Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46124 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46124 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 26/07/1992
avverso la sentenza del 03/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’applicazione dell’art. 61, comma primo, n.5, cod. pen. non è consentito in questa sede, oltre che manifestamente infondato;
che, infatti, in primis, deve osservarsi come la suddetta doglianza non risulta connotata dai requisiti richiesti, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., poiché fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, in secundis, giova evidenziare come l’accertamento della condizione della minorata difesa implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e come tale non censurabile in questa sede, qualora – come nel caso di specie – sia sorretto da un non illogico apparato argonnentativo, dovendosi a tal proposito ribadire che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, poiché il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074);
che deve sottolinearsi come i giudici di appello, con una motivazione esente da vizi riconducibili all’art. art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (si veda in particolare, pag. 3 della impugnata sentenza), hanno adeguatamente esplicato le congrue e non illogiche ragioni poste a base della ritenuta sussistenza della circostanza de qua, facendo corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte;
osservato che anche il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta r eccessività della pena irrogata nei confronti del ricorrente, in particolare per mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in questa sede, oltre che manifestamente infondato, per le ragioni che di seguito si espongono;
che preliminarmente deve essere sottolineato come il ricorrente abbia sostanzialmente rivendicato un inesistente diritto al minimo della pena, dovendosi, invece, a tal proposito, sottolineare che la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, rientra nel potere
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discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142);
che nella specie, l’onere argomentativo del giudice, risulta adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si vedano, in particolare pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata);
che, in particolare, giova ribadire che quello che interviene in tema di attenuanti generiche è un giudizio di fatto, che, purché sorretto – come nel caso di specie – da una motivazione non contraddittoria e che dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 , COGNOME, Rv. 271269), non risulta sindacabile in sede di legittimità;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.