Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18870 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 18870 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMECUI 03IOCEU) nato il 17/09/1989
avverso la sentenza del 26/02/2025 del TRIBUNALE di PERUGIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto in fatto
Con la sentenza del 26 febbraio 2025, il Tribunale di Perugia ha disposto l’applicazione di pena, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., nei confronti di NOME, imputato del delitto di cui all’art. 625 bis, comma secondo, cod. pen., recependo l’accordo nel suo interesse raggiunto con il Pubblico Ministero.
Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato, denunciando, con un solo motivo, l’errata qualificazione giuridica del fatto, giacché dalla descrizione della vicenda operata dal giudice, l’imputato ha sfilato la borsa senza farsene accorgere, non utilizzando alcun tipo di violenza.
(
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1.1. L’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 50, legge 23 giugno 2017, n. 103, prevede che il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere nei confronti della sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto d correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto alla illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge 23 giugno 2017, n. 103, l’inammissibilità dell’impugnazione proposta
.
per motivi non consentiti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., va dichiarata senza formalità di rito, con trattazione camerale non partecipata.
Il Collegio condivide infatti l’interpretazione, che è stata seguita, in particolare, da Sez. 5, n. 28578 del 06/03/2018, COGNOME, Rv. 273323, secondo la quale la norma che è dettata nel secondo periodo del comma 5-bis dell’art. 610 cod. proc. pen. si pone in rapporto di specialità rispetto a quella che è prevista nel primo periodo dello stesso comma 5-bis – la quale dispone la trattazione senza formalità di procedura (e, quindi, de plano) dei soli ricorsi che rientrano nelle categorie di inammissibilità indicate in tale primo periodo – e l’assenza invece di qualsiasi distinzione, nel secondo periodo del comma 5bis, tra categorie di inammissibilità dei ricorsi contro le sentenze di “patteggiamento”, conduce logicamente alla conseguenza dell’applicazione della procedura de plano in tutti i casi in cui il ricorso avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. si riveli inammissibile.
Come ribadito, da ultimo, da Sez. U., n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886, si tratta di una disciplina che persegue finalità deflattive, garantite da un procedimento che assicuri un più rapido passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, in considerazione delle sue peculiarità, perché il consenso dell’imputato all’applicazione della pena rende superfluo lo svolgimento di un giudizio a cognizione piena e legittima la limitazione dei casi di impugnazione.
Pertanto, solo l’illegalità della pena, ritenuta dalla Corte di cassazione, a prescindere dalla denominazione del vizio evocato nel ricorso, determina la possibilità del sindacato della Corte.
La deducibilità in Cassazione dell’erronea qualificazione del fatto, siccome operata dalla sentenza di patteggiamento, è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, Rv. 281116, PG in proc. NOME), con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento (Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 275971; Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272619).
Già prima dell’introduzione dell’ad, art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., questa Corte aveva affermato, del resto, che, in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata anche con una succinta descrizione del fatto e con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso (Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 234824).
Nel caso in esame tale errore manifesto certamente non sussiste posto che nel capo di imputazione veniva indicata puntualmente la condotta rientrante nel parametro di cui all’art. 625 bis, comma secondo, cod. pen.
Donde, essendo la sentenza impugnata motivata con riferimento a tutti i suddetti requisiti, il vizio dedotto deve ritenersi insussistente.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 alla
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna
,
Ihlcorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 4.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma l’8/5/2025
Il Consiglie estensore
La Presidente