Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30602 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30602 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore fallimentare
e dalle parti civili
2.COGNOME NOMECOGNOME nato a Armungia il 14/06/1966;
COGNOME NOMECOGNOME nata a Armungia 1’11/03/1968;
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Cagliari il 27/02/2024
visti gli atti ed esaminati i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e l’inammissibilità dei r proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia delle parti civili ricorrenti COGNOME
e COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME difensore d RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE nella qualità di parte civile e di responsabile civile, che ha c chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, coniunque, rigettati;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia della RAGIONE_SOCIALE in persona curatore fallimentare, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso e per la inammissibilità o comunque il rigetto dei ricorsi proposti dalle parti civili;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di fiducia di COGNOME imputato non ricorrente, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di fiducia rispettivam di COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati non ricorrenti, che hannci concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o comunque rigettati;
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza con cui la società RAGIONE_SOCIALE – sottoposta a procedura fallimentare – è stata dichiarata responsabile dell’illec amministrativo previsto dall’art. 24 d. Ivo. 8 giugno 2001, n. 231 in relazione alla tru aggravata commessa da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente, direttore dei lavori della società RAGIONE_SOCIALE, projiect manag procuratore della società – e addetto tecnico della RAGIONE_SOCIALE presso i cantieri del società, reato posto in essere in danno della società RAGIONE_SOCIALE
Il processo ha ad oggetto le dinamiche relative al contratto di appalto stipulato tr la RAGIONE_SOCIALE società in house del Ministero dello sviluppo economico, e la RAGIONE_SOCIALE
La truffa sarebbe stata realizzata dalla RAGIONE_SOCIALE attraverso: a) la indicazione fal – nei libretti di misura e negli stati di avanzamento lavori (s.a.I.) – della esecuzio opere in misura superiore rispetto a quelle effettivamente realizzate; b) nell’iscrive conseguentemente nei libretti di misura e nei s.a.l. contabilizzazioni non veritiere perché maggiorate dei prezzi concernenti lavori non eseguiti.
Sulla base di tali indicazioni false sarebbero stati emessi certificati di pagamento dall Infratel Italia s.p.a. superiori a quelli spettanti, quantomeno nella misura di 437.075, euro.
La Corte di appello con la sentenza impugnata ha inoltre:
-confermato la sentenza con cui è stato dichiarato non doversi procedere nei riguardi di COGNOME, COGNOME e COGNOME per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui ai ca A) (falso in atto pubblico, quanto alla falsa attestazione nei libretti e nei s.a.l. conseguente emissione di falsi certificati di pagamento), B) (la truffa, di cui si è det
e C) limitatamente alle condotte commesse in danno di COGNOME Stefano previa riqualificazione dell’originario fatto concussivo in induzione indebita a dare o prometter denaro o altra utilità.
In particolare, quanto al capo C), gli imputati, secondo l’imputazione originaria concussione, avrebbero costretto COGNOME Stefano, amministratore della impresa RAGIONE_SOCIALE, intestata alla moglie, COGNOME NOME, a consegnare due assegni dell’importo complessivo di 7.000 euro (fatti del 2 maggio 2008);
-ha assolto gli imputati per i reati di cui ai capi C), per le condotte diverse da qu commesse in danno di COGNOME NOME, e D) (estorsione contestata solo a COGNOME che avrebbe costretto, con la minaccia di escluderlo dalla realizzazione dell’appalto, COGNOME a ‘corrispondere denarò).
Hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME costituite parti civili, articolando tre motivi.
2.1. Ricostruito il processo, con il primo motivo si deduce violazione di legge; Corte di appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile per mancanza di interesse l’appello proposto dalle parti civili, quanto ai reati di cui ai capi A) e B), estinti per prescrizione prima della sentenza di primo grado, e, quanto al capo C), sul presupposto che la parte civile non potesse proporre appello per sollecitare una diversa qualificazione giuridica del fatto, che, nella specie, come detto, era stato ricondotto Tribunale al reato di cui all’art. 319 quater cod. pen.; sotto altro profilo, si assum Corte avrebbe erroneamente ritenuto infondato l’appello quanto al capo D) (estorsione).
Sostengono, invece, i ricorrenti che, nella specie, l’interesse ad impugnare sarebbe sussistente, quanto al capo C), in ragione della diversa qualificazione giuridica del fat compiuta dal Tribunale da cui è conseguita la declaratoria di prescrizione, e, quanto ai capi A-B) “in virtù del collegamento probatorio con quelli di cui ai capi C-D) commessi
La tesi è che la riqualificazione sarebbe errata perché conseguente non solo alla mancata valutazione di una serie di elementi, rivelatori della coartazione delle parti civ ma anche dalla erronea “determinazione del quantum economico connesso ai reati di cui ai capo A) e B) che, per effetto della minor percezione quantitativa, aveva impedito di valutare l’effettiva intensità del complesso disegno criminoso” (così il ricorso).
