Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26430 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26430 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Rocca Imperiale il 06/04/1953;
avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza del 15/11/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria, rassegnata ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen, dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le repliche dell’avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata dal Tribunale di Matera, in composizione monocratica, il giorno 25 novembre 2020 NOME COGNOME veniva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 666,00 di multa (previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto alla contestata recidiva reiterata), in quanto riconosciuto colpevole del delitto previsto e punito dall’art. 22, comma 12, d.lgs. 286/1998 perché, in qualità di titolare della omonima ditta esercente attività di agricoltura e, quindi, nella qualità di datore di lavoro occupava alle proprie dipendenze due cittadini di nazionalità albanese privi di permesso di soggiorno, con la recidiva reiterata; fatto avvenuto in Rotondella il giorno 3 dicembre 2016. Il Tribunale, inoltre, aveva disposto l’invio degli atti al Pubblico ministero, ai sensi dell’art. 207, comma 2, del codice di rito con riferimento alle dichiarazioni testimoniali rese da NOME COGNOME e NOME COGNOMEi due cittadini extracomunitari impiegati dal Latronico).
La Corte di appello di Potenza, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato integralmente la decisione del Tribunale di Matera, nei confronti della quale l’imputato aveva interposto gravame chiedendo l’assoluzione o, comunque, la riduzione della pena nel minimo edittale.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo p suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed osserva che la Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità nei suoi confronti nonostante il giorno 3 dicembre 2016 (come dichiarato dal testimone NOME COGNOME escusso alla udienza celebrata il 6 maggio 2019) non fosse avvenuta alcuna attività di raccolta di frutta e, in ogni caso, senza avere tenuto conto della assenza del dolo, atteso che il COGNOME non poteva sapere che i due cittadini extracomunitari fossero privi di permesso di soggiorno.
2.2. Con il secondo motivo l’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il vizio di motivazione mancante, illogica e
contraddittoria per non avere tenuto conto delle testimonianze rese in dibattimento da NOME COGNOME e dai due cittadini extracomunitari sopra indicati, che confermavano la insussistenza del reato oggetto di contestazione. Infine, il ricorrente evidenzia che, comunque, il reato si sarebbe prescritto successivamente alla sentenza impugnata e chiede, in via subordinata, pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Il procedimento si è svolto in modalità cartolare non essendo stata richiesta, nei termini di legge, la trattazione in presenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Anzitutto, deve ricordarsi che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del ‘clevolutum’ in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come nel caso di specie) e l’intangibilità della valutazione nel GLYPH merito del risultato probatorio (ex multis: GLYPH Sez. 5, n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
2.1. Come chiarito in seguito, le critiche esposte dall’ imputato – pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di illogicità della motivazione riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, quindi il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità. In tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva
convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428- 01). Sono precluse al giudice di legittimità, infatti, la rilettura degli elementi di fa posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal sen Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01). È, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento. Sicché il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, che deve essere evidente (“manifesta illogicità”), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074). Inoltre, va precisato, che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Infine, non va dimenticato che ai fini del controllo di legittimità sul vizi di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizza nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01).
Ciò posto, i fatti sono stati ricostruiti da entrambi i giudici del merito, sul base delle prove testimoniali, nei seguenti termini; il giorno 3 dicembre 2016 NOME COGNOME (ispettore dell’ufficio provinciale del lavoro di Matera) si era recato presso il fondo di NOME COGNOME, sito in Rotondella, e nell’occasione aveva trovato due lavoratori di nazionalità albanese (COGNOME e NOME COGNOME) impegnati nella raccolta di mandarini per conto dell’odierno ricorrente, il quale li retribuiva con quaranta euro per giornata di lavoro, come da loro stessi riferito nell’immediatezza; i due lavoratori erano privi del permesso di soggiorno ed uno era anche destinatario di provvedimento di espulsione.
3.1. Sulla base di tali elementi e della ritenuta non credibilità della versione fornita dai due lavoratori in sede di esame testimoniale (allorquando avevano riferito, in modo inverosimile, di trovarsi sul posto per caso e solo per raccogliere qualche busta di mandarini) giacché erano stati fotografati dall’ispettore del lavoro accanto a cataste di cassette a riprova che stavano effettuando una vera e propria raccolta dei mandarini, la Corte territoriale – senza incorrere in evidenti vizi di natura logica – ha confermato il giudizio di penale responsabilità nei confronti dell’imputato il quale, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sollecita una inammissibile differente valutazione degli elementi processuali rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo. Manifestamente infondato poi risulta il richiamo, contenuto nel ricorso, alla deposizione testimoniale resa da NOME COGNOME visto che, dalla sentenza di primo grado (pag.2), risulta che l’ammissione della relativa prova testimoniale era stata revocata.
3.2. Infine, non si è ancora maturata la prescrizione poiché, nel caso in esame, è stata riconosciuta la sussistenza della contestata recidiva reiterata con
la conseguenza che il termine di prescrizione è di anni dieci e non già di anni s e mesi sei.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguen condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cass
delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2025.