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Impugnazione inammissibile: quando l’appello è errato

La Corte di Cassazione ha dichiarato un’impugnazione inammissibile perché proposta con un mezzo di gravame non consentito. Un soggetto, condannato in primo grado alla sola pena dell’ammenda per porto abusivo di armi, aveva proposto appello. Tuttavia, la legge prevede che per le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria l’unico rimedio sia il ricorso per cassazione. Sebbene il gravame sia stato riqualificato, i motivi, essendo di merito e non di legittimità, hanno portato alla declaratoria di inammissibilità.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impugnazione Inammissibile: L’Errore di Scegliere l’Appello Invece del Ricorso

Scegliere il corretto mezzo di impugnazione è un passo fondamentale nel processo penale. Un errore in questa fase può portare a una declaratoria di impugnazione inammissibile, vanificando ogni possibilità di veder riesaminata la propria posizione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo le conseguenze della proposizione di un appello avverso una sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda, per la quale è previsto esclusivamente il ricorso per cassazione.

I Fatti di Causa

Un individuo veniva condannato dal Tribunale alla pena di 1000 euro di ammenda per il reato di porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere. Nello specifico, era stato trovato in possesso di due coltelli da cucina e un coltellino multiuso in un luogo pubblico. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di impugnare la sentenza di primo grado, proponendo appello. Le doglianze sollevate riguardavano aspetti di merito, quali il presunto difetto dell’elemento soggettivo del reato, l’eccessività della pena inflitta, la mancata concessione delle attenuanti generiche e il diniego della sospensione condizionale della pena.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte d’Appello, investita del caso, rilevava immediatamente un vizio procedurale: la sentenza impugnata, prevedendo la sola pena dell’ammenda, non era appellabile secondo quanto disposto dall’art. 593, comma 3, del codice di procedura penale. Tale norma stabilisce che contro le sentenze che applicano unicamente una pena pecuniaria è ammesso soltanto il ricorso per cassazione. Pertanto, la Corte d’Appello riqualificava il gravame come ricorso e trasmetteva gli atti alla Corte di Cassazione.

Giunto dinanzi ai giudici di legittimità, il ricorso veniva dichiarato manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La Corte Suprema ha sottolineato che, sebbene l’atto fosse stato formalmente riqualificato, la sua sostanza rimaneva quella di un appello. I motivi addotti, infatti, erano tutti volti a una riconsiderazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità.

Le conseguenze di una impugnazione inammissibile

La declaratoria di inammissibilità ha comportato non solo la conferma definitiva della condanna di primo grado, ma anche un’ulteriore sanzione per il ricorrente. La Corte di Cassazione lo ha infatti condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende, a causa della sua iniziativa processuale palesemente infondata.

Le Motivazioni

Il fulcro della decisione risiede nell’orientamento consolidato della giurisprudenza secondo cui è inammissibile l’impugnazione proposta con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto dalla legge, specialmente quando dall’analisi dell’atto emerge che la parte ha volontariamente scelto e denominato quel mezzo specifico. Nel caso di specie, l’imputato aveva chiaramente inteso proporre un appello, sollevando questioni di fatto e di valutazione probatoria. Tali motivi non rientrano tra quelli, tassativamente indicati dall’art. 606 del codice di procedura penale, che possono essere fatti valere con il ricorso per cassazione, il quale è circoscritto ai soli errori di diritto (c.d. ‘vizi di legittimità’). Poiché il mezzo di gravame desiderato (l’appello) non era consentito e i motivi proposti non erano compatibili con l’unico mezzo ammissibile (il ricorso per cassazione), l’impugnazione è stata correttamente dichiarata inammissibile.

Conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito sull’importanza della precisione tecnica nella scelta degli strumenti processuali. La distinzione tra appello e ricorso per cassazione non è una mera formalità, ma risponde a una precisa logica del sistema giudiziario, che affida ai diversi gradi di giudizio compiti differenti. L’appello è destinato a un riesame completo del merito, mentre la Cassazione ha una funzione di nomofilachia, ovvero di garantire l’uniforme e corretta interpretazione della legge. Confondere questi piani e utilizzare lo strumento sbagliato non solo non porta al risultato sperato, ma può comportare significative conseguenze economiche, come dimostra la condanna al pagamento di una somma aggiuntiva alla cassa delle ammende.

Perché l’appello iniziale è stato considerato il mezzo di impugnazione sbagliato?
La legge, specificamente l’art. 593, comma 3, del codice di procedura penale, stabilisce che le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda non sono appellabili. L’unico mezzo di impugnazione consentito in questi casi è il ricorso per cassazione.

Cosa succede se i motivi di un ricorso non sono conformi a quelli previsti dalla legge?
Se i motivi sollevati in un ricorso per cassazione non rientrano nelle categorie tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p. (ad esempio, se riguardano il merito dei fatti anziché errori di diritto), il ricorso viene dichiarato inammissibile. In questo caso, i motivi erano tipici di un appello e quindi inadatti per un ricorso di legittimità.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A causa dell’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di un’ulteriore somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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