La Corte di appello, mutata la qualificazione dei fatti, avrebbe potuto procedere alla liquidazione “ora per allora”, dei danni civili.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla valutazione della dimensione economica dei reati sub A) (falsi) e B) (truffa) che avrebbe prodotto conseguenze anche ai fini della derubricazione del reato di cui al capo C) in quello di induzione indebita a dare o promettere denaro o altra utilità
Assumono i ricorrenti che:
la Corte di appello non avrebbe considerato che il vantaggio economico per RAGIONE_SOCIALE sarebbe consistito non nella somma di 437.000 euroindicata nella imputazione ma in quella maggiore di 3,5 milioni di euro, come emergerebbe dalla documentazione del Pubblico Ministero, della quale sarebbe stato omesso l’esame (anche in questo caso sono riportate intere pagine dell’appello richiamanti le risultanze istruttorie).
La corretta quantificazione della dimensione economica dei reati contestati ai capi AB) avrebbe reso evidente l’erronea qualificazione dell’atteggiamento psicologico del COGNOME
che avrebbe pagato in realtà perché costretto e non, come in vece ritenuto dal Tribunale, in modo volontario per ricavare vantaggi illeciti;
-la Corte, inoltre, non avrebbe adeguatamente valutato le dichiarazioni rese da COGNOME e COGNOME, incompatibili con la tesi della volontarietà delle da .zioni da parte del COGNOME (anche in questo caso si riproducono pagine dell’atto di appello a loro volta richiamanti le risultanze probatorie).
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla condotta descritta al capo D) per il quale la Corte, come detto, ha dichiarato l’appello ammissibile ma infondato.
L’assoluzione degli imputati dal reato in questione sarebbe stata pronunciata in quanto l’unica prova a carico sarebbe stata costituita dalle dichiarazioni di COGNOME “soggett non del tutto disinteressato” (così il ricorso che richiama una parte della motivazion della sentenza impugnata).
Sostengono i ricorrenti che la Corte avrebbe dovuto valutare le dichiarazioni di COGNOME alla luce delle prove – quelle di cui si è detto- il cui esame sarebbe stato omesso.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il “RAGIONE_SOCIALE“.
Anche in questo caso, si ricostruisce il processo e si evidenzia in punto di fatto come sarebbe provato che:
–RAGIONE_SOCIALE avesse eseguito i lavori a regola d’arte senza che nessuna contestazione fosse mai stata mossa soprattutto da RAGIONE_SOCIALE
–RAGIONE_SOCIALE avesse regolarmente pagato i suoi sub appaltatori e incassato meno di quanto pattuito;
i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e COGNOME non rivestissero funzioni direttive, c tutte le conseguenze in tema di onere probatorio in tema di illecito dell’ente.
2.1. In tale contesto, con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazione quanto al giudizio di responsabilità dell’ente, fatto derivare dalla violazio da parte della Corte delle regole di ripartizione probatoria fissate dal d. Igs. n. 231 2001 e, in particolare, di quelle previste dagli artt. 6- 7.
La Corte avrebbe affermato la responsabilità dell’ente, da una parte, ritenendo dimostrata l’imputazione oggettiva dell’illecito dell’ente ma senza approfondire il prof della colpevolezza in relazione alla violazione dell’obbligo di direzione e vigilanza (così ricorso) e, dall’altra, applicando il modello di imputazione soggettiva della responsabili previsto dall’art. 6 per i soggetti apicali – e, quindi, facendo riferimento all’inve probatoria ivi prevista – laddove, invece, la contestazione farebbe riferimento all’art. lett. b) d. Igs n. 231 del 2001: COGNOME e COGNOME non avrebbero mai esercitato funzioni direttive, con conseguente necessità di accertamento in concreto della c.d. colpa di organizzazione.
La società aveva provato come all’epoca avesse un organigramma di controllo che vigilava sulla esecuzione dei contratti di appalto e sub appalto e sull’operato dei prop dipendenti, apicali o sottoposti.
In tal senso vengono richiamate le dichiarazioni dell’amministratore . delegato COGNOME, quelle del responsabile d’area ing. COGNOME e quelle della teste COGNOME che avrebbero illustrato la struttura, l’organizzazione e il sistema di controllo della società poi con nel modello organizzativo adottato nel 2011.
