro anni e otto mesi di reclusione ed € 18.000,00 di
multa e di un fatto che riguardava la detenzione a fini di spaccio dell’ingente quantitativo di kg. 5,5 di hashish.
Risulta quindi determinante, nel caso di specie, il fatto che l’irrogato aumento di pena di otto mesi di reclusione appare evidentemente di esigua entità, anche in rapporto alla pena che era stata originariamente inflitta dalla Corte d’appello di Bologna e all’ingente quantità della sostanza detenuta.
A fronte di ciò, il ricorrente neppure censura la concreta quantificazione che è stata operata dalla Corte d’appello di Bari né rivolge specifiche critiche in ordine al concreto rispetto dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., dolendosi unicamente dell’omessa motivazione circa la quantificazione dell’aumento di pena, sicché non si può ritenere neppure evidenziato quale concreto interesse sorreggerebbe il suo ricorso.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/02/2024.