Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7738 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7738 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal NOME COGNOME nato in Yemen il 30/09/1988; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la ordinanza del 13/06/2024 del tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME ch chiesto il rigetto del ricorso; uditele conclusioni dei difensori dell’imputato avv.to COGNOME NOME e COGNOME NOME che hanno anche depositato motivi aggiunti ed hanno chiest l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Roma, a nell’interesse di NOME avverso la ordinanza del Gip del tribuna di Roma del 17 ottobre 2023, con cui era stata applicata la misura caute della custodia in carcere in relazione alle ipotesi di reato di cui agli art del DPR 309/90, rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME mediante i propri difensori ha proposto, con due motivi, ricorso per cassazione.
3. GLYPH Deduce con il primo vizi di violazione di legge. Si sostiene immunità assoluta del ricorrente alla luce della Convenzione di Vienna 18.4.1961 entrata in vigore con legge del 9 agosto 1967 n. 804. Si rapprese che l’indagato sarebbe stato accreditato con qualifica di primo segretario p l’Ambasciata della Repubblica dello Yemen in Italia, e l’invocata immuni sarebbe sussistita sia al momento di emissione della misura cautelar contestazione sia al termine della missione riguardante l’indagato e coincid con il luglio del 2024, come da dichiarazione del Ministero degli affari e italiano del 27.9.2023. Tanto che a fronte di tale circostanza il Gip revocato la già intervenuta ordinanza applicativa di misura nei confront ricorrente. Successivamente tuttavia, a seguito di comunicazione, interven dopo qualege giorno, del Ministero degli Affari Esteri italiano, che comunic la cessazione della immunità, il giudice avrebbe ordinato di dare esecuzion predetto mandato di arresto. Si osserva allora che il giudice avrebbe in r fatto affidamento su una comunicazione del predetto Ministero errata contraddittoria, atteso che le immunità spettanti ad un soggetto decadono s allorquando egli abbandoni il Paese oppure allorquando sia decorso un termi ragionevole concesso, così che permangono fino ai predetti momenti anche in caso di conflitto armato. La Convenzione citata non preciserebbe la durata predetto “periodo ragionevole” di persistenza della immunità e necessario lasciare il territorio ospitante, per cui la durata potrebbe variare i circostanze specifiche e a prassi diplomatiche dei singoli Stati. E si aggiung dovrebbe ritenersi che ancora al 13 ottobre 2023 il ricorrente godesse d citata immunità. E dunque, a fronte del lavoro affidato al ricorrente e cessa luglio del 2023 ma nel contempo della persistenza della sua immunità, si sareb erroneamente dedotto, alla luce della risposta del Ministero prima citata 10.10.2023, che il ricorrente fosse ormai privo della immunità in parola. Pe nessun ordine di arresto poteva emettersi nei suoi confronti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel medesimo motivo poi, si deducono vizi di violazione di legge in ordine all’ 273 cod. proc. pen. e 328 cod. proc. pen. e 10 della Costituzione, nonch deduce la inesistenza del provvedimento impugnato per carenza di giurisdizione Si lamenta la mancanza di motivazione sulla applicabilità della misura cautel per fatti commessi allorquando sussisteva la immunità assoluta, sebbene manch una norma per la quale il diplomatico che abbia commesso reati anteriormente termine della sua missione potrebbe essere perseguito o sottoposto a privazi della libertà. In realtà, per gli agenti diplomatici esisterebbe una im assoluta e permanente con conseguente assenza della giurisdizione italia rispetto ai fatti pregressi. Il tribunale avrebbe richiamato erroneame supporto delle sue tesi, due sentenze della Corte di Cassazione sicc
inconferenti (in particolare quella n. 46340 del 9.9.2012), in quanto quest’ultima afferente a soggetti che svolgevano le diverse – rispetto all’indagato – funzioni consolari, per le quali