La tesi è che “l’organigramma e i mansionati” adottati al momento della commissione dei fatti dovevano considerarsi “un meccanismo di vigilanza e prevenzione di illeciti penali” idoneo a “far decadere la responsabilità dell’ente”
Non sarebbe dunque chiaro sulla base di quali elementi la Corte abbia potuto affermare che il sistema Imet non prevedesse in modo chiaro e preciso i compiti e le responsabilità e gli strumenti in concreto volti a prevenire la commissione della truffa
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla prova del reato presupposto ritenuto esistente in base all’assunto secondo cui:
la RAGIONE_SOCIALE avrebbe pagato alla RAGIONE_SOCIALE fatture aventi ad oggetto opere non eseguite, quali quelle relative al rispristino dell’asfalto su strade “che asfaltate erano”;
il maggior compenso percepito da RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stato giustificabile con l’avvenuta esecuzione di opere collaterali o accessorie perché dette opere non sarebbero state tali da giustificare la revisione dei prezzi;
sarebbe inverosimile che i pubblici ufficiali della RAGIONE_SOCIALE si fossero determinat pagare con la consapevolezza della non debenza di detti pagamenti.
Dette affermazioni sarebbero fondate sulle dichiarazioni di COGNOME – che, tuttavia, se rapportate con le altre acquisizioni probatorie,. si sarebbero rivelate incoerent contraddittorie – nonché sugli esiti della consulenza del Pubblico Ministero inficiata dal erronea equiparazione tra il progetto esecutivo e il modello “As Built” (cioè i disegni come in concreto i lavori fossero stati eseguiti a seguito di modifiche in corso d’opera)
Detti profili sarebbero state oggetto di motivi di appello e la Corte su detti p sarebbe silente.
Sotto altro profilo si deduce il vizio di omessa motivazione quanto alla quantificazione della sanzione, profilo, questo, che pure era stato oggetto di censura con l’appello.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla sussistenza del reato presupposto.
3.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 5 del d. Igs n. 231 del 200 attesa la insussistenza dei vantaggi conseguiti da RAGIONE_SOCIALE
Sono pervenute memorie nell’interesse delle parti ricorrenti con cui si riprendono e si sviluppano ulteriormente i motivi posti a fondamento dei rispettivi ricorsi.
E’ pervenuta anche una memoria da parte del difensore dell’imputato COGNOME con cui si evidenzia come i ricorsi delle costituite parti civili siano inammissibi genericità non essendosi i ricorrenti confrontati con la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti dalle parti civili COGNOME e COGNOME sono fondati limitatamente al ca C).
Quanto alla affermata inammissibilità dichiarata dalla Corte di appello, il tema attiene alla legittimazione della parte civile ad impugnare le sentenze di proscioglimento e all’interesse ad impugnare.
Quanto al profilo della legittimazione, è utile evidenziare in via preliminare ch diversamente dagli assunti degli imputati, le parti civili avevano devoluto con l’atto appello lo specifico tema della riqualificazione del fatto concussivo in quello di induzio indebita a dare o promettere denaro o altra utilità e della inammissibilità riferita an ai capi A e B) e, rispetto alla obiettivamente stringata motivazione della Corte di appell con il ricorso per cassazione il tema è stato riproposto, essendo stato peraltro sottolineato come, secondo una data impostazione, la parte civile possa proporre ricorso per cassazione ai fini civili avverso la sentenza dichiarativa della prescrizione del reat
Proprio sulla base di tale presupposto, le parti ricorrenti hanno, da una parte devoluto nuovamente il tema della corretta qualificazione giuridica dei fatti di cui al ca C), atteso il riverbero di essa sulla loro pretesa risarcitoria, e, dall’altra, evide come proprio la non corretta valutazione dei fatti di cui ai capi A) e B) avrebbe prodott una erronea valutazione anche in ordine alla qualificazione di quelli di cui al capo C (cfr. pagg. 36 e ss.).
La Corte di appello ha ritenuto inammissibile l’appello richiamando un indirizzo giurisprudenziale secondo cui sarebbe inammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso una sentenza di proscioglimento al fine di sindacare la qualificazion giuridica conferita al fatto, anche quando da detta qualificazione derivi una pronuncia dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione, atteso che detta impugnazione rigua di – cprebbe esclusivamente i profili penali e, quindi, non sarebbe consentita in ragione dell’ 576 cod. proc. pen., considerato, peraltro, che la sentenza dichiarativa dell prescrizione non pregiudicherebbe gli interessi concernenti l’obbligazione risarcitoria. (Sez. 1, n. 2874 del 10/07/2018, COGNOME, Rv. 274800; nello stesso senso, Sez. 6, n. 37034 del 2003, COGNOME, Rv. 228407).
L’assunto è che la parte civile è legittimata, a norma dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ai soli effetti
civili e, dunque, la sua richiesta deve avere riguardo specifico e diretto, a pe d’inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che s’intendono conseguir
Ne deriva che una richiesta della parte civile impugnante, riguardante esclusivamente la qualificazione giuridica del fatto e, quindi, l’aspètto penale della vicenda e la conne responsabilità penale dell’imputato renderebbe inammissibile l’impugnazione perché questa si limiterebbe sostanzialmente a sollecitare una delibazione su aspetti squisitamente penali, che esulano dai limiti delle facoltà riconosciute dalla legge al stesa parte civile, i cui diritti, peraltro, non sarebbero pregiudicati dalla sentenza di doversi procedere nei confronti dell’imputato, per prescrizione del reato.
3. Si tratta di un indirizzo che non può essere condiviso.
In senso non propriamente simmetrico, sembrano innanzitutto porsi alcune sentenze su un tema diverso ma non distante da quello in esame.
Si è affermato, infatti, che sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai civili la sentenza di proscioglimento per difetto di querela a seguito della riqualificazi giuridica del fatto, allorché dalla diversa ed originaria contestazione, relativa ad un re procedibile d’ufficio, derivi per la parte civile la possibilità di ottenere sia l’accert nel giudizio penale, con efficacia di giudicato, della responsabilità per fatto ill dell’imputato, sia una differente quantificazione del danno da risarcire, tenuto cont della diversa gravità del reato e dell’entità del pregiudizio sofferto dalla vittima (Se n. 29323 del 2019 Rv. 276780 in fattispecie in tema di estorsione, riqualificata da giudice di primo grado come esercizio arbitrario delle proprie ragioni).
Nella occasione, la Corte ha spiegato come il giudizio sulla legittimazione e sull’interesse della parte civile all’impugnazione della sentenza di proscioglimento si stato storicamente correlato alla verifica del pregiudizio che possa derivare da passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti dell’imputato; si è affermato, in più occasioni, il principio per cui, quando la sente pronunciata non rientri nelle tipologie considerate dall’art. 652 cod. proc. pen. la parte civile, non potendosi veder opposto in sede civile il contenuto della cosa giudicat conseguente al giudizio penale, non subisce alcun pregiudizio che legittimi l’impugnazione penale della sentenza di proscioglimento (Sez. 3, n. 537 del 30/11/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220669; Sez. 1, n. 4482 del 07/04/1997, COGNOME Rv. 207589; Sez. 4, n. 4950 del 31/01/1996, Mazza, Rv 205222; Sez. 3, n. 10792 del 08/06/1994, COGNOME, Rv. 200381).
Si è tuttavia correttamente affermato sul tema come detta correlazione tra interesse ad impugnare e sentenza di assoluzione non esaurisca l’ambito delle ipotesi in cui sussiste la legittimazione della parte civile ad impugnare una sentenza di proscioglimento, anche quando questa non sia riconducibile a quelle di cui all’art. 652 cod. proc. pen.
La legittimazione e l’interesse della parte civile a conseguire, attraver l’impugnazione della sentenza di proscioglimento ma non assolutoria, una pronuncia che contenga la condanna dell’imputato alle restituzioni ed al risarcimento dei danni è stato affermato da plurime decisioni della Corte (cfr., Sez.. 4, n. 13326 del 23/01/2003, COGNOME, Rv. 226430; Sez. 7, n. 4216 del 15/01/2002, Sconcerti, Rv. 222052; Sez. 5, n. 12359 del 06/02/2001, Maggio, Rv. 218905; Sez. 4, n. 10451 del 29/10/1997, COGNOME Rv. 209673; Sez. 5, n. 10990 del 31/10/1996, COGNOME*, Rv. 207064).
È l’interesse al riconoscimento del proprio diritto al risarcimento di danno, s sostenuto, che riempie di contenuto l’impugnazione quando questa risulti «preordinata a chiedere l’affermazione di responsabilità dell’imputato, quale presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in mancanza dell’impugnazione del pubblico ministero, ma all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge com reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Da c deriva che l’interesse della parte civile al gravame non è commisurato (…) all preclusività della formula di proscioglimento, con la conseguenza che essa può proporre impugnazione, senza incorrere in censure di carenza di interesse, anche contro la sentenza di proscioglimento adottata con formula non preclusiva dell’esercizio della azione risarcitoria in sede civile» (in questi termini nella motivazione, Sez. U, n. 65 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254130).
In questa prospettiva, si è altresì spiegato, la legittimazione e l’interesse della p civile al riconoscimento della responsabilità dell’imputato per il fatto di r originariamente contestato mira a non disperdere le prove raccolte nel giudizio penale e ad evitare un’attività di istruzione probatoria in sede civile che, pur potendosi giov delle prove assunte nel processo penale, deve sottostare alla valutazione del giudice civile in termini di libero apprezzamento di quelle prove e impone all’evidenza una ripetizione di attività istruttorie che nuocciono alla speditezza del processo e confliggo con il principio di economia processuale.
4. Una conferma della impostazione in esame, e, dunque, della sussistenza della legittimazione della parte civile all’impugnazione di sentenze di proscioglimento, che pure non possiedono efficacia preclusiva rispetto all’instaurazione del giudizi risarcitorio in sede civile, può farsi derivare anche dalle decisioni che hanno riconosciu l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione con cui l’imputato sia stato prosciolto con la formula perché il fatto non costituisce reato, «in quanto colui c intraprende il giudizio civile dopo avere ottenuto in sede penale il riconoscimento dell responsabilità per fatto illecito della controparte si giova di tale risultato» (Sez.
15245 del 23/02/2005, COGNOME, Rv. 232157; nello stesso senso v. anche Sez. 3, n. 6581 del 15/04/1999, COGNOME, Rv. 213840).
Il principio è stato ribadito da Sez. 6, n. 36526 del 28/10/2020, COGNOME, Rv. 280182 ‘che ha evidenziato còme «le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’art. cod. proc. pen., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, riconosciuto termini generali alla parte civile nel processo penale dall’art. 576 cod. proc. pen. considerato il vantaggio della parte civile che può giovarsi dell’accertamento ottenuto i sede penale, quanto al riconoscimento della responsabilità per fatto illecito dell controparte, senza dover dare inizio integralmente ad un nuovo giudizio sul punto in sede civile (nello stesso senso, tra le altre, Sez. 4, n. 10455 del 14/01/2025, Potenza Rv. 287226 ; Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273519).
In tale contesto si colloca Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953 che ha ritenuto ammissibile l’impugnazione della parte civile contro la sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, ove con la stessa si contesti l’erroneità di detta dichiarazione.
E’ utile riportare il contenuto della motivazione della sentenza.
Le Sezioni unite hanno innanzitutto spiegato che l’analisi della questione non può che muovere dal dato oggettivo rappresentato dalla previsione di cui all’art. 576 cod.proc. pen., dedicata alla “impugnazione della parte civile e del querelante”, che, al comma 1, stabilisce che «la parte civile può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, c la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio».
Una scelta, quella compiuta dal legislatore, di ampliare il novero delle sentenze impugnabili, includendovi, oltre a quelle di condanna, anche quelle di “proscioglimento” sia pure sempre nell’ambito di una pretesa volta unicamente alla rivisitazione dei soli effetti civili, per lo stretto collegamento con la limitata legittimazione della parte p discendente dai confini tracciati anzitutto dall’art. 74 cod. proc. pen..
L’art. 576 cod. proc. pen., hanno chiarito le Sezioni Unite, non limita il novero e tipologia delle sentenze “di proscioglimento” menzionate, la cui nozione deve essere ricavata dall’ambito della sezione I, dedicata appunto alla “sentenza di proscioglimento”, del capo II (Decisione) del titolo III (Sentenza) del libro VII (Dibattimento) del co di rito.
Dal presupposto testuale indicato le Sezioni unite “Massaria” hanno, da una parte, evidenziato come nella nozione di sentenza di “proscioglimento” non possano non rientrare anche le sentenze di estinzione del reato per prescrizione, e, dall’altra, com detta affermazione fosse stata in passato già resa dalle stesse Sezioni Unite (v. Sez. U., n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815).
Del resto, la formula «sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio», è riferibile sia alle sentenze di non doversi procedere sia alle sentenze di assoluzione, ed è unicamente intesa ad escludere le sentenze di non luogo a procedere pronunciate nell’udienza preliminare.
Ne deriva, dunque, che, se la parte civile può impugnare le sentenze di proscioglimento e se nella sentenza di proscioglimento rientra anche la “dichiarazione di estinzione del reato” di cui all’art. 531 cod. proc. pen., ricompreso infatti suddetta sezione I, la facoltà di impugnazione della parte civile non può non ricomprendere anche la sentenza di non doversi procedere per estinzione dovuta a qualsivoglia tra le cause previste dal codice penale e, tra esse, dunque, anche quella della prescrizione del reato ex art. 157 cod. pen.
Hanno ancora osservato le Sezioni unite che, proprio in ragione del fatto che il giudice penale può decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno solo quando pronuncia sentenza di condanna, deve ritenersi che la parte civile sia legittimata a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento o di assoluzione pronunziata nel giudizio.
Tale conclusione, si è chiarito, deriverebbe anche dal ragionamento sotteso alla decisione delle Sezioni U, n. 25083 del 11/07/2006, COGNOME, Rv. 233918, che si è occupata del rapporto tra gli artt. 576 e 578 cit.: in questa pronuncia, hanno evidenziato le Sezion unite “Massaria”, si è affermato che «mentre il vigente codice di rito esclude che possa essere rivisto l’accertamento penale in mancanza di una impugnazione da parte del p.m., lo stesso codice sottolinea all’art. 576 come, per effetto dell’impugnazi della sola parte civile, si possa rinnovare l’accertamento dei fatti posto a base del decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per ille e così ottenere una diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per i suoi interessi civili».
Secondo le Sezioni unite, dunque, la normativa processuale penale vigente ha scelto l’autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso l’impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giud del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice penale dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell’autore dell’illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statui modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto»; si è aggiunto che « il giudice dell’impugnazione, adito ai sensi dell’art. cod. proc. pen., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato ben può affermare la responsabilità di costui agl effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all’art. 622 cod. p
pen.) condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora – alla condanna di cui all’art. 5 comma 1, cod. proc. pen., che non venne pronunziata per errore».
Quanto alla affermata mancanza . di effetto pregiudizièvole derivante dal giùdicato di prescrizione in capo alla parte civile, in quanto libera di azionare la propria pretesa un giudizio civile nel quale la sentenza di proscioglimento per prescrizione non avrebbe alcuna efficacia, le Sezioni unite hanno fatto rilevare come osti a un tale ragionamento la considerazione che, se lo stesso sistema ha riconosciuto al danneggiato la possibilità di azionare la propria pretesa di carattere civilistico percorrendo, oltre alla via giudizio civile, anche quella del giudizio penale mediante la costituzione in esso di part civile, una interpretazione volta a ritenere insussistente la legittimazione e l’intere alla impugnazione nel processo penale dalla parte civile solo perché sarebbe pur sempre possibile la residua azione civile si tradurrebbe nella sostanziale vanificazione dell stesso congegno normativo e nella indebita “amputazione” di una facoltà riconosciuta dallo stesso legislatore.
Del resto, il fatto che, secondo talune affermazioni, l’interesse del ricorrente pos essere ravvisato “anche” quando tenda ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti penali più favorevoli che l’ordinamento facc dipendere dalla pronuncia domandata (Sez. 6, n. 35989 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 265604), non significa, per converso, che la possibilità, per la parte civile, di assicura quegli stessi vantaggi al di fuori del processo penale possa annullare l’interesse ad ottenerli, ancor prima e in modo processualmente più rapido e conveniente, innanzitutto in sede penale.
Dunque, sussiste la legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di proscioglimento dichiarativa della prescrizione.
Accanto alla legittimazione ad impugnare deve sussistere, sulla base di una evidente ragione di economia processuale, quale ulteriore condizione di ammissibilità (v. Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv. 251694), anche l’interesse a proporre l’impugnazione; si tratta di due profili che devono essere tra loro distinti, non potend in particolare, il secondo essere assorbito nel primo, in ragione delle previsioni d commi 3 e 4 dell’art. 568 cod. proc. pen. ove, rispettivamente, da un lato, si afferma che «il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce» e, dall’altro, si afferma che «per proporre impugnazione è necessario avervi interesse».
Sul tema è tradizionale l’affermazione per cui l’interesse ad impugnare deve essere “concreto”, oltre che attuale.
In tal senso si pone già Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269, ove si è espresso che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non può essere assoluta
e indiscriminata, ma «subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile i consegùimento di un risultato vantaggioso» sino Mrattualità.
La legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione al solo fine di assicurare la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole.
La concretezza dell’interesse non può dunque che essere parametrata dal raffronto tra quanto statuito dalla sentenza impugnata e quanto, con l’impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere: in tal senso già il solo fatto che, nella specie in esame, assuma l’erroneità della affermazione di intervenuta prescrizione per effetto della diversa qualificazione giuridica del fatto, rende l’impugnazione ammissibile indipendentemente dalla fondatezza o meno di tale pretesa.
Ne deriva l’erroneità di un’impostazione che, invece, pervenga ad individuare la sussistenza o meno dell’interesse all’impugnazione a seconda della fondatezza o meno della censura svolta, dovendo essere ribadito quanto già affermato in ordine al fatto che la valutazione dell’ interesse ad impugnare, allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più vantaggiosa di quella realizzata dal provvedimento impugnato, va operata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso e non alla effettiva fondatezza della pretesa del ricorrente (v., con riferimento, specificamente, all impugnazione volta ad ottenere la riqualificazione giuridica del fatto, Sez. 3, n. 3854 del 27/05/2015, COGNOME, Rv. 264634).
La concretezza dell’interesse della parte civile ad impugnare la pronuncia di proscioglimento «va, naturalmente, verificata tenendo conto degli specifici effett favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte civile si ripromette di ottene dall’impugnazione e valutando se il suo accoglimento davvero le arrecherebbe una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole” (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, cit.).
7. In tale articolato quadro di riferimento, il motivo di ricorso delle parti civil la sua inammissibilità per difetto di interesse quanto ai capi A) (reati di falso) (truffa).
Si tratta di fatti che non coinvolgono direttamente COGNOME e COGNOME e rispetto ai qual dalla stessa prospettazione dei ricorrenti, si evince come l’interesse a impugnare sia volto a conseguire solo un indiretto vantaggio, non primario, non attuale e concreto.
L’impugnazione è infatti finalizzata a far emergere il collegamento probatorio tra fatti oggetto dei capi in esame e quello, secondo la originaria impostazione accusatoria, di concussione di cui capo C), commesso in danno delle parti civili ricorrenti e, quindi
a dimostrare solo un presupposto argonnentativo strumentale rispetto alla ritenuta erronea riqualificazione del fatto concussivo (cfr., in particolare, atto di appello).
Un interesse mediato, prospettico, che rende inammissibile il motivo di ricorso per cassazione e che rendeva, così come correttamente rifevato dalla Corte di· appello, inammissibile anche il motivo di appello.
A diverse conclusioni deve invece giungersi quanto al capo C), avente ad oggetto originariamente un fatto concussivo poi riqualificato in induzione indebita a dar promettere denaro o altra utilità.
Nel caso di specie, non solo, come detto, vi è legittimazione a impugnare ma vi è anche interesse concreto ed attuale.
Dal raffronto tra la statuizione della sentenza di primo grado, che aveva riqualificat il fatto nel senso indicato, e quanto si vorrebbe ottenere con la proposta impugnazione, emerge chiaro l’interesse almeno per un duplice ordine di ragioni.
La prima è che se il fatto fosse nuovamente ricondotto al delitto di concussione, il reato non sarebbe prescritto e dunque la pretesa risarcitoria sarebbe ancora attuabile nel processo penale, con i tempi di questo e sulla base delle prove assunte, senza dover nuovamente azionare la pretesa in un nuovo processo in sede civile.
La seconda ragione è che la riqualificazione compiuta incide, nel caso di specie, direttamente sulla stessa esistenza e sulla struttura del diritto al risarcimento.
Nel reato di concussione, come è noto, il soggetto concusso è la vittima del reato, è il soggetto leso dalla condotta costrittiva del pubblico agente; il concusso assume la veste di testimone nel processo ed è legittimato a costituirsi parte civile per ottene il risarcimento del danno subito.
È noto come con la legge 6 novembre 2012, n. 190 il legislatore abbia deciso di rompere la rigida alternativa tra corruzione e concussione, scomponendo la concussione in due diverse disposizioni: l’art. 317 cod. pen. e l’art. 319-quater cod. pen.; suddivisione che ha dato luogo a due autonome figure di reato.
La tecnica legislativa adottata è consistita, da una parte, nella riformulazione dell’a 317 cod. pen., al cui interno è rimasta la sola sottofattispecie della costrizione, dall’a parte, nell’introduzione di una nuova disposizione, l’art. 319-quater cod. pen. in cui è stata collocata l’ipotesi previgente di concussione per induzione.
In quest’ultima fattispecie è stata altresì inserita la punibilità del soggetto ind trasformando così la sottofattispecie – almeno questa sembrerebbe l’interpretazione prevalente- da monosoggettiva a plurisoggettiva necessaria.
Trattandosi quindi, come si ritiene, di un “trasloco” dall’art. 317 cod. pen. all’ 319-quater cod. pen., nella fattispecie di induzione indebita è rimasto il contrassegno
originario del modello della concussione, ossia il requisito dell'”abuso di qualità o poteri da parte dell’agente pubblico”.
In questo contesto si collocano le Sezioni unite “Maldera”, chiamate a risolvere un c’ontras . to giurispruderiziale che aveva assunto dirimente rilievo,’ e cioè quale fosse « seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 cod. pen.) e quella di induzione indebit a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319-quater cod. pen. di nuov introduzione) soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione quella di induzione e alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo» (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 dep. 2014, Maldera).
Le Sezioni unite della Corte nell’occasione affermarono che:
sussiste continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod. pen. ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità d cui all’art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla I. n. 190 del 2012, considerato che la pur prevista punibilità, in quest’ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttu dell’abuso induttivo, fermo restando, per i fatti pregressi, l’applicazione del favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma;
la condotta di “costrizione” ex art. 317 “evoca una condotta di violenza e di minaccia ( . . ). La minaccia, quindi, quale modalità dell’abuso costrittivo di cui all’art. 31 pen., presuppone sempre un autore e una vittima, il che spiega il ruolo di vittima che assume il concusso”;
-il delitto di induzione indebita ex art. 319quater sarebbe invece connotato, negativamente, dall’assenza di violenza-minaccia (da cui invece consegue nella concussione il successivo danno ingiusto per il privato) da parte dell’intraneus e, i positivo, dalla esistenza di un vantaggio indebito in capo all’ extraneus: l’abuso non costringe ma convince.
Secondo le Sezioni unite, in particolare, l’induzione indebita è un reato plurisoggettiv proprio o normativamente plurisoggettivo.
Il legislatore, dunque, eliminando la concussione per induzione non l’ha semplicemente “spostata” nella nuova fattispecie di «induzione indebita a dare o promettere utilità» (art. 319-quater c.p.), e neppure ha “reintrodotto” una duplice figura come era nel codice Zanardelli agli artt. 169 e 170, dove il privato restava persona offesa dell’induzione.
La nuova fattispecie, in realtà, è incentrata sul ruolo di correo del soggetto indot che non è un concusso e neppure un corruttore, ma, come si è lucidamente fatto notare in dottrina, un correo-indotto.
L’indotto, si è fatto notare, è “un po’ di meno” del corruttore, perché è punito meno di questi ed è meno riprovevole il suo comportamento perché indotto da una condotta
“abusiva” inducente del pubblico agente, ma, nondimeno, secondo l’opinione largamente maggioritaria, è un correo e non una vittima.
La ragion d’essere dell’autonomia di questa fattispecie, rispetto alla vecchia concussíone per induzione, risiede cioè nella punibilità del correo-indottb.
Non è utile in questa sede riflettere se, davvero, per i fatti precedenti alla entrat vigore della legge n. 190 del 2012, non vi siano sottoclassi che, con riguardo alla condotta dell’indotto, non siano più punibili né ai sensi dell’art. 319 quater, per essere l’indotto non un correo, e neppure ex art. 317 cod. pen., versandosi in presenza di ipotesi di induzione e non di costrizione.
E tuttavia, è indubbio, come notato in dottrina, che dal 2012 si è cambiato i significato della condotta della vittima e, in qualche modo, si è inciso sul significa sulla tipicità della stessa condotta del pubblico agente che induce: anche questo, infatti non commette più la medesima precedente condotta perché, in realtà, è “in combutta” con l’indotto.
Ne consegue che, nella specie, per effetto della riqualificazione giuridica del fatt da concussivo a quello di cui all’art. 319quater cod. pen., si è inciso sulla stessa esistenza del diritto al risarcimento dei ricorrenti, che da vittima sono stati conside correi del diverso reato.
Una riqualificazione che incide sulla struttura del reato, sulla tipicità della condo e sulla esistenza del diritto al risarcimento del danno.
Esiste dunque l’interesse a ricorrere delle parti civili perché l’utilità prospettat l’impugnazione che si intende perseguire è concreta non solo in relazione alla circostanza, come detto, che se il fatto fosse nuovamente ricondotto al reato di concussione, il reato non sarebbe prescritto e, quindi, si potrebbe addivenire ad una sentenza di condanna, ma, soprattutto, anche in relazione alla stessa esistenza e alla struttura del diritto al risarcimento.
Chi concorre nel reato non ha diritto al risarcimento dei danni dal reato che ha contribuito a commettere; chi è vittima del reato è invece titolare di detto diritto.
Dunque, quanto al capo C), la sentenza deve essere annullata; la Corte di appello, in ragione della ammissibilità della impugnazione, procederà a verificarne la fondatezza.
È inammissibile il ricorso quanto al capo D)- estorsione – per il quale l’appello stato ritenuto infondato essendosi i ricorrenti limitati, peraltro in modo generico sollecitare una diversa e non consentita valutazione della prova.
È fondato, quanto al capo E), anche il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in persona dei curatori fallimentari.
Si è già detto di come la Corte di appello abbia riconosciuto la responsabilità dell’ente per l’illecito amministrativo previsto dall’art. 24 del d. Igs. n. 231 del 2001, rite
provato il reato presupposto di truffa e imputando l’illecito ai sensi dell’art. 5 comma lett. a) del decreto in questione sùlla base del presupposto che COGNOME e COGNOME
rivestissero funzioni direttive, in quanto, rispettivamente, “project manager e addett tecnico ai cantieri, erano pertanto coloro che potevano falsificare i libretti delle mis
e la contabilità del cantiere, al fine di far apparire come eseguite quelle opera mai post in essere, di cui la RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiesto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento” (così testualment
la corte a pag. 16 della sentenza).
Si tratta di un ragionamento che non può essere condiviso per più ragioni.
L’illecito per cui si procede
è stato contestato facendo formalmente riferimento all’art. 5, comma 1, lett. b) del d.lgs n. 231 del 2001 e, dunque, a soggetti che no
assumono ruoli apicali ma sono invece sottoposti alla direzione o vigilanza di chi dette funzioni invece esercita.
Dunque, un modello imputativo della responsabilità diverso da quello recepito dalla legge e che trova il suo riferimento non nell’art. 6 ma nell’art. 7 del d. Igs n. 231
2001 e, in particolare, nella necessità di provare che il reato sia stato reso possibile da inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
Un mutamento della contestazione e del criterio soggettivo di imputazione dell’illecito, tenuto conto che il Tribunale, invece, aveva avuto riguardo all’art. 7 d Igs. in esame e, quindi, aveva considerato COGNOME e COGNOME come soggetti non apicali ma sottoposti all’altrui potere di direzione (cfr. pag. 45 e ss. sentenza di primo grado
Né è obiettivamente chiaro sulla base di quali elementi concreti la Corte abbia ritenuto che COGNOME e COGNOME rivestissero funzioni direttive.
Sul punto la sentenza è del tutto silente.
Ne consegue che anche sul capo in esame la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento ai capi C) ed E) e rinvia per nuovo giudizio su tali capi ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari; dichiara nel r inammissibili i ricorsi delle pari civili.
Così deciso in Roma il 15 aprile 2025
Il flonsigliere estensore
Il Presidente