Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16385 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Ord. Sez. 2 Num. 16385 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME – Presidente – NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – Relatore – NOME COGNOME
Ord. n. sez. 645/2025
CC – 03/04/2025
R.G.N. 6775/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Tarquinia il 17/07/1997 avverso la sentenza del 21/01/2025 del Tribunale di Perugia
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
preso atto che il procedimento in parola viene trattato con il rito ‘de plano’
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui, in data 21 gennaio 2025, il Tribunale di Perugia ha applicato, su concorde richiesta delle parti, la pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 600,00 di multa in relazione ai reati di cui al capo di imputazione.
Il ricorrente lamenta, con l’unico motivo di impugnazione, violazione degli artt. 393 e 629 cod. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione giuridica del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Secondo la difesa, la condotta descritta al capo A) della rubrica andava inquadrata nel paradigma normativo del reato di cui all’art. 393 cod. pen. in considerazione dei ‘ reciproci rapporti intercorsi tra il prevenuto e la p.o. e i successivi scambi organizzati proprio da quest’ultima ‘ (vedi pag. 2 del ricorso).
3. L’unico motivo di ricorso è assolutamente generico
Deve essere, preliminarmente, ricordato che l’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. prevede espressamente che il giudice valuti anche la correttezza della «qualificazione giuridica del fatto», al fine di evitare che il patteggiamento sulla pena si risolva in una impropria negoziazione dell’accusa, vale a dire in un accordo sui
reati e sulle stesse imputazioni, in violazione dell’art. 112 della Costituzione.
Ciò premesso, il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui la possibilità di ricorrere per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza, deve essere limitata ai casi di errore manifesto, vale a dire quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (vedi Sez. 6, n. 25617 del 25/06/2020, Annas, Rv. 27957301-01; Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842-01).
La verifica sul punto, peraltro, deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 46373 del 26/01/2017, COGNOME NOME COGNOME, Rv. 271789-01; Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018, COGNOME, Rv. 272026-01; Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 275971-01).
La medesima giurisprudenza di legittimità riconosce che si deve trattare di un errore che emerge dalla stessa sentenza impugnata perché espressivo di una palese svista del giudice, escludendosi l’ipotesi in cui il preteso errore sia individuabile per mezzo di una specifica attività di verifica degli atti del procedimento. In sostanza, ogni volta che la questione, da cui vorrebbe trarsi l’argomento per sostenere l’erronea qualificazione giuridica, presenti -come nel caso in esame- margini di opinabilità, il giudice di legittimità ne ha sempre escluso la rilevanza in sede di verifica della sentenza di patteggiamento (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272619-01; Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, COGNOME, Rv. 283023-01).
Nel caso di specie, l’esame del contenuto del capo d’imputazione e della motivazione della sentenza impugnata non rivela alcuna manifesta erroneità della valutazione compiuta dal Tribunale in ordine alla qualificazione del fatto.
In particolare, il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le parti, da un lato escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ritenendo la correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati, dall’altro motivatamente ritenendo la congruità del trattamento sanzionatorio dalle stesse parti proposto.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti che ne consegue, appare pienamente adeguata ai parametri indicati per tale genere di decisioni dall’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, COGNOME, Rv. 191135-01; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202270-01; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, COGNOME, Rv. 214637-01).
Il ricorso, peraltro, è privo dei requisiti di specificità ed autosufficienza.
L’ipotizzata violazione di legge non è, infatti, immediatamente evincibile dal tenore dell’atto di impugnazione in quanto il ricorrente si è limitato alla mera declinazione di argomentazioni apodittiche prive di un nesso critico con la sentenza impugnata.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 3 aprile 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME