Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27869 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27869 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Castelvetrano il 06/06/1985
avverso il decreto emesso il 28 ottobre 2024 dalla Corte d’appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio del decreto, limitatamente alla confisca, in accoglimento del terzo motivo, avuto riguardo alla omessa valutazione della sentenza emessa nei confronti dei coimputati;
lette le conclusioni dei difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Palermo che ha confermato il decreto del Tribunale di Trapani con il quale sono state applicate al ricorrente le misure di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni tre e mesi sei e della confisca
dei beni specificamente indicati nel decreto del Tribunale. Deduce tre motivi di ricorso di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
1.1. Mancanza della motivazione relativa alla ritenuta pericolosità generica del ricorrente ai sensi dell’art. 1, lett. b), d. lgs. n. 159 del 2011. Si rileva, a tal fine, che la Corte ha omesso di rispondere alle censure difensive relative al l’inquadramento del proposto nella categoria di pericolosità e, soprattutto, alla configurabilità, sulla base degli indizi desunti dal processo penale, del reato di cui all’art. 4, comma 1, legge 401/1989, avuto riguardo allo svolgimento dell’attività di intermediazione, per conto di società estere non autorizzate, nella raccolta ed accettazione delle scommesse. In particolare , oltre all’incensuratezza del ricorrente, erano stati dedotti i seguenti rilievi critici: a) la carenza di indizi relativi allo svolgimento di attività delittuose in quanto nel processo penale non risulta rinvenuto alcun pannello illecito nella disponibilità del proposto, nonostante l’avvenuto sequestro dell’intero compendio aziendale e la «conclamata erroneità del sillogismo siti ad estensione ‘.com’= siti illeciti »; b) la rilevanza delle dichiarazioni rese da COGNOME e COGNOME.
1.2. Mancanza della motivazione relativa alla attualità della pericolosità qualificata e apparenza della motivazione in merito alla persistente appartenenza del proposto all’associazione ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ . Si rileva, a tal fine, che la Corte territoriale ha omesso di valutare l’incidenza della sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari sul giudizio di attualità della pericolosità. Si aggiunge, inoltre, che la riconosciuta rescissione di ogni rapporto con soggetti appartenenti all’associa zione mafiosa a far data, quanto meno, dal maggio del 2018, unitamente alla valutazione sollecitata con l’atto di appello di ulteriori elementi sintomatici della cessazione della pericolosità qualificata del ricorrente (le risultanze istruttorie attestanti l’inesistenza di cointeressenz e tra il proposto, da un lato, e NOME, NOME e NOME COGNOME, dall’altro, a far data dal 20/12/2017; il decesso di NOME COGNOME; l’arresto di NOME COGNOME nel dicembre 2013; il contenuto delle dichiarazioni rese dal proposto nel giugno 2014 in merito allo svolgimento in autonomia della propria attività professionale, anche rispetto a Guttadauro, e alla conflittualità con i Placenti), avrebbero dovuto indurre ad escludere la persistenza del profilo di pericolosità del proposto.
1.3. Mancanza della motivazione in merito «alla definizione di impresa originariamente mafiosa» e alle disponibilità economiche del proposto. La Corte territoriale, infatti, ha escluso la sussistenza di capacità reddituali lecite in capo al proposto poiché derivanti da attività imprenditoriale svolta sotto l’egida di esponenti di spicco di ‘ cosa nostra ‘ , ovvero NOME COGNOME e i fratelli COGNOME. Tale affermazione, tuttavia, non trova conforto né nella sentenza di appello, emessa nel processo di cognizione, in cui a pagina 118 veniva esclusa la
contestata società di fatto con COGNOME, né nella sentenza n. 45657 del 20 settembre 2023, emessa dalla Seconda sezione della Corte di Cassazione nell’ambito del medesimo procedimento, in cui si è espressamente esclusa la cointeressenza economica di COGNOME nell’attività imprenditoriale esercitata da COGNOME e la diretta gestione di tali attività da parte della famiglia mafiosa di Castelvetrano.
