Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19218 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME natQ. a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 15/09/1990
avverso la sentenza del 17/01/2025 del GIP TRIBUNALE di MESSINA
dats-axeciso–Fti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. deducendo con un primo motivo violazione di legge, sostanziale e processuale, e vizio motivazionale in relazione alla mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., con il secondo motivo violazione dell’art. 448, comma 2, cod. proc. pen. per erronea qualificazione giuridica dei fatti, che avrebbero dovuto essere qualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e conseguente illegalità della pena, e con un terzo motivo illegalità della condanna alle “spese di sofferta custodia”, essendo stata sottoposta esclusivamente alla misura degli arresti domiciliari presso la propria abitazione. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso è palesemente inammissibile per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 comma 5bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23.6.2017 n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.
Ed invero, a far tempo da tale ultima data, successivi alla quale sono sia la richiesta di patteggiamento che la relativa impugnativa (cfr. art. 1, co. 51, della I 23.6.2017 n. 103) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza , all’erronea qualificazione giu ridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza”.
Non rientra più, pertanto, tra i motivi di ricorribilità per cassazione quell -come avvenuto nel caso che ci occupa in relazione al primo motivo- attinente la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Ancora, va rilevato, quanto al secondo motivo, che al di là della mera enunciazione di un motivo di ricorso, formalmente consentito, la contestazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto risulta inconsistente e si risolve in una for mula vuota di contenuti, non risultando in alcun modo evidenziati gli elementi di fatto, giustificativi di un diverso inquadramento giuridico del fatto, neppure indi cato, o sostanzianti l’erronea qualificazione giuridica attribuita al fatto e riten in sentenza.
Condivisibilmente, questa Corte di legittimità ha affermato -e va qui ribaditoche l’erroneità della qualificazione giuridica del fatto, meramente enunciata, scherma la richiesta di una sentenza di proscioglimento, parimenti immotivata,
che, in sostanza, elude í limiti normativi (Sez. 6, ord. n. 2721 del 8/1/2018, COGNOME, Rv. 272026). E, in ogni caso, che a seguito dell’introduzione dell’art. 448 comma 2 bis cod. proc. pen. la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione, del fatto contenuto in una sentenza di patteggiamento è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione e alle plurime cessioni di stupefacente ivi descritte, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo del ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (così Sez. 6 ord. 3108 del 08/01/2018, COGNOME, Rv 272252; conf. ord. n. 45391 del 21/11./2024, COGNOME, non mass.); e, del pari, è stato affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di r correre per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, co. 2 bis, cod. proc. pen. l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi d errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi, in diritto, che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez 1 n. 15553 del 20/03/2018, Rv 272619);
In ultimo, quanto alla condanna alle spese di custodia cautelare, si tratta, con tutta evidenza di un errore materiale che questa Corte di legittimità può correggere ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650 – 01)
Ed invero, è pacifico che in tema di patteggiamento, le spese di custodia cautelare in carcere vanno addebitate all’imputato anche se la pena applicata non superi i due anni di reclusione, soli o congiunti a pena detentiva, trattandosi di spese non rientranti nella categoria delle spese del procedimento in senso stretto ex art. 445 cod. proc. pen. ed essendo soggette a ripetizione, ai sensi dell’art. 204 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. (Sez. 6, n. 46403 del 08/10/2019, Qata, Rv. 277409 – 01). Tuttavia, emerge dall’esame degli atti (cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione della natura processuale del vizio lamentato (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220094), che la COGNOME è stata sottoposta esclusivamente agli arresti domiciliari presso la propria abitazione in ragione della peculiarità della situazione familiare documentata (cfr. provvedimento del GIP di Messina del 19/06/2024).
Va, pertanto, eliminata la statuizione relativa alle “spese di sofferta custodia”, che, peraltro, sarebbe stata improduttiva di ogni effetto pratico.
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
N.
5781/2025
13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del pro dimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura in-
dicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa de
ammende.
Letto l’art. 619 c.p.p. corregge l’errore materiale nella sentenza impug disponendo l’eliminazione, in dispositivo e in motivazione, della dicitura “di sof
custodia e”.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2025
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