Impugnazione Patteggiamento: La Cassazione sui Limiti del Ricorso
L’impugnazione patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, poiché bilancia l’efficienza processuale con la necessità di garantire la corretta applicazione della legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i confini, molto stretti, entro cui è possibile contestare una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti. Il caso in esame riguarda un ricorso basato su una presunta errata qualificazione giuridica dei fatti, un tema cruciale per la tutela dei diritti dell’imputato.
Il Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
I fatti all’origine della vicenda giudiziaria vedono un imputato accordarsi con il Pubblico Ministero per l’applicazione di una pena concordata (il cosiddetto patteggiamento) per i reati di rapina e porto illegale di uno strumento da taglio. La sentenza veniva emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Modena.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di proporre ricorso per cassazione. La doglianza non riguardava l’accordo in sé, ma un aspetto tecnico-giuridico fondamentale: l’errata applicazione di due circostanze aggravanti previste per il reato di rapina. Secondo la difesa, tale errore avrebbe comportato una qualificazione giuridica del fatto non corretta, con conseguenze dirette sull’entità della pena patteggiata.
I Limiti Normativi all’Impugnazione Patteggiamento
La legge italiana, per favorire la deflazione del contenzioso e valorizzare l’accordo tra le parti, pone dei limiti molto precisi alla possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che il Pubblico Ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione solo per motivi specifici, tra cui:
* Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato;
* Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice;
* Erronea qualificazione giuridica del fatto;
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il caso in esame si inserisce proprio nella terza ipotesi, quella dell’errata qualificazione giuridica. L’imputato non contesta la sua volontà di patteggiare, ma sostiene che l’inquadramento legale del suo comportamento, comprensivo delle aggravanti, sia stato sbagliato a monte, inficiando la base stessa dell’accordo.
L’Errore sulla Qualificazione Giuridica come Motivo di Ricorso
Contestare la qualificazione giuridica significa sostenere che il giudice (e prima ancora il Pubblico Ministero) abbia inquadrato i fatti in una norma penale sbagliata. Nel caso di specie, la difesa lamenta che siano state applicate le aggravanti previste dall’articolo 628, terzo comma, nn. 1 e 2 del codice penale, senza che ne ricorressero i presupposti. Questo tipo di errore non è una semplice valutazione di merito (che non può essere discussa in Cassazione, tantomeno dopo un patteggiamento), ma un vero e proprio errore di diritto, che incide sulla legalità della pena concordata.
Le Motivazioni
L’ordinanza della Corte di Cassazione, nel prendere in esame il ricorso, non entra nel merito della fondatezza della doglianza, ma si concentra sulla sua ammissibilità. La motivazione implicita nell’atto è che il ricorso, così come formulato, rientra astrattamente in una delle casistiche previste dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. La legge, infatti, intende fornire un rimedio estremo per correggere errori giuridici macroscopici che possono verificarsi anche in un contesto di accordo processuale. Permettere il ricorso per un’erronea qualificazione giuridica garantisce che il patteggiamento non diventi un veicolo per l’applicazione di pene basate su un’interpretazione palesemente errata della legge penale. Il controllo della Cassazione, quindi, si pone come un presidio di legalità anche nell’ambito dei riti alternativi.
Le Conclusioni
La vicenda sottolinea un principio fondamentale: l’accordo tra accusa e difesa nel patteggiamento non può mai derogare ai principi di legalità. Sebbene la volontà delle parti sia centrale, essa deve sempre muoversi all’interno di una corretta cornice giuridica. La possibilità di ricorrere in Cassazione per un’erronea qualificazione del fatto, anche dopo un patteggiamento, serve a correggere eventuali storture e a garantire che la pena, seppur concordata e ridotta, sia sempre giusta e conforme alla legge. Questa apertura, seppur limitata, rafforza la fiducia nel sistema giudiziario, assicurando che l’efficienza processuale non vada mai a scapito della corretta applicazione del diritto.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
La legge limita fortemente l’impugnazione patteggiamento. Tuttavia, l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. prevede delle eccezioni, consentendo il ricorso in Cassazione per motivi specifici, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto.
Qual era il motivo del ricorso nel caso specifico?
L’imputato ha contestato l’applicazione di alcune circostanze aggravanti del reato di rapina (previste dall’art. 628, comma 3, nn. 1 e 2 c.p.), sostenendo che ciò costituisse un’errata qualificazione giuridica del fatto.
Cosa si intende per “erronea qualificazione giuridica del fatto”?
Si tratta di un errore nell’inquadrare il comportamento dell’imputato nella corretta norma penale. Nel caso in esame, l’errore riguarderebbe l’aver ritenuto esistenti delle aggravanti che, secondo la difesa, non sussistevano.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25365 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 25365 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Napoli 1’11/09/1971 avverso la sentenza del 20/03/2025 del GIP TRIBUNALE MODENA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con la sentenza in epigrafe, Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, ha applicato al ricorrente, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena concordata tra le parti in relazione ai reati di rapina, porto illegale di strument da taglio.
Ricorre per cassazione l’imputato dolendosi della applicazione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 628, terzo comma, nn. 1 e 2 cod.pen. dovuta ad una errata qualificazione giuridica del fatto.
Ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 50 della legge n. 103 del 23 giugno 2017, precedente alla richiesta dì applicazione della pena, il Pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’errone qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura sicurezza.
Ne consegue che sono inammissibili ex
art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto non consentiti dalla legge, i motivi di ricorso che, come quello in esame,
attengono all’applicazione di circostanze aggravanti che facevano parte dell’accordo sulla pena non illegalmente determinata e che discenderebbero da
una errata qualificazione giuridica del fatto genericamente dedotta.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 27/05/2025.