Impugnazione in sede esecutiva: i limiti chiariti dalla Cassazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: non tutte le questioni possono essere sollevate in qualsiasi momento. La distinzione tra la fase di cognizione e quella di esecuzione è netta, e tentare di presentare un’impugnazione in sede esecutiva per materie che andavano trattate durante il processo può portare a una secca dichiarazione di inammissibilità. Analizziamo questo caso per capire meglio i confini procedurali e le conseguenze per il condannato.
I fatti del caso
Il ricorrente, già condannato con sentenza definitiva dalla Corte di Appello di Roma, si era rivolto al giudice dell’esecuzione per ottenere una rideterminazione della sua pena. La sua richiesta si basava su due punti principali: il riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva contestata e, a tal fine, la necessità di sollevare una questione di legittimità costituzionale su alcune norme del Testo Unico sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990) e del codice di procedura penale.
In sostanza, l’interessato lamentava che il divieto di considerare le attenuanti prevalenti su una certa forma di recidiva fosse incostituzionale e chiedeva che la sua pena venisse ricalcolata di conseguenza. La Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva già respinto tali richieste, ritenendole manifestamente infondate.
La corretta gestione dell’impugnazione in sede esecutiva
Contro la decisione della Corte di Appello, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla non manifesta infondatezza delle sue questioni di legittimità costituzionale. Tuttavia, la Suprema Corte ha preso una direzione diversa, concentrandosi non sul merito delle questioni, ma sul momento processuale in cui sono state sollevate.
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine: le questioni relative alla quantificazione della pena, al bilanciamento tra circostanze aggravanti (come la recidiva) e attenuanti, e le relative eccezioni di costituzionalità, devono essere affrontate e risolte nella sede cognitiva, ovvero durante il processo di merito che porta alla sentenza di condanna.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte sono concise ma estremamente chiare. Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato proprio perché le questioni sollevate erano estranee alla fase esecutiva. La sede esecutiva serve a dare attuazione a una sentenza divenuta irrevocabile, non a rimettere in discussione il giudizio di colpevolezza o il calcolo della pena già definiti in sede di cognizione. Tentare di utilizzare la fase esecutiva per correggere o modificare aspetti che dovevano essere contestati durante i gradi di merito del processo rappresenta un uso improprio degli strumenti processuali.
La Corte ha quindi stabilito che, poiché le questioni andavano sollevate in sede cognitiva, la loro proposizione in sede esecutiva rendeva il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, all’inammissibilità del ricorso è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un importante monito: il rispetto delle fasi processuali è inderogabile. Chi intende contestare aspetti legati alla determinazione della pena, come il bilanciamento tra circostanze, deve farlo tempestivamente durante il processo. Una volta che la sentenza diventa definitiva, gli spazi per rimettere in discussione tali elementi si riducono drasticamente. L’impugnazione in sede esecutiva non può diventare uno strumento per riaprire un dibattito processuale già concluso. La decisione della Cassazione rafforza la certezza del diritto e la stabilità del giudicato, chiarendo che ogni fase del procedimento ha le sue funzioni e i suoi limiti invalicabili.
È possibile chiedere la rideterminazione della pena in sede esecutiva sollevando questioni sul bilanciamento tra attenuanti e recidiva?
No, secondo questa ordinanza, le questioni relative al bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti devono essere sollevate e decise nella fase di merito del processo (sede cognitiva) e non possono essere riproposte in sede di esecuzione della pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato dalla Cassazione?
Il ricorso è stato considerato manifestamente infondato perché le questioni di legittimità costituzionale, relative al calcolo della pena, sono state sollevate in una fase processuale non appropriata (sede esecutiva), mentre avrebbero dovuto essere discusse durante il processo di cognizione.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
Come stabilito nel caso di specie, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, qui determinata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20975 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20975 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Rilevato che nel ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, come altresì supportato da successiva memoria, il difensore si duole che la Corte di appello di Roma, quale giudice dell’esecuzione, non abbia ridetermiNOME la pena di cui alla sentenza definitiva di condanna della stessa Corte n.3453/2020. Evidenzia che a detto Giudice era stata chiesta la rideterminazione in sede esecutiva di detta pena, previo riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta recidiva e, quindi, ridimensionamento delle pene irrogate per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e per i reati satellite; e che al medesim Giudice era stato chiesto, al fine invocato, di sollevare questione di legittimit costituzionale del suddetto art. 74, commi 1 e 2, e, in via subordinata, eccezione di incostituzionalità dell’art. 69, comma quarto, nella parte in cui prevede il divieto giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva ex art.99, quarto comma, cod. proc. pen. Lamenta che la Corte di appello ha ritenuto dette questioni di legittimità costituzionale manifestamente infondate.
Considerato che il ricorso, nel quale si insiste sulla non manifesta infondatezza delle suddette questioni di legittimità costituzionale, è manifestamente infondato in quanto dette questioni andavano sollevate in sede cognitiva e non in sede esecutiva.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.