Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38363 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38363 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/02/2024 del TRIBUNALE di PALERMO
L ato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. deducendo violazione di legge per erronea qualificazione giuridica dei fatto in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede ex art. 625, comma 7, cod. pen.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso è palesemente inammissibile per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 comma 5bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23.6.2017 n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.
Ed invero, a far tempo da tale ultima data, successivi alla quale sono sia la richiesta di patteggiamento che la relativa impugnativa (cfr. art. 1, co. 51, della I. 23.6.2017 n. 103) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità delld pena e della misura di sicurezza” (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n.103/17).
Orbene, é agevole rilevare che al di là della mera enunciazione di un motivo di ricorso, formalmente consentito, la contestazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto risulta inconsistente e si risolve in una formula vuota di contenuti, non risultando in alcun modo evidenziati gli elementi di fatto, giustificativi di un diverso inquadramento giuridico del fatto, neppure indicato, o sostanzianti l’erronea qualificazione giuridica attribuita al fatto e ritenuta in sentenza.
Condivisibilmente, questa Corte di legittimità ha affermato -e va qui ribaditoche l’erroneità della qualificazione giuridica del fatto, meramente enunciata, scherma la richiesta di una sentenza di proscioglimento, parimenti immotivata, che, in sostanza, elude i limiti normativi (Sez. 6, ord. n. 2721 del 8/1/2018, Bouaroua, Rv. 272026). E, in ogni caso, che a seguito dell’introduzione dell’art. 448 comma 2 bis cod. proc. pen. la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione, del fatto contenuto in una sentenza di patteggiamento è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo del ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (così sez. 6 ord. 3108 dell’8.1.2018, Antoci, Rv 272252); e, del pari, è stato affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi
dell’art. 448, co. 2 bis, cod. proc. pen. l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi, in diritto, che non risultino evidenti d testo del provvedimento impugnato (Sez 1 n. 15553 del 20/03/2018, Rv 272619);
E’ da tempo consolidato, peraltro, l’indirizzo di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Sez. 3, n. 34902 del 24/6/2015, COGNOME ed altro, Rv, 264153 in un caso in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nella qualificazione del fatto di cui alla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, a fronte della detenzione da parte dei due imputati rispettivamente di kg. 110 e 45 lordi di hashish; conf. Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865; Sez. 4, n. 10692 dell’ 11/3/2010, COGNOME, Rv. 246394; Sez. 6, n. 45688 del 20/11/2008, Bastea, Rv. 241666).
La possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, in altri termini, è limitata ai casi in cui tale quali ficazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (cfr. Sez. 7, Ord. n. 39600 del 10/9/2015, Casarin, Rv. 264766).
In particolare, non sono consentite impugnazioni -come nel caso che ci occupa- generiche o che richiamino, come passaggio logico indispensabile della deduzione, aspetti in fatto e probatori che non risuitino con immediatezza, quindi senza alcuna possibilità e tantomeno necessità di interpretazione o integrazione, dalla contestazione. Pertanto, ogni argomentazione pur in diritto che non deduca la palese eccentricità della qualificazione giuridica che è stata proposta al giudice e da questi condivisa, e richieda, per il proprio esame, una premessa in fatto che non risulti con la evidenziata necessaria peculiare immediatezza dal capo di imputazione, è comunque del tutto preclusa.
Va considerato che la modifica normativa ha inteso circoscrivere ai casi tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento al fine di contenere e limitare i ricorsi, spesso
strumentali, proposti avverso detto tipo di senten:a, che origina dall’accordo tra le parti e presuppone l’implicita rinuncia dell’imputato a questioni sulla colpevolezza ovvero di tutte le parti che hanno partecipato all’accordo alla diversa qualificazione dei fatti reato e su profiii fattuali, non apprezzabili in sede di legittimit nonché la carenza di interesse a contestare l’applicazione della pena nella misura proposta, purché legale, e ad esigere una articolata motivazione su detti punti, quando la sentenza corrisponda alla volontà pattizia del giudicabile.
Nel caso di specie i dati di fatto, chiaramente descritti nel capo di imputazione, corrispondono alle fattispecie contestate in relazione alle quali le parti hanno liberamente raggiunto l’accordo, ratificato dal giudice, previa verifica del loro corretto inquadramento giuridico.
Va evidenziato peraltro che costituisce ius receptum che sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. peri. – “sub specie” di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede – nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, considerato che nei supermercati – in cui la scelta delle merci avviene con il sistema del “self service” – la vigilanza praticata dagli addetti è priva di carattere continuativo e si connota come occnsionale e/o a campione, mentre l’esclusione dell’aggravante in questione richiede che sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente, a tal fine, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale (cfr. ex multis Sez. 5, n. 6416 del 14/11/2014, dep. 2015, Garofalo, Rv. 262663 – 01 Sez. 5, Sentenza n. 8019 del 22/01/2010 Ud. Addjani Rv. 246159 – 01).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n, 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 3/10/2024