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Importo quota D.Lgs. 231: quando è fisso a 103 euro

Una società sanzionata ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per lesioni sul lavoro ottiene l’annullamento della sanzione. La Cassazione ha stabilito che, in presenza di specifiche attenuanti (art. 12, c. 1), l’importo quota D.Lgs. 231 deve essere obbligatoriamente fissato a 103 euro, come previsto dall’art. 11, c. 3, e non discrezionalmente determinato dal giudice. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per la corretta rideterminazione della sanzione.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Importo Quota D.Lgs. 231: la Cassazione stabilisce l’obbligo del valore fisso a 103 euro

Con la recente sentenza n. 29718/2024, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale nell’ambito della responsabilità degli enti: la determinazione dell’importo quota D.Lgs. 231. La pronuncia chiarisce in modo definitivo che, in presenza di specifiche circostanze attenuanti, il valore di ogni quota non è discrezionale ma è fissato per legge a 103 euro. Questa decisione ha implicazioni significative per le aziende che si trovano ad affrontare un procedimento ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

I Fatti di Causa: dal luogo di lavoro alle aule di tribunale

Il caso trae origine da un infortunio sul lavoro, a seguito del quale una società unipersonale veniva ritenuta responsabile ai sensi del D.Lgs. 231/2001 in relazione al reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.). Inizialmente, la Corte d’Appello aveva determinato la sanzione in un certo numero di quote, ciascuna del valore di 300 euro.

La vicenda giudiziaria si è articolata attraverso diversi gradi di giudizio. Una prima pronuncia della Cassazione aveva già annullato la sentenza, ma limitatamente alla determinazione della sanzione. In sede di rinvio, la Corte d’Appello, pur riconoscendo l’applicabilità di una circostanza attenuante prevista dall’art. 12 del decreto, aveva ridotto il numero di quote ma ne aveva mantenuto invariato il valore a 300 euro ciascuna.

Contro questa decisione, la società ha proposto un nuovo ricorso per Cassazione, sostenendo la violazione di legge. La tesi difensiva era chiara: una volta riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 12, comma 1, lett. a), il valore della quota non poteva più essere determinato discrezionalmente, ma doveva essere obbligatoriamente fissato nell’importo di 103 euro, come espressamente previsto dall’art. 11, comma 3, del D.Lgs. 231/2001.

La Decisione della Cassazione e l’Importo Quota D.Lgs. 231

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno censurato la decisione della Corte territoriale, sottolineando come essa avesse commesso un errore di diritto nel non applicare correttamente il combinato disposto degli articoli 11 e 12 del decreto.

Il punto centrale della sentenza è l’interpretazione dell’art. 11, comma 3, che recita: “Nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1, l’importo della quota è sempre di Euro 103“. Secondo la Cassazione, l’uso del termine “sempre” non lascia spazio a interpretazioni discrezionali. Si tratta di un automatismo legale: nel momento in cui il giudice riconosce la sussistenza di una delle attenuanti previste dall’art. 12, comma 1 (come, ad esempio, l’aver risarcito interamente il danno e aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato), deve necessariamente applicare il valore fisso della quota a 103 euro.

Di conseguenza, la Corte ha annullato nuovamente la sentenza impugnata, ma solo per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, e ha rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per un nuovo giudizio.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su un’interpretazione letterale e sistematica della normativa. Il legislatore ha voluto creare un meccanismo premiale chiaro e certo per l’ente che adotta condotte virtuose post delictum. La riduzione dell’importo quota D.Lgs. 231 a un valore fisso e notevolmente inferiore rispetto al minimo ordinario (che va da 258 a 1.549 euro) rappresenta un forte incentivo per le società a collaborare con la giustizia, risarcire i danni e adottare modelli organizzativi idonei a prevenire futuri reati.

La Corte territoriale, mantenendo il valore della quota a 300 euro, ha disatteso questa precisa volontà legislativa, privando l’ente di un beneficio a cui aveva diritto per legge. La Cassazione, riaffermando il tenore letterale della norma, ha ristabilito la corretta gerarchia delle fonti e il principio di legalità, secondo cui il giudice non può discostarsi da una previsione normativa così chiara e perentoria.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante principio guida per tutte le aziende. Dimostra che l’adozione di comportamenti proattivi e risarcitori a seguito della commissione di un reato-presupposto non solo può portare a una riduzione del numero di quote applicate, ma determina anche un abbattimento drastico del valore economico di ciascuna di esse. Questo precedente rafforza la convenienza, per le imprese, di implementare seriamente i modelli organizzativi 231 e di attivarsi immediatamente qualora un illecito si verifichi. Il nuovo giudizio della Corte d’Appello dovrà ora attenersi a due paletti fissati dalla Cassazione: calcolare la sanzione con quote da 103 euro e rispettare il limite minimo sanzionatorio complessivo previsto dall’ultimo comma dell’art. 12 del D.Lgs. 231.

Qual è il valore di una quota secondo il D.Lgs. 231 se viene applicata una specifica attenuante?
Secondo la sentenza, se il giudice riconosce l’applicabilità di una delle attenuanti previste dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 231/2001, il valore di ogni singola quota è obbligatoriamente e automaticamente fissato a 103 euro, come stabilito dall’art. 11, comma 3, dello stesso decreto.

Il giudice ha discrezionalità nel determinare il valore della quota quando applica le attenuanti dell’art. 12, comma 1?
No. La sentenza chiarisce che il giudice non ha alcuna discrezionalità in questo caso. L’utilizzo da parte del legislatore del termine “sempre” nell’art. 11, comma 3, impone un automatismo che non permette al giudice di stabilire un valore diverso da 103 euro per quota.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio ad un’altra Corte d’Appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Ha rinviato il caso alla Corte d’Appello affinché proceda a un nuovo calcolo della sanzione, imponendole di attenersi a due principi: applicare il valore fisso di 103 euro per ogni quota e, allo stesso tempo, assicurare che la sanzione pecuniaria finale non sia inferiore al limite minimo stabilito dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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