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Impugnazione patteggiamento: i limiti della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24153/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per traffico di stupefacenti. L’imputato contestava la congruità della pena e la motivazione sulla confisca del profitto. La Corte ha ribadito che l’impugnazione del patteggiamento è possibile solo per i motivi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p., tra cui non rientra la valutazione sulla congruità della pena concordata. Anche il motivo sulla confisca è stato respinto, poiché l’importo era desumibile dagli atti e non era stato contestato il precedente sequestro.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Patteggiamento: i Limiti Fissati dalla Cassazione su Pena e Confisca

L’impugnazione del patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai confini ben definiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24153 del 2025, offre un’importante occasione per ribadire quali siano i limiti di tale strumento e perché non sia possibile contestare la congruità di una pena liberamente concordata. Il caso analizzato riguarda un’imputazione per traffico di stupefacenti, ma i principi espressi hanno una valenza generale.

I Fatti del Caso

Il Tribunale, in accoglimento di una richiesta di patteggiamento, applicava a un imputato una pena di 4 anni e 2 mesi di reclusione e 13.000 euro di multa per una serie di reati legati al traffico di cocaina. Oltre alla pena concordata tra la difesa e il Pubblico Ministero, il giudice disponeva la confisca, diretta o per equivalente, del profitto del reato, quantificato in 19.850 euro.

L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza, lamentando due specifici aspetti.

I Motivi del Ricorso e l’Impugnazione del Patteggiamento

La difesa articolava l’impugnazione del patteggiamento su due distinti motivi:

1. Incongruità della pena: Si sosteneva che la pena applicata, sebbene frutto di un accordo, fosse eccessiva e sproporzionata rispetto ai fatti contestati.
2. Vizio di motivazione sulla confisca: Si contestava la mancanza di una motivazione adeguata da parte del Tribunale nella determinazione dell’importo del profitto da confiscare.

La questione centrale, dunque, era stabilire se, una volta raggiunto un accordo sulla pena, fosse ancora possibile metterne in discussione l’entità e se il giudice fosse tenuto a fornire una spiegazione dettagliata sul calcolo del profitto confiscato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, respingendo entrambe le doglianze sollevate dalla difesa e confermando integralmente la sentenza del Tribunale.

Le Motivazioni: i Paletti all’Impugnazione del Patteggiamento

La Corte ha fornito una chiara spiegazione per la sua decisione, analizzando separatamente i due motivi di ricorso.

Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno richiamato l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui è possibile proporre ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Tra questi figurano l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza. La censura relativa alla mera “congruità” della sanzione, ovvero alla sua adeguatezza, non rientra in questo elenco. La pena è stata oggetto di un accordo tra le parti (“paciscenti”) e, pertanto, la sua valutazione in termini di proporzionalità è sottratta al sindacato di legittimità.

In merito al secondo motivo, relativo alla confisca, la Cassazione lo ha ritenuto manifestamente infondato per due ragioni concorrenti. In primo luogo, il ricorrente non aveva mai contestato il decreto di sequestro preventivo che era stato emesso in precedenza e che costituiva la base per il calcolo del profitto. In secondo luogo, il Tribunale non aveva un obbligo di specifica motivazione sul quantum, poiché l’importo era “inequivocabilmente ricavabile” dagli stessi capi di imputazione. In essi, infatti, erano specificati gli importi conseguiti dall’imputato per ciascuna “vendita” di sostanza stupefacente. La somma matematica di tali importi portava a un valore non inferiore a quello indicato in sentenza come profitto complessivo da confiscare.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La pronuncia in esame consolida un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo processuale che, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, gode di una notevole stabilità. L’impugnazione del patteggiamento è un rimedio eccezionale, esperibile solo per vizi specifici e gravi, e non per un ripensamento sull’equità della pena concordata. Inoltre, la sentenza chiarisce che la determinazione degli importi da confiscare non necessita di una motivazione complessa quando questi sono il semplice risultato aritmetico di dati già presenti e accettati negli atti processuali, soprattutto in assenza di precedenti contestazioni.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento perché si ritiene la pena troppo alta?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la congruità, ovvero l’adeguatezza, della pena concordata tra le parti non può essere motivo di ricorso. L’impugnazione è consentita solo per le ragioni tassativamente elencate dalla legge, come l’illegalità della pena o un vizio nel consenso dell’imputato.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato l’importo della confisca in una sentenza di patteggiamento?
No, non è necessario un obbligo di specifica motivazione quando l’importo del profitto da confiscare è inequivocabilmente ricavabile dagli atti processuali. Nel caso di specie, l’importo era la semplice somma dei guadagni indicati nei capi di imputazione per ogni singola cessione illecita.

Cosa comporta non contestare un provvedimento di sequestro preventivo?
Il fatto di non aver contestato un precedente decreto di sequestro preventivo, che è la base per la successiva confisca, indebolisce un eventuale ricorso futuro sulla determinazione del profitto. La Corte ha infatti rilevato questa circostanza come un elemento a sfavore della tesi del ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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