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Impugnazione patteggiamento: limiti e conseguenze

La Corte di Cassazione, con ordinanza 6075/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di tre individui avverso una sentenza di patteggiamento. I ricorrenti contestavano la qualificazione del reato e la confisca di denaro. La Corte ha ribadito che l’impugnazione patteggiamento non permette una nuova valutazione dei fatti, ma solo la contestazione di vizi di legge. L’inammissibilità ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Patteggiamento: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’istituto del patteggiamento, previsto dall’art. 444 del codice di procedura penale, rappresenta una via per definire rapidamente un processo penale. Tuttavia, le possibilità di contestare la sentenza sono limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili dell’impugnazione patteggiamento, chiarendo perché un ricorso basato su una diversa lettura dei fatti sia destinato all’insuccesso.

I Fatti del Caso

Tre individui, condannati con sentenza di patteggiamento dal Tribunale di Milano, hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso erano principalmente due:

1. Errata qualificazione giuridica: Sostenevano che la sostanza stupefacente detenuta fosse per uso personale e non per spaccio, chiedendo di fatto una riconsiderazione delle prove.
2. Illegittimità della confisca: Contestavano la confisca di una somma di denaro sequestrata, asserendo che provenisse da fonti lecite e non fosse il profitto del reato contestato.

I ricorrenti, in sostanza, cercavano di ottenere dalla Suprema Corte un nuovo giudizio sul merito della vicenda, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’impugnazione patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: i limiti dell’appello contro una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, infatti, circoscrive in modo netto i motivi per cui è possibile presentare ricorso.

La Corte ha sottolineato che tentare di sollecitare una “diversa ricostruzione del fatto” è un’attività preclusa in sede di legittimità, a maggior ragione quando si tratta di un’impugnazione patteggiamento. L’accordo tra accusa e difesa cristallizza la valutazione dei fatti, e il ricorso può vertere solo su questioni di pura legalità, come un errore nel calcolo della pena o la mancata applicazione di una circostanza.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha analizzato nel dettaglio i motivi del rigetto, offrendo spunti di riflessione importanti.

Primo Motivo: L’Intangibilità della Ricostruzione dei Fatti

Il primo motivo di ricorso, relativo all’uso personale della sostanza, è stato giudicato inammissibile perché mirava a una rivalutazione del merito. La Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono ripresentare le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi inferiori. Chiedere di riconsiderare se la droga fosse per uso personale o per spaccio equivale a chiedere un nuovo processo, cosa impossibile in questa sede.

Secondo Motivo: La Genericità delle Censure sulla Confisca

Anche le doglianze sulla confisca del denaro sono state respinte. I giudici hanno definito le argomentazioni dei ricorrenti come “generiche”. Essi si limitavano a contestare la legittimità del provvedimento, adducendo una provenienza lecita del bene senza però smontare la motivazione della sentenza impugnata. Quest’ultima, infatti, aveva stabilito una “motivata correlazione” tra il denaro sequestrato e il profitto derivante dall’attività di spaccio. Anche in questo caso, il ricorso si trasformava in un tentativo di ottenere un inammissibile accertamento alternativo dei fatti.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un chiaro monito: l’impugnazione patteggiamento è un percorso stretto e ben definito. Chi sceglie questa via processuale deve essere consapevole che la possibilità di contestare la sentenza in Cassazione è limitata a vizi specifici e non può mai tradursi in una richiesta di riesame delle prove o di una nuova interpretazione dei fatti. La conseguenza di un ricorso che travalica questi limiti è la sua dichiarazione di inammissibilità, con la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma a favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

È possibile contestare la ricostruzione dei fatti in un ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento?
No, il provvedimento chiarisce che il ricorso per cassazione, specialmente contro una sentenza di patteggiamento, non consente una diversa ricostruzione del fatto. L’impugnazione è limitata a specifici vizi di legge, come delineato dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.

Per quale motivo le censure sulla confisca del denaro sono state respinte?
Le censure sono state ritenute generiche e miravano a un riesame del fatto. La Corte ha stabilito che i ricorrenti contestavano la legittimità del provvedimento basandosi su una presunta provenienza lecita del denaro, ma non hanno superato la motivazione della sentenza impugnata che correlava il denaro sequestrato al profitto del reato di spaccio.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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