Sotto altro profilo, si deduce l’apparenza della motivazione in merito al calcolo formulato ai fini del giudizio di proporzione. Ciò in quanto, come dedotto anche nell’atto di appello, la Corte territoriale ha considerato solo i bonifici in entrata per il pagamento delle provvigioni e dei corrispettivi sulle slot machines , mentre non ha considerato gli ulteriori versamenti indicati a pagina 14 del ricorso, ritenendoli mere partite di giro, ovvero: a) i versamenti in contanti per la raccolta delle giocate, al netto di quanto utilizzato di volta in volta per il pagamento delle vincite e per la raccolta relativa ai servizi di pagamento di bollette o di ricariche telefoniche; b) i bonifici in uscita a favore di RAGIONE_SOCIALE per il ripianamento della situazione dare-avere con l’Agenzia e le subagenzie nel caso in cui le entrate finanziarie per le giocate fossero superiori alle uscite per le vincite; c) i bonifici in entrata da RAGIONE_SOCIALE per consentire il pagamento delle vincite ai giocatori e i prelevamenti di contante in uscita al medesimo fine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Giova premettere che nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulé, Rv. 279284).
Le Sezioni Unite ‘Repaci’ hanno, inoltre, chiarito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Letto alla luce di tale limitato orizzonte cognitivo, il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità in quanto si limita a dedurre un vizio della motivazione sulla base, peraltro, di censure di merito.
Il decreto impugnato, infatti, con motivazione immune da vizi giuridici, ha ritenuto la legittimità del l’inquadramento del proposto nella categoria di pericolosità generica sulla base degli elementi fattuali emergenti dal processo di cognizione, sottolineando, in particolare, la contiguità emersa in detto giudizio tra il ricorrente, esponenti del clan COGNOME e Guttadauro.
Risulta, inoltre, dal decreto del Tribunale che tale inquadramento attiene all’attività di organizzazione e gestione di scommesse on line illecite su siti ‘ .com ‘ in cui COGNOME operava come intermediario di società estere prive di autorizzazione a operare sul territorio nazionale, attività che ha svolto godendo dell’appoggio e della ‘ sponsorizzazione ‘ di NOME COGNOME, nipote di NOME COGNOME il quale gli faceva da ‘garante’ , consentendo la sua espansione fuori dal territorio di Castelvetrano, anche in zone ove erano egemoni altre famiglie mafiose (Catania e Palermo). Nel decreto impugnato si riporta un brano della sentenza di condanna di primo grado da cui risulta che già nel 2010 COGNOME apriva un’agenzia con il marchio RAGIONE_SOCIALE grazie all’appoggio dei fratelli COGNOME (condannati per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. in quanto ritenuti appartenenti al clan COGNOME). Il Tribunale ha evidenziato che tale attività illecita ha prodotto considerevoli profitti, trattandosi di scommesse che venivano pagate in contanti, ed ha ricostruito, sulla base degli elementi tratti dal procedimento penale, i successivi passaggi di tali proventi illeciti, in parte, occultati presso l’abitazione dei genitori di NOME COGNOME, in parte , fatti circolare tramite delle ‘carte al portatore’ (cd. ‘ e-wallet ‘) riconducibili alla società inglese RAGIONE_SOCIALE (nel decreto si riportano, peraltro, delle conversazioni da cui è emerso che talune carte furono consegnate dal ricorrente ai suoi familiari) e, in altra parte, reimpiegati per l’acquisto della pizzeria RAGIONE_SOCIALE nella quale COGNOME ha stabilmente impiegato i figli di NOME COGNOME, cognato di Guttadauro.
Il secondo motivo è complessivamente infondato, sebbene, in parte, come si dirà di seguito, contenga anche delle doglianze non consentite in questa Sede.
3.1. Il decreto, impugnato, con motivazione immune da vizi giuridici e, soprattutto, tutt’altro che apparente, ha ritenuto l’attualità della pericolosità del ricorrente considerando che, pur essendo costui un concorrente esterno del sodalizio mafioso, fatto per il quale è stato condannato con sentenza non definitiva, il grado di compenetrazione del suo contributo rispetto alla conservazione e al rafforzamento dell’associazione mafiosa è tale da proiettarsi al di là dell’orizzonte temporale dell’ imputazione penale (dal 2016 al 19/4/2018), fino all’attualità. Ciò in ragione della posizione di privilegio acquisita da COGNOME nella consorteria mafiosa, di cui ha curato gli interessi nell’arco di tutta la sua
attività criminale. Si è, inoltre, considerato che COGNOME è stato ininterrottamente sottoposto a misura cautelare nel periodo compreso tra l’esecuzione della misura (10/5/2018) e la data di deposito del decreto di primo grado (6/4/22), e, in tale periodo, non ha mai tenuto alcun comportamento sintomatico dell’abbandono delle logiche criminali perseguite in precedenza. Diversamente da quello che sostiene il ricorrente, la Corte ha valutato il provvedimento di sostituzione della misura custodiale con gli arresti domiciliari, ma ne ha escluso la rilevanza, trattandosi, comunque, di un provvedimento cautelare fondato sulla persistenza della pericolosità del ricorrente.
Così facendo, la Corte ha fatto buon governo del principio di diritto, qui condiviso, secondo il quale in materia di misure di prevenzione personali, la concomitante sottoposizione del proposto a misura cautelare personale, detentiva o non detentiva, incompatibile con la misura di prevenzione, non consente, all’esecuzione di quest’ultima, di ritenere superata o attenuata la presunzione di attualità della pericolosità sociale (Sez. 1, n. 29475 del 01/03/2019, COGNOME, Rv. 276806; Sez. 1, n. 27970 del 09/03/2017, COGNOME, Rv. 270655).
Si è, infatti, considerato che l’art. 14 d. lgs. n. 159 del 2011, come modificato dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161, coerentemente con la sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013, pur prevedendo che l’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare (comma 2bis) o alla detenzione per espiazione pena (comma 2ter), solo in tale ultima ipotesi prevede che, una volta cessata la detenzione, il tribunale pro ceda, anche d’ufficio, alla verifica della pericolosità sociale dell’interessato. Si è, dunque, ritenuto che la riforma ora citata, nel recepire l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, secondo cui la sorveglianza speciale può essere deliberata anche nei confronti di soggetto ristretto in carcere, ha avallato l’interpretazione del succitato quadro normativo secondo cui la detenzione di lunga durata – che sia, però, determinata da espiazione di pena determina una sospensione dell’esecuzione della misura che non cessa con la fine della detenzione, ma permane fino a quando il tribunale competente non accerti la persistenza della pericolosità dell’interessato.
Tale successiva verifica non è, invece, prevista dal comma 2bis alla cessazione della misura della custodia cautelare: in tal caso, infatti, la norma prevede che il termine di durata della misura di prevenzione continua a decorrere dal giorno nel quale è cessata la misura cautelare, con redazione di verbale di sottoposizione agli obblighi.
Tale assetto normativo è stato, pertanto, condivisibilmente interpretato, differenziando la detenzione determinata da custodia cautelare, in sé implicante la persistenza della pericolosità del soggetto, dalla detenzione patita per
espiazione di pena, che solo ove abbia una durata di almeno due anni anni, comporta l’esigenza della verifica dell’attualità della pericolosità sociale del prevenuto.
3.2. Le ulteriori doglianze relative agli elementi sintomatici della cessazione della pericolosità sulla base delle indicate risultanze istruttorie non sono, invece, consentite in questa Sede sia perché si tratta di censure di merito sia perché, comunque, si risolvono nella prospettazione di vizi della motivazione.
4. Il terzo motivo è complessivamente infondato.
4.1. COGNOME, inquadrato nella categoria di pericolosità qualificata dell’indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, è stato considerato dai Giudici di merito quale imprenditore colluso con la mafia; in particolare, il decreto di primo grado, valorizzando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME, nonché le risultanze delle conversazioni intercettate, ha ricostruito la genesi, a far data dal 2013, e la successiva affermazione ed espansione, anche in altri territori, dell ‘ illecita attività del ricorrente nel settore delle scommesse illegali, sulla base di un rapporto privilegiato con i fratelli COGNOME e con COGNOME
P eraltro, quanto ai rapporti con quest’ultimo, si è dato conto che le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME in merito alla espansione delle attività di scommesse anche nel territorio di Palermo e al particolare interesse nel settore di NOME COGNOME, hanno trovato riscontro nelle video riprese presso un’agenzia di scommesse di Palermo, in cui si registrava un incontro tra il titolare dell’Agenzia e NOME COGNOME, accompagnato in quella occasione proprio dal ricorrente.
Sono state, inoltre, valorizzate le ulteriori circostanze emerse dalle conversazioni intercettate, concernenti il sistematico sostentamento del sodalizio mafioso assicurato dal ricorrente con i proventi della sua attività imprenditoriale, e le ingerenze nella gestione delle attività del ricorrente anche degli altri sodalizi mafiosi, ingerenze veicolate da NOME, cognato di Guttadauro e subentrato a costui a seguito del suo arresto nel dicembre 2013 (il decreto di primo grado ha, tra l’altro, riportato un a conversazione del gennaio 2018 tra il ricorrente e NOME, in cui quest’ultimo si faceva portavoce di una richiesta di posti di lavoro da parte di ‘ amici ‘ di un’altra consorteria mafiosa, specificando che era un favore che andava fatto poiché avevano consentito l’apertura delle agenzie nel loro territorio).
Sulla base di tale collusione sistemica del ricorrente, in particolare, con l’associazione mafiosa operante nel suo territorio , si è, dunque, legittimamente disposta la integrale confisca delle sue attività imprenditoriali. Va, infatti, ribadito,
che laddove un’attività imprenditoriale si sia sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa, ne risulta contaminato tutto il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, divenendo essi stessi parti dell’impresa “a partecipazione mafiosa” che, come tali, sono soggette a confisca, a nulla rilevando l’iniziale carattere lecito delle quote versate dai diversi soci (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462 che in motivazione ha precisato che non può scindersi, a fini ablatori, la quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, essendo normalmente impossibile distinguerla da quella riferibile alla capacità e all’iniziativa imprenditoriale legittima).
Sempre in tema di ‘impresa illecita’, quale bene unitario all’interno del quale non può distinguersi tra componenti di origine lecita e componenti di origine illecita, va, inoltre, aggiunto che deve ritenersi tale anche l’impresa in cui l’attività di tale natura risulti, per valore, nettamente prevalente su quella lecita, con la conseguenza che il complesso aziendale è suscettibile di ablazione nella totalità dei beni che lo compongono, in quanto interamente contaminato (Sez. 6, n. 11666 del 13/02/2019, COGNOME, Rv. 275292).
4.2. Rispetto a tale solido tessuto argomentativo, ad avviso del Collegio la sentenza emessa dalla Seconda sezione di questa Corte, della cui omessa valutazione si lamenta il ricorrente, non appare dottata di alcuna valenza disarticolante tale da giustificare una rivalutazione degli elementi valorizzati dai Giudici di merito. Detta sentenza, infatti, nella parte cui il ricorrente pretende di attribuire rilevanza decisiva, si è pronunciata nei confronti di terzi, escludendo, nell’ambito del giudizio di cogni zione, l’aggravante di cui al 416 -bis, comma sesto, cod. pen. e dunque i l finanziamento dell’attività economica con il prezzo, prodotto o profitto di delitti, tema che , in disparte ogni considerazione sull’autonomia della valutazione del giudice della prevenzione rispetto a quella del giudice della cognizione, non ha alcuna rileva nza con la questione devoluta all’attenzione del Collegio con il motivo in esame e, in particolare, con il decisivo argomento utilizzato dai Giudici di merito concernente l’affermazione e l’espansione delle attività imprenditoriali del ricorrente grazie alla costante protezione del sodalizio mafioso, con la controprestazione a NOME di COGNOME avente ad oggetto sia il mantenimento del sodalizio medesimo che la soddisfazione di varie pretese, sempre di carattere economico.
Si tratta, infatti, di un quadro fenomenico chiaramente riconducibile al paradigma dell”imprenditore colluso’ che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, deve riferirsi a colui che è parte di un rapporto sinallagmatico con il sodalizio criminoso, produttivo di vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti, per l’uno, nell’imporsi nel territorio in posizione dominante, così rivolgendo, consapevolmente, a proprio profitto la relazione con la consorteria
illecita e, per l’altra, nell’ottenere risorse, servizi o utilità (Sez. 2, n. 34126 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286921 – 06; Sez. 1, n. 46552 del 11/10/2005, COGNOME, Rv. 232963).
4.3. E’, infine, inammissibile l’ulteriore profilo di censura contenuto nel motivo in esame, relativo al metodo di calcolo della sproporzione patrimoniale, in quanto deduce un non consentito vizio della motivazione. Va, peraltro, aggiunto che a pagina 27 del decreto, la Corte territoriale ha valutato le doglianze difensive e, con motivazione non apparente, ha sottolineato che le stesse si risolvono nella mera reiterazione dei rilievi critici del consulente di parte, già esaminati dal perito nella relazione integrativa in cui si è chiarito che nell’ambito delle attività si è tenuto conto solo delle provvigioni, in quanto le ulteriori entrate indicate rappresentano solo delle partite di giro non costituenti disponibilità finanziarie e, dunque, non rilevanti ai fini della sperequazione (si vedano anche, sul punto, le pagine 51 e ss. del decreto di primo grado).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 maggio 2025