Impugnazione Patteggiamento: Quando è Possibile Appellarsi? L’Analisi della Cassazione
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente noto come “patteggiamento”, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo tra imputato e Pubblico Ministero e ratificato dal giudice, le possibilità di rimetterlo in discussione sono molto limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi confini dell’impugnazione del patteggiamento, chiarendo in particolare quando si può contestare la qualificazione giuridica del reato.
I Fatti del Caso in Esame
Il caso trae origine da una sentenza del GIP del Tribunale di Fermo che, su richiesta concorde delle parti, applicava a un imputato la pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione e 500 euro di multa per il reato di tentata rapina impropria aggravata. La pena detentiva veniva poi sostituita con lo svolgimento di 974 ore di lavoro di pubblica utilità.
Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, contestando la decisione del giudice.
I Motivi del Ricorso: L’Errata Qualificazione Giuridica
Il fulcro del ricorso verteva sulla presunta inosservanza ed erronea applicazione della legge. Secondo la difesa, il giudice del patteggiamento avrebbe omesso di effettuare un rigoroso controllo sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto. In altre parole, si sosteneva che il fatto, così come descritto nel capo di imputazione, non costituisse il reato di tentata rapina impropria, e che il giudice avrebbe dovuto rilevarlo prima di ratificare l’accordo sulla pena.
La difesa lamentava quindi una carenza di motivazione sul perché il giudice avesse ritenuto corretta tale qualificazione, violando il suo dovere di controllo sulla legalità dell’accordo.
L’Impugnazione del Patteggiamento e la Decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti dell’impugnazione del patteggiamento. Gli Ermellini hanno richiamato l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma che elenca tassativamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere contestata.
La Corte ha specificato che non è consentito ricorrere lamentando l’omessa verifica di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.), poiché il patteggiamento si basa proprio sulla rinuncia delle parti a un accertamento pieno del fatto.
Il Concetto di “Errore Manifesto”
Il punto centrale della decisione riguarda la contestazione della qualificazione giuridica. La Cassazione ha ribadito che è possibile impugnare il patteggiamento per questo motivo solo in presenza di un “errore manifesto”. Ma cosa significa esattamente?
Un errore è “manifesto” quando la qualificazione giuridica data al fatto è palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione. Deve trattarsi di un errore evidente, riscontrabile con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità. Non basta, quindi, che la qualificazione sia semplicemente discutibile o che un’altra interpretazione sia possibile; l’errore deve essere così grave da risultare quasi un’aberrazione giuridica.
La Genericità del Ricorso
Oltre alla mancanza di un errore manifesto, la Corte ha rilevato un ulteriore vizio nel ricorso: la sua assoluta genericità. La difesa si era limitata a criticare la qualificazione giuridica adottata, senza però indicare quale sarebbe dovuta essere quella corretta. Questo ha reso l’impugnazione vaga e, di conseguenza, inammissibile.
Le Motivazioni
La decisione della Suprema Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. L’obiettivo di questa norma è garantire la stabilità delle sentenze di patteggiamento, evitando che un accordo liberamente raggiunto dalle parti possa essere messo in discussione per motivi non eccezionali. Consentire un’impugnazione per una qualificazione giuridica semplicemente opinabile snaturerebbe la funzione deflattiva del rito. Il ricorso è ammissibile solo di fronte a un errore macroscopico e palese, un “errore manifesto” che salta immediatamente all’occhio del giurista, e che nel caso di specie non sussisteva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale: chi sceglie la via del patteggiamento accetta un accertamento del fatto limitato e, di conseguenza, rinuncia a gran parte dei mezzi di impugnazione ordinari. La possibilità di contestare la sentenza è circoscritta a vizi gravi e specifici. La critica alla qualificazione giuridica del reato, in particolare, è un percorso stretto, percorribile solo se si può dimostrare un errore talmente evidente da non lasciare spazio a interpretazioni. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di ponderare attentamente la scelta del rito alternativo e di formulare eventuali ricorsi con estrema precisione e solo in presenza di vizi palesi.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, la legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) limita espressamente i motivi di impugnazione a casi specifici, come l’errore nella qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o l’inosservanza di disposizioni processuali stabilite a pena di nullità. Non è possibile, ad esempio, lamentare la mancata assoluzione.
Si può ricorrere in Cassazione se si ritiene che il giudice abbia sbagliato la qualificazione giuridica del reato nel patteggiamento?
Sì, ma solo a condizione che l’errore sia “manifesto”. Questo significa che la qualificazione giuridica adottata deve essere palesemente ed indiscutibilmente errata in modo immediato, senza necessità di complesse interpretazioni. Non è sufficiente che la qualificazione sia solo opinabile.
Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7684 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 7684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a NAPOLI il 01/05/1967
Fermo; avverso la sentenza del 14/11/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 14.11.2024 il GIP del Tribunale di Fermo, su richiesta del difensore di fiducia, munito di procura speciale, e con il consenso del PM, ha applicato a NOME COGNOME in relazione ai fatti di tentata rapina impropria aggravata, la pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 500 di multa, sostituita, ai sensi degli artt. 20-bis cod. ben. e 53 e ssgg. I. 689 del 1981, da n. 974 ore di lavoro di pubblica utilità da svolgersi presso la Croce Azzurra di Porto San Giorgio;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore che deduce inosservanza ovvero erronea applicazione della legge e mancanza di motivazione: sottolinea, infatti, come l’accordo sulla pena debba essere oggetto di un rigoroso controllo da parte del giudice che deve verificare, tra ‘altro, la correttezza della qualificazione giuridica del fatto dando conto, con motivazione congrua, dell’esercizio di tale potere-
dovere, quale espressione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, sottr potere dispositivo delle parti.
3 Il ricorso è inammissibile.
L’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., infatti, limita espressamente l’impugnabilità della sentenza di applicazione concordata della pena alle sole ipot esso tassativamente indicate e non è consentito ricorrere in cassazione lamentando particolare, l’omessa verifica dell’insussistenza di eventuali cause di proscioglimen art. 129 cod. proc. pen. (cfr., tra le tante, Sez. F n. 28742 del 25/08/2020, COGNOME, Rv. 279761 – 01; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, COGNOME Francesco, Rv. 27833 – 01).
Con il presente ricorso la difesa deduce, invero, l’errata qualificazione giuridic fatto, senza tuttavia, evidenziare quale avrebbe dovuto essere il suo cor inquadramento viziando, perciò, il ricorso di assoluta genericità; per altro verso, il è comunque inammissibile proponendo in questa sede una questione non consentita essendo appena il caso di ribadire che la possibilità di ricorrere per cassazione deduc ai sensi dell’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabi palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (c Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116 01
Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Gamal, 4 Rv. 2$3023 – 0.1). 91;A:i/Ad/kik GLYPH 4D-UA
4. L’inammissibilità dei ricorsi omporta la co danna dei ricorre ti al pagame delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma di Euro in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 17/01/2025