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Impugnazione parte civile: appello contro l’assoluzione

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una parte civile che ha impugnato una sentenza di assoluzione per il reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice). La Suprema Corte ha chiarito che l’impugnazione parte civile, in questo contesto, deve essere qualificata come un vero e proprio appello, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello competente per la decisione sulle sole statuizioni civili.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Parte Civile: Quando il Ricorso si Trasforma in Appello

L’impugnazione parte civile rappresenta uno strumento fondamentale per la tutela dei diritti della persona danneggiata dal reato all’interno del processo penale. Tuttavia, le regole che ne disciplinano l’ammissibilità, specialmente a fronte di una sentenza di assoluzione, possono risultare complesse. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la corretta qualificazione del mezzo di impugnazione utilizzato dalla parte civile, confermando la sua facoltà di appellare la decisione ai soli fini civili.

I Fatti del Caso: L’Assoluzione in Primo Grado

Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Patti, che aveva assolto un’imputata dal delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388, comma 2, del codice penale). La formula assolutoria era quella dell'”insussistenza del fatto”, indicando che, secondo il giudice di primo grado, l’evento delittuoso non si era materialmente verificato. Avverso tale decisione, la parte civile costituita nel processo, ovvero la persona che si riteneva danneggiata dal reato, proponeva un atto di impugnazione.

La Questione Giuridica: L’impugnazione parte civile e i suoi limiti

La questione giunta all’esame della Corte di Cassazione era di natura prettamente processuale. Si trattava di stabilire quale fosse il corretto mezzo di impugnazione a disposizione della parte civile contro una sentenza di assoluzione e, di conseguenza, come qualificare l’atto presentato. È noto che, nel sistema processuale penale, i poteri di impugnazione della parte civile sono più limitati rispetto a quelli del Pubblico Ministero e dell’imputato, essendo circoscritti alla tutela dei propri interessi civili (il risarcimento del danno).

La Decisione della Corte di Cassazione sull’impugnazione parte civile

La Suprema Corte, investita della questione, ha risolto il dubbio procedurale in modo netto. In applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici e delle specifiche norme processuali, ha riqualificato l’atto presentato dalla parte civile come un appello, ai sensi dell’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale. Di conseguenza, ha ordinato la trasmissione di tutti gli atti alla Corte d’Appello di Messina, quale giudice competente per la trattazione del merito dell’impugnazione.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sull’interpretazione dell’art. 576 del codice di procedura penale. Questa norma consente espressamente alla parte civile di proporre impugnazione contro le sentenze di proscioglimento, ma solo per far valere i propri interessi civili. I giudici hanno richiamato anche un recente orientamento delle Sezioni Unite, secondo cui il limite alla facoltà di appello per la parte civile sussiste solo nella specifica ipotesi in cui sia stata la stessa parte civile a chiedere la citazione diretta a giudizio dell’imputato, un caso non ricorrente nella fattispecie.

Poiché la normativa speciale (D.Lgs. 274/2000) non prevede disposizioni specifiche per la parte civile in questo ambito, si deve applicare la normativa generale del codice di procedura penale. Pertanto, l’impugnazione, anche se erroneamente denominata, doveva essere intesa come un appello volto a ottenere una pronuncia sul risarcimento del danno negato dalla sentenza di primo grado.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio di garanzia fondamentale per le vittime di reato. La parte civile, anche di fronte a un’assoluzione penale, non perde il diritto di contestare la decisione per quanto riguarda le conseguenze civili del fatto. La Corte di Cassazione conferma che lo strumento corretto è l’appello, che verrà giudicato dalla Corte d’Appello territorialmente competente. La decisione assicura che un errore nella denominazione dell’atto (il cosiddetto nomen iuris) non pregiudichi il diritto della parte danneggiata a ottenere un secondo grado di giudizio sulle proprie pretese risarcitorie.

La parte civile può appellare una sentenza penale di assoluzione?
Sì, secondo l’art. 576 c.p.p., la parte civile può impugnare una sentenza di proscioglimento (assoluzione), ma solo per contestare le statuizioni relative ai suoi interessi civili, ovvero la richiesta di risarcimento del danno.

Cosa succede se la parte civile sbaglia a nominare l’atto di impugnazione?
Il giudice applica il principio di conservazione degli atti e di conversione del mezzo di impugnazione (art. 568, comma 5, c.p.p.). Se l’atto ha i requisiti di un’altra impugnazione ammissibile, viene riqualificato come tale. Nel caso specifico, l’impugnazione è stata qualificata come appello.

Perché l’impugnazione è stata qualificata come appello e trasmessa alla Corte d’Appello?
Perché l’appello è il mezzo di impugnazione previsto dalla legge (art. 576 c.p.p.) per la parte civile contro le sentenze di proscioglimento, per le questioni civili. La Corte di Cassazione ha ritenuto che non vi fossero le condizioni di inappellabilità indicate dalle Sezioni Unite, e quindi ha individuato nella Corte d’Appello il giudice naturale per la trattazione del gravame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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