Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 41236 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 41236 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
, nato in
omissis
V.C.
avverso la sentenza in data 13.11.2023 della Corte di Appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; A udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME.uk: , lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica del difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso 0
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 13.14.2023 la Corte di Appello di Roma ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Latina che ha condannato VCOGNOME alla pena di sei anni di reclusione, nonché alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno dopo l’esecuzione della pena, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. per aver costretto la suocera nella sera del 9.12.2016 a subire, immobilizzandola all’interno dell’autovettura di cui era alla guida, un rapporto sessuale completo.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 161 quarto comma e 179 lett. c) cod. proc. pen., la nullità della sentenza di primo grado stante la contestazione ad opera del PM all’esito dell’istruttoria dibattimentale “delle aggravanti ex art. 609 bis comma 2 n.1) e 609 ter cod. pen. per essere stato il fatto commesso abusando delle condizioni di inferiorità psichica e della p.o. e nei confronti di persona a lui legata da relazione affettiva”, la cui notifica era stata eseguita nei confronti dell’imputato presso il difensore di fiducia senza che ne ricorressero i presupposti. Rileva di aver ritualmente dichiarato nel corso delle indagini preliminari il domicilio presso la propria abitazione, senza che la notifica del verbale di udienza fosse stata neppure tentata al suddetto indirizzo, laddove intanto può essere ritenuta rituale la notifica mediata ai sensi dell’art. 161 quarto comma cod. proc. pen. in quanto sia stata preceduta da una rigorosa verifica dell’impossibilità di effettuarla nel domicilio dichiarato o eletto per inidoneità del luogo indicato. Evidenzia il pregiudizio arrecato al diritto di difesa essendo stata preclusa all’imputato per effetto della mancata notifica e, dunque, della conoscenza della mutata contestazione, la possibilità di accedere ad un rito alternativo a norma dell’art. 517 cod. proc. pen..
2.2. Il secondo motivo si compone di due distinte censure riferite al vizio di violazione di legge relativo agli artt. 179 secondo comma, 493, 495 e 525 secondo comma cod. proc. pen.. Sotto il primo profilo il ricorrente lamenta il mutamento del giudice nel giudizio di primo grado verificatosi successivamente all’ammissione dei mezzi di prova per essere stata l’audizione della p.o. e l’escussione dei testi indicati dal PM eseguita innanzi ad un Collegio composto da tre giudici differenti; rileva pertanto come alla violazione del principio della immutabilità del giudice consegua, in assenza della rinnovazione del dibattimento, la nullità assoluta ed insanabile della pronuncia di primo grado e conseguentemente anche della sentenza di appello. In relazione al secondo profilo deduce, invece, che il Collegio innanzi al quale si era svolto il giudizio di primo grado risultava composto all’udienza del 16.9.2021 da un giudice onorario, il dott. NOME COGNOME quantunque il d. lgs. 116/2017 abbia introdotto il divieto, a pena di nullità assoluta, di comporre i collegi dei giudizi di riesame e dei procedimenti nei quali si proceda per uno dei reati di cui all’art. 407 secondo comma lett. a) cod. proc. pen. con un membro non togato. Evidenzia che essendo stata l’azione penale esercitata il 23.2.2019 non può trovare applicazione la norma transitoria di cui all’art. 30 sesto comma del medesimo decreto legislativo.
2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 133 cod. pen., che la pena determinata dal giudice di primo grado
in sei anni di reclusione senza alcuna motivazione in ordine al compiuto discostamento dal minimo edittale vigente all’epoca del commesso delitto, era stata confermata dalla Corte di appello utilizzando le stesse argomentazioni poste a fondamento del diniego delle attenuanti generiche, ovverosia la capacità a delinquere dell’imputato e la gravità della condotta alla luce del particolare disvalore sociale della condotta posta in essere ai danni di persona in stato di inferiorità psichica. Rileva che in tal modo si fosse proceduto con illegittima sovrapposizione dei criteri applicativi dei due istituti, senza peraltro spendere alcuna motivazione sugli altri parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., quali l’intensità del dolo, gli eventuali precedenti del reo, la condotta susseguente al reato, oltre al fatto che la assunta capacità a delinquere era priva di alcuna connotazione soggettiva, traducendosi perciò in una motivazione apparente.
2.4. Con il quarto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 228 e 299 cod. pen., la mancanza di motivazione sulla applicazione della libertà vigilata in assenza di qualsivoglia valutazione della condotta dell’imputato antecedente contemporanea e successiva al reato e alle sue condizioni di vita familiare e sociale.
A seguito della requisitoria del Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso il difensore ha depositato una memoria di replica con cui ha dedotto in relazione al vizio di notifica di cui al primo motivo l’inconfigurabilità di una nullità che sia assoluta e al contempo a regime intermedio, nonché la fallacia del ragionamento in ordine alla mancata richiesta del rito alternativo perché proprio la non conoscenza della mutata imputazione da parte dell’imputato gli aveva precluso la formulazione della relativa istanza; ha invece obiettato quanto alla partecipazione del Got ad uno dei Collegi succedutisi in primo grado, che trattasi di nullità assoluta e come tale non sanabile
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, relativo alla nullità della notifica nei confronti dell’imputat del verbale di udienza contenente la modifica del capo di imputazione in ordine alla normativa applicabile al reato di violenza sessuale e alla contestazione supplettiva dell’aggravante ex art. 609 ter n.5 quater cod. pen. effettuata dal PM all’udienza del 3.3.2022 svoltasi innanzi al giudice di primo grado, non può essere ritenuto ammissibile.
Al netto del rilievo che l’imputato era stato sin dall’inizio del processo ritenuto irreperibile al domicilio dichiarato dove era stata tentata la notifica del decreto di citazione a giudizio innanzi al Tribunale e perciò procedutosi alla notifica del medesimo atto presso il difensore di fiducia a norma dell’art. 161 quarto comma
cod. proc. pen., va in ogni caso rilevato che la notifica in questione, in quanto relativa ad un atto diverso dal decreto di citazione a giudizio che, se eseguita presso il difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., senza previa verifica della insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, e’ affetta, trattandosi di vizio che incide sulla formazione del contraddittorio da nullità assoluta ed insanabile, è invece soggetta a nullità a regime intermedio trattandosi di atto diverso da quello con cui è stato incardinato il processo nei confronti dell’imputato. La ratio della suddetta interpretazione risiede nel fatto che una volta che la prima notifica sia andata buon fine, deve presumersi la circolazione delle informazioni tra imputato e difensore, unico destinatario dell’avviso, tenuto conto che in ogni caso le nullità assolute ed insanabili sono solo quelle previste dall’art. 179 cod. proc. pen. (in termini cfr.Sez. 2, Sentenza n. 3967 del 20/12/2022, COGNOME, Rv. 284310)
Conseguentemente, non risultando dall’esposizione dei motivi riportati dalla sentenza impugnata che la relativa doglianza fosse stata articolata dalla difesa, come del resto è dato constatare dalla disamina del ricorso in appello, il motivo, articolato per la prima volta con il presente ricorso, non può trovare ingresso innanzi a questa Corte.
Il secondo motivo deve ritenersi infondato in relazione ad entrambe le censure di cui si compone.
Occorre al riguardo, in primo luogo, rilevare che la ricostruzione della vicenda processuale ad opera della difesa non trova alcun riscontro nei verbali di causa cui questa Corte, in ragione della natura processuale della doglianza, ha necessariamente accesso.
Risulta dalla sequenza delle udienze succedutesi in primo grado che il Collegio insediatosi alla prima udienza, tenutasi in data 20.5.2021, costituito dai giudici COGNOME e COGNOME ha rinviato all’udienza del 16.9.2021 per la notifica del decreto di citazione a giudizio all’imputato presso il domicilio dichiarato; alla suddetta udienza il Collegio, in mutata composizione stante la presenza dei giudici COGNOME e COGNOME (quest’ultimo giudice onorario), ha disposto il rinnovo della notifica all’imputato ai sensi dell’art. 161, 4 comma cod. proc. pen. non essendo quella eseguita presso il domicilio da costui dichiarato andata a buon fine con rinvio all’udienza del 21.10.2021; solo a tale udienza il dibattimento è stato, previa verifica della ritualità della notifica, dichiarato aperto dal Collegio composto dai giudici COGNOME e COGNOME dandosi corso al processo con la contestuale ammissione delle prove.
Essendo la composizione del Collegio da allora in poi rimasta immutata fino alla pronuncia della sentenza finale non può ritenersi violato il disposto dell’art. 525 cod. proc. pen. né integrato il divieto di composizione del collegio con giudici non togati secondo le previsioni del d. Igs. 116/2017.
2.1. In ordine al primo profilo, il principio dell’immutabilità del giudice è volto a garantire l’identità della persona fisica o della composizione del Collegio che ha pronunciato la sentenza finale con chi ha presidiato all’effettivo svolgimento dell’attività dibattimentale, in tale locuzione dovendosi ritenere ricomprese le funzioni contemplanti i poteri decisori quali le acquisizioni probatorie, la risoluzione di questioni incidentali, le decisioni internali inerenti all’oggetto del giudizi restando invece esclusi i provvedimenti di natura meramente ordinatoria, miranti solo al regolare svolgimento del processo, senza avere valenza decisoria sul merito del giudizio. Tra essi vanno certamente ricomprese le attività antecedenti all’apertura del dibattimento, quali quelle relative alla verifica della instaurazione del contraddittorio, all’accertamento della regolare costituzione delle parti e alla proposizione delle eventuali questioni preliminari. Di conseguenza, il principio dell’immutabilità del giudice è rispettato ogni qual volta la sentenza sia deliberata dal giudice che ha partecipato interamente al dibattimento svolgendo la relativa istruttoria (ex plurimis tra le Sezioni semplici Sez. 2, Sentenza n. 31924 del 11/07/2013, COGNOME Rv. 256791, che ha dichiarato che non è causa di nullità il mutamento del giudice immediatamente dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, ma prima della decisione sull’ ammissione delle prove). Principio questo definitivamente chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso che ha affermato che il divieto di mutamento del giudice sancito dall’art. 525 cod. proc. pen. richiede che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso che ha assunto la prova ma anche quello che l’ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati (Sez. U, Sentenza n. 41736 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276754 – 01).
Poste tali premesse, non può nel caso di specie ravvisarsi alcuna violazione della norma in esame atteso che nessun mutamento dell’organo collegiale si è mai verificato a partire dall’udienza del 21.10.2021, nella quale è stato dichiarato aperto il dibattimento, fino all’udienza in cui è stata resa la sentenza finale, immutata essendone conseguentemente rimasta la composizione tanto nella fase di ammissione delle prove quanto in quella del loro espletamento e della successiva decisione emessa all’esito del primo grado di giudizio. Dirimente in ordine all’infondatezza della tesi difensiva è, del resto, il passaggio motivazionale contenuto nella stessa sentenza COGNOME in cui si puntualizza che facendo l’art. 525 comma 2 cod. proc. pen. riferimento al “dibattimento”, tale non può che essere la fase processuale che ha inizio dopo la dichiarazione della sua apertura (art. 492 cod. proc. pen.), comprensiva, quindi, delle attività processuali disciplinate dagli artt. 493 e 495 cod. proc. pen…
2.2. Alla luce delle stesse linee direttrici deve risolta la questione relativa al divieto di composizione del collegio con un giudice onorario, fatto questo
verificatosi nel procedimento di primo grado innanzi al Tribunale di Latina all’udienza del 16.9.2021 in cui il Collegio, costituito con la presenza del dottor COGNOME ha esclusivamente disposto la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell’imputato, non essendo quella impartita già nella precedente udienza andata a buon fine.
Ora, è ben vero che il d. Igs. 116/2017, nel dettare una nuova disciplina organica della magistratura onoraria, ha stabilito all’art. 12 che il giudice onorario di pace non può essere destinato nel settore penale, a comporre i collegi del tribunale del riesame, né quelli dei processi nei quali si proceda per i reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, tra cui è compreso quello di cui all’art. 609 bis cod. pen. oggetto del procedimento in esame, in tal modo introducendo una limitazione alla capacità di tale giudice allo svolgimento di quelle funzioni collegiali (Sez. 3, Sentenza n. 9076 del 21/01/2020, Rv. 279942). Va tuttavia considerato all’interno di un’operazione ermeneutica che non sia solo ancorata alla littera legis ma che si estenda anche al piano teleologico, che l’espletamento di un’attività di natura esclusivamente ordinatoria, comunque antecedente all’apertura del dibattimento, non consente di ritenere integrato il divieto impartito dalla norma suddetta, la cui ratio risponde alla chiara finalità di precludere a collegi non composti da giudici esclusivamente togati decisioni in ordine questioni di particolare delicatezza quali sono i provvedimenti in materia di libertà personale o di presiedere procedimenti richiedenti peculiari competenze tecniche quali si configurano quelli indicati dall’art. 407 secondo comma cod. proc. pen., Discende pertanto dalle suddette linee interpretative che l’evenienza cui è sotteso il divieto in questione non ricorre allorquando il provvedimento adottato sia privo, in quanto assunto antecedentemente ad ogni attività di natura anche solo istruttoria, di alcuna valenza decisoria sul giudizio. Il motivo in esame non può conseguentemente ritenersi meritevole di accoglimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Manifestamente infondato risulta, invece, il terzo motivo con il quale si contesta la motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
Il discostamento di un anno dal minimo edittale all’interno di una forbice corrente, al tempo del commesso reato, dai cinque ai dieci anni di reclusione, e dunque fissata i misura ampiamente inferiore alla media edittale, risulta essere stato giustificato dal giudice di primo grado alla luce della prolungata e brutale coartazione della vittima, nonché delle sue condizioni di inferiorità psichica di cui l’imputato era ben consapevole, oltre all’incapacità di costui di contenere i propri impulsi vendicativi e rabbiosi, senza che peraltro i suddetti elementi abbiano costituito oggetto di specifica confutazione con l’atto di appello.
Orbene, il fatto che i giudici distrettuali, nel confermare la pena fissata dal Tribunale, abbiano valorizzato questi stessi fattori ai fini del diniego delle
attenuanti generiche non determina alcuna violazione del ne bis in idem sostanziale:: trattasi invero di parametri valutati in senso monodirezionale e non già antitetico al fine di sottolinearne la rilevanza in ordine alla graduazione del trattamento sanzionatorio rispetto al disvalore effettivo del fatto, ove si consideri che la funzione cui risponde il beneficio di cui all’art. 62 bis cod. pen. esclusivamente quella di mitigare la pena rispetto all’arco edittale che, nella specie, la Corte capitolina non ha ritenuto passibile di alcuna attenuazione rispetto alla quantificazione effettuata già dalla sentenza di primo grado, intendendo in tal modo sottolineare come fossero proprio le brutali modalità della condotta ai danni di una donna in peculiari condizioni di inferiorità e la negativa personalità dell’imputato a giustificare una pena superiore al minimo edittale. Si ricorda, infatti, che ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza c ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018 – dep. 18/04/2019, M, Rv. 27590403 che ha ritenuto immune da vizi il riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche).
All’inammissibilità non si sottrae neppure il quarto motivo considerato che la misura di sicurezza della libertà vigilata era già stata giustificata dalla gravi del fatto e dall’entità della pena dal giudice di primo grado senza che nessun motivo di doglianza sia stato svolto al riguardo nell’atto di appello e che non può quindi costituire oggetto di contestazione per la prima volta innanzi a questa Corte di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, seguendo a tale esito l’onere delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso 1’1.10.2024