Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7018 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 7018  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso il 10/06/2022 dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con unico atto del loro comune difensore e procuratore speciale, NOME COGNOME e sua moglie NOME COGNOME impugnano il decreto in epigrafe indicato, nella parte in cui ha confermato la confisca di alcune aziende, beni immobili, veicoli, strumenti finanziari e liquidità nella loro disponibilità, disposta da Tribunale di Palermo ai sensi dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011, in
ragione della loro provenienza illecita o comunque perché costituenti il reimpiego di profitti ottenuti attraverso attività illecita.
In estrema sintesi, sulla base delle risultanze istruttorie del processo conclusosi con la sentenza irrevocabile di condanna del COGNOME per RAGIONE_SOCIALE all’associazione RAGIONE_SOCIALE denominata “RAGIONE_SOCIALE” fino al febbraio del 2010 e per concorso in estorsione aggravata dal metodo RAGIONE_SOCIALE e dalla finalità agevolativa di detta associazione, commessa tra la fine del 2005 e marzo del 2006, i giudici di merito hanno ritenuto costui persona inserita in quella consorteria criminale: per conto della quale, in particolare, individuava le imprese operanti nel settore dell’edilizia da sottoporre ad estorsione, sovente prestandosi anche alla riscossione del “pizzo” dalle stesse ed ottenendo in cambio dalla cosca di riferimento il favore per l’acquisizione delle commesse nel relativo territorio d’influenza, di fatto indispensabile per esercitare tale attività d’impresa in quel contesto.
Di qui, la ritenuta natura RAGIONE_SOCIALE delle sue imprese, in quanto, pur non giovandosi della diretta immissione di capitali realizzati da “RAGIONE_SOCIALE” con attività delittuose, esse hanno tratto dal rapporto con quel RAGIONE_SOCIALE criminale rilevanti vantaggi nell’esercizio della loro attività produttiva, in termini agevolazioni nell’acquisizione di commesse e, quindi, di eliminazione della concorrenza.
Secondo quei giudici, poi, la stretta collusione tra COGNOME e “RAGIONE_SOCIALE“, in particolare con i vertici delle famiglie della zona “Brancaccio INDIRIZZO” di Palermo, avrebbe avuto origine dalla metà degli anni ’90 dello scorso secolo. Sebbene, infatti, le prime sue condotte espressive di un tale rapporto, accertate giudizialmente, risalgano al 1999, il collaboratore di giustizia NOME COGNOME ha riferito di averlo conosciuto negli anni 1996-1997, poiché presentatogli dall’allora reggente della suddetta famiglia RAGIONE_SOCIALE, e – osserva la Corte d’appello – «non si instaurano rapporti strettamente fiduciari con esponenti mafiosi di primo piano (…) senza un più che congruo periodo temporale di dimostrata vicinanza all’ambiente RAGIONE_SOCIALE e di sperimentata (e riconosciuta in tale ambiente) affidabilità personale».
Infine, con precipuo riferimento ai complessi aziendali, la Corte distrettuale ne ha confermato la confisca per l’intero, non potendosi distinguere l’apporto di componenti lecite, in quanto derivanti dalla legittima iniziativa e dalla capacità imprenditoriale dell’interessato, da quello conseguito per effetto dell’ausilio dell’organizzazione criminale, grazie al quale l’impresa si è consolidata ed ha esteso la propria attività economica.
 Il ricorso denuncia violazione di legge in relazione a due profili: a) la retrodatazione alla metà degli anni ’90 della pericolosità qualificata del COGNOME; b) la sussunzione dell’attività di costui nella nozione di “impresa RAGIONE_SOCIALE” elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte.
2.1. Quanto al primo aspetto, la Corte avrebbe fondato il proprio convincimento non su dati processuali, bensì esclusivamente su una non meglio precisata «esperienza giudiziaria», e quindi senza seguire un iter logico-giuridico verificabile.
2.2. Riguardo, invece, al secondo, non si ravviserebbero, nel caso in rassegna, gli elementi tipici della “impresa RAGIONE_SOCIALE“, ovvero la correlazione specifica e concreta tra la gestione dell’impresa e le attività riconducibili al RAGIONE_SOCIALE, l’asservimento, cioè, dell’attività d’impresa al controllo della consorteria, con la condivisione di progetti e dinamiche e la conseguente commistione di attività lecita ed illecita, così che l’impresa diviene strumento operativo del gruppo criminale.
Nessun asservimento delle imprese del ricorrente all’associazione RAGIONE_SOCIALE, infatti, sarebbe stato accertato, essendosi la sua collaborazione limitata alla segnalazione di possibili vittime di estorsione ed all’esazione delle relative “tangenti” ed avendo, anzi, egli agito sempre in autonomia da “RAGIONE_SOCIALE“, addirittura al punto da suscitare il risentimento e le reazioni di uno dei capi-cosca.
2.3. Da ultimo, il ricorso si duole dell’estensione della confisca all’intero patrimonio delle aziende, essendo state le stesse costituite ed avendo iniziato ad operare tra il 1986 ed il 1990, e dunque in un periodo sensibilmente antecedente a quello di accertata pericolosità del COGNOME: mancherebbe, perciò, il requisito essenziale per poter giustificare tale ablazione integrale, ovvero la costituzione dell’impresa con il conferimento di capitali di origine illecita e la conduzione della relativa attività economica, sin dall’inizio, con mezzi illeciti.
Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO generale, concludendo per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso, essendo tutti manifestamente infondati.
Quanto al primo, in tema di determinazione del periodo di manifestazione della pericolosità del proposto, diversamente da quel che deduce il ricorrente, il decreto impugnato sorregge le proprie conclusioni non già mediante un generico richiamo alla “esperienza giudiziaria”.
La Corte d’appello, piuttosto, giunge all’individuazione del momento iniziale di tale periodo attraverso una considerazione di stringente coerenza logica, qual è quella della necessità della preliminare e non breve verifica di affidabilità del destinatario di delicati compiti fiduciari, tanto più all’interno di contesti, come quello criminale di tipo RAGIONE_SOCIALE, in cui si opera per lo più in segreto e con l’esposizione al rischio di gravi conseguenze, non solo giudiziarie.
In ogni caso, semmai fosse stato illogico, il ragionamento del Tribunale avrebbe potuto integrare, al più, un vizio della motivazione, tuttavia non deducibile in questa materia dinanzi al giudice di legittimità (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011).
 Con il secondo motivo, il ricorso contesta la natura RAGIONE_SOCIALE dell’attività imprenditoriale del COGNOME, limitandosi a considerare soltanto alcune delle forme di manifestazione del fenomeno, quelle, cioè, in cui la consorteria immette capitali e/o gestisce ed indirizza l’attività d’impresa, operando attraverso lo schermo di un’azienda formalmente regolare.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, però, la nozione di “impresa RAGIONE_SOCIALE” va estesa anche alle attività imprenditoriali – come quelle del COGNOME – esercitate non da una “testa di paglia”, bensì dall’effettivo titolare, e che non si giovano direttamente di immissioni di capitali di origine illecita, ma che, ciò nonostante, traggano dal rapporto con il RAGIONE_SOCIALE rilevanti vantaggi nel relativo svolgimento, giacché, in tal caso, l’irnpresa funge da strumento per il perseguimento dei fini delittuosi dell’associazione RAGIONE_SOCIALE, operando al contempo nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462).
Nello specifico, dunque, considerando non la semplice contiguità del ricorrente a “RAGIONE_SOCIALE“, bensì la sua intraneità, accertata con sentenza irrevocabile e proprio in ragione dei servigi da lui apportati al RAGIONE_SOCIALE nel controllo del settore dell’edilizia, la sovrapposizione d’interessi con l’associazione RAGIONE_SOCIALE risulta nitida.
Relativamente, infine, al terzo motivo, con cui si contesta l’estensione dell’ablazione all’intero patrimonio aziendale, è sufficiente anche in questo caso richiamare la giurisprudenza di questa Corte, con cui si è stabilito che, in tema di confisca di prevenzione, laddove un’attività imprenditoriale si sia sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione RAGIONE_SOCIALE, ne risulta contaminato tutto il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, divenendo essi stessi parti dell’impresa “a RAGIONE_SOCIALE” che, come tali, sono soggette a confisca, a nulla rilevando l’iniziale carattere lecito delle quote versate dai diversi soci. Non può scindersi, infatti, a fini ablatori, la quota ideale riconducibile
all’utilizzo di risorse illecite, essendo normalmente impossibile distinguerla da quella riferibile alla capacità e all’iniziativa imprenditoriale legittima (Sez. 6, n. 7072 del 2021, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 49750 del 04/07/20.19, COGNOME, Rv. 277438).
L’inammissibilità dei ricorsi comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio delle doglianze addotte, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.