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Impiego di denaro illecito: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per impiego di denaro illecito nei confronti di un professionista che aveva investito somme provenienti da una famiglia dedita a truffe aggravate, mascherate da pratiche esoteriche. La sentenza chiarisce che per integrare il reato è sufficiente il dolo generico, ovvero la generica consapevolezza dell’origine illecita dei fondi, provabile anche attraverso elementi indiziari come gli stretti legami con i truffatori e l’illogicità economica delle operazioni finanziarie.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Impiego di denaro illecito: la consapevolezza si prova con gli indizi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il delicato tema del reato di impiego di denaro illecito, previsto dall’art. 648-ter del codice penale. Il caso offre spunti fondamentali per comprendere come la giustizia accerta la consapevolezza dell’origine criminale dei fondi, anche in assenza di prove dirette. La Corte ha stabilito che stretti legami personali e professionali con gli autori del reato presupposto, uniti all’illogicità economica delle operazioni, costituiscono elementi sufficienti per fondare una condanna.

I fatti del caso

Il procedimento trae origine da una complessa attività di truffa pluriaggravata e continuata, posta in essere da un nucleo familiare. Sfruttando la fama del padre quale “mago” e guaritore, la famiglia ingenerava nelle vittime la convinzione di essere afflitte da pericoli immaginari, inducendole a versare ingenti somme di denaro per presunti rituali magici.

Il ricorrente, un professionista amministratore di una società, aveva ricevuto dalla figlia del “mago” una notevole somma di denaro, impiegandola successivamente in una serie di acquisti immobiliari e di altri beni per conto della propria società. Condannato in primo grado e in appello per il reato di impiego di denaro illecito, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo, tra i vari motivi, l’assenza di prova sulla sua consapevolezza circa la provenienza delittuosa delle somme.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna inflitta nei gradi di merito. I giudici hanno ritenuto infondate le censure del ricorrente, fornendo chiarimenti cruciali sulla struttura e sui requisiti probatori del reato contestato. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: la prova del reato presupposto e la dimostrazione dell’elemento soggettivo (il dolo) in capo all’imputato.

Le motivazioni: come si accerta l’impiego di denaro illecito

Le motivazioni della Corte si snodano attraverso un’attenta analisi degli elementi costitutivi del reato. Innanzitutto, i giudici hanno ribadito che la prova del reato presupposto (la truffa) era stata adeguatamente accertata. A tal fine, è stata valorizzata una precedente sentenza di “patteggiamento” a carico dei membri della famiglia del “mago”, divenuta irrevocabile. Tale sentenza, sebbene non costituisca prova piena, può essere utilizzata come importante elemento di prova in un altro procedimento penale, specialmente se corroborata, come nel caso di specie, dalle dichiarazioni testimoniali delle persone offese.

La sufficienza del dolo generico

Un punto centrale della sentenza riguarda la natura dell’elemento soggettivo richiesto per il reato di impiego di denaro illecito. La Cassazione ha precisato che, per integrare tale delitto, è sufficiente il dolo generico. Ciò significa che non è necessario un dolo specifico, come l’intento di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle risorse. È invece sufficiente la mera coscienza e volontà di destinare a un impiego economicamente utile i capitali, unita alla consapevolezza, anche solo generica e non necessariamente analitica, della loro provenienza da un’attività criminale.

La prova indiziaria della consapevolezza

La Corte ha ritenuto che la consapevolezza del ricorrente fosse stata correttamente desunta da una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Tra questi:

* I legami stretti: L’imputato aveva solidi e pluriennali legami professionali e personali con la famiglia autrice delle truffe, essendo di fatto il loro commercialista di fiducia.
* L’illogicità delle operazioni: Le operazioni di trasferimento di denaro dalla figlia del “mago” alla società amministrata dal ricorrente erano apparse prive di una valida giustificazione economica dal punto di vista della prima. L’unico vantaggio plausibile era quello di reimpiegare nel mercato lecito somme provenienti dall’attività truffaldina, rendendone più difficile il rintracciamento.
* L’ampiezza dell’attività illecita: I giudici hanno specificato che il denaro impiegato proveniva dal complesso dell’attività truffaldina (che contava decine di vittime), e non solo dai proventi illeciti ottenuti dalle tre persone offese costituitesi parti civili nel processo.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio giurisprudenziale: la condanna per impiego di denaro illecito può basarsi su prove logiche e indiziarie, senza la necessità di una confessione o di una prova diretta della conoscenza dell’origine dei fondi. La prossimità relazionale e professionale con gli autori del reato presupposto e la mancanza di una spiegazione economica alternativa e credibile delle transazioni finanziarie diventano elementi cruciali per dimostrare la colpevolezza. Questo approccio garantisce l’efficacia della repressione di reati che, per loro natura, si basano sull’occultamento e la dissimulazione, rafforzando la tutela dell’economia legale dall’infiltrazione di capitali di origine criminale.

È necessario un dolo specifico per il reato di impiego di denaro di provenienza illecita?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che per integrare il reato è sufficiente il dolo generico. Questo consiste nella coscienza e volontà di impiegare capitali in attività economiche, unita alla consapevolezza, anche solo generica, della loro provenienza delittuosa.

Una sentenza di patteggiamento per il reato presupposto può essere usata come prova in un processo per impiego di denaro illecito?
Sì, una sentenza di patteggiamento irrevocabile può essere utilizzata come elemento di prova ai sensi dell’art. 238-bis c.p.p. per dimostrare il fatto e la sua attribuibilità. Tuttavia, non costituisce prova piena e necessita di riscontri esterni, che possono consistere in altri elementi probatori come le testimonianze delle vittime.

Come si può provare la consapevolezza dell’imputato riguardo all’origine illecita del denaro?
La consapevolezza può essere provata attraverso elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, sono stati ritenuti decisivi i legami personali e professionali preesistenti tra l’imputato e gli autori del reato presupposto, nonché la sostanziale inspiegabilità e illogicità delle operazioni di trasferimento di denaro, se non nella prospettiva di reimpiegare somme di provenienza illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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