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Impresa illecita: la confisca per collusione mafiosa

La Corte di Cassazione ha confermato le misure di prevenzione della sorveglianza speciale e della confisca nei confronti di un imprenditore. La sua attività è stata classificata come ‘impresa illecita’ a causa di una collusione sistemica con un’associazione mafiosa, che ne ha favorito lo sviluppo e l’espansione. I giudici hanno ritenuto la pericolosità sociale ancora attuale, nonostante il periodo di custodia cautelare, e hanno confermato che l’intera azienda, essendo ‘contaminata’, dovesse essere confiscata.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impresa illecita e collusione mafiosa: la Cassazione conferma la confisca totale

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato il delicato tema della impresa illecita e della sua totale confiscabilità quando emerge una collusione sistemica con la criminalità organizzata. Il caso esaminato riguarda un imprenditore del settore delle scommesse, al quale sono state applicate le misure di prevenzione della sorveglianza speciale e della confisca dell’intero patrimonio aziendale. Questa decisione offre importanti chiarimenti sui concetti di pericolosità sociale e sulla differenza tra custodia cautelare e pena detentiva ai fini della valutazione della sua attualità.

I Fatti: L’ascesa di un’impresa nel settore scommesse

La vicenda giudiziaria trae origine dall’attività di un imprenditore che, secondo le ricostruzioni dei giudici di merito, aveva costruito e ampliato la propria attività nel campo delle scommesse online grazie all’appoggio e alla ‘sponsorizzazione’ di esponenti di spicco di un’associazione mafiosa. Questa protezione gli aveva permesso di espandersi anche in territori controllati da altre famiglie criminali.

L’attività, basata sulla gestione di scommesse online illecite tramite siti esteri non autorizzati, generava ingenti profitti in contanti. Questi proventi venivano in parte occultati e in parte reinvestiti, ad esempio nell’acquisto di altre attività commerciali. Sulla base di questi elementi, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano applicato al soggetto la misura della sorveglianza speciale per tre anni e sei mesi e disposto la confisca dei beni a lui riconducibili.

Il ricorso in Cassazione e la nozione di impresa illecita

La difesa dell’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, contestando tre punti principali:
1. La presunta mancanza di motivazione sulla pericolosità sociale ‘generica’, legata ai reati comuni.
2. La mancanza di ‘attualità’ della pericolosità sociale, poiché l’imprenditore era stato sottoposto a misura cautelare (arresti domiciliari). Secondo la difesa, questo stato detentivo avrebbe dovuto interrompere il giudizio di pericolosità.
3. L’errata qualificazione dell’azienda come impresa illecita e la conseguente confisca, anche alla luce di una sentenza del processo penale che, secondo la difesa, escludeva la cointeressenza economica diretta del boss mafioso nell’attività.

Le motivazioni: perché l’impresa illecita è interamente confiscabile

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, fornendo una motivazione chiara e approfondita. I giudici hanno stabilito che la pericolosità sociale, sia generica che qualificata (legata alla contiguità mafiosa), era ampiamente dimostrata dagli atti del processo penale. Il rapporto sinallagmatico tra l’imprenditore e il clan era evidente: l’imprenditore otteneva protezione e garanzie per l’espansione della sua attività, mentre l’associazione mafiosa riceveva sostegno economico e altri vantaggi.

Sul punto cruciale dell’attualità della pericolosità, la Corte ha chiarito un principio fondamentale. La sottoposizione a una misura cautelare (come gli arresti domiciliari) non fa venir meno la presunzione di pericolosità, anzi, la presuppone. Diversa è l’ipotesi della detenzione per l’espiazione di una lunga pena definitiva, al termine della quale la legge prevede una nuova verifica della pericolosità. Nel caso della custodia cautelare, invece, il periodo di validità della misura di prevenzione continua a decorrere una volta cessata la misura stessa.

Infine, per quanto riguarda la confisca, la Cassazione ha ribadito il consolidato orientamento sull’impresa illecita. Quando un’attività imprenditoriale si sviluppa e si espande con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa, l’intero patrimonio aziendale ne risulta ‘contaminato’. Diventa impossibile scindere la parte di capitale originariamente lecita da quella illecita. L’impresa, nel suo complesso, diventa uno strumento dell’associazione criminale (‘impresa a partecipazione mafiosa’) e, come tale, è soggetta a confisca totale. La Corte ha inoltre specificato che la valutazione del giudice della prevenzione è autonoma rispetto a quella del giudice penale, soprattutto quando le questioni legali affrontate sono diverse.

Le conclusioni: le implicazioni della sentenza

Questa sentenza ribadisce tre principi cardine in materia di misure di prevenzione:
1. La nozione di impresa illecita si applica a quelle realtà economiche che, pur potendo avere un’origine lecita, crescono grazie a un rapporto simbiotico con la mafia. Tale contaminazione giustifica la confisca dell’intero compendio aziendale.
2. La custodia cautelare non interrompe né attenua il giudizio sulla pericolosità sociale attuale di un soggetto, che rimane il presupposto per l’applicazione delle misure di prevenzione.
3. Il procedimento di prevenzione mantiene la sua autonomia rispetto al processo penale, consentendo al giudice di valutare gli elementi in modo specifico ai fini dell’applicazione delle misure personali e patrimoniali.

Quando un’intera impresa può essere confiscata per legami con la mafia?
Quando un’attività imprenditoriale si è sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa. In tal caso, l’intero capitale sociale e patrimonio aziendale risultano ‘contaminati’, rendendo l’azienda un’impresa illecita o ‘a partecipazione mafiosa’ e quindi interamente confiscabile.

La detenzione in carcere prima di una condanna definitiva (custodia cautelare) fa cessare la pericolosità sociale di una persona?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la sottoposizione a una misura cautelare non solo non fa cessare la pericolosità sociale, ma la presuppone. La verifica sull’attualità della pericolosità è richiesta dalla legge solo dopo un lungo periodo di detenzione per espiazione di una pena definitiva, non durante la custodia cautelare.

Una sentenza favorevole a un coimputato nel processo penale può impedire la confisca di prevenzione?
Non necessariamente. Il giudizio di prevenzione è autonomo da quello penale. Una sentenza che, ad esempio, esclude un’aggravante specifica per un coimputato non impedisce al giudice della prevenzione di valutare autonomamente la sussistenza di una collusione sistemica tra l’imprenditore e l’associazione mafiosa ai fini della confisca della sua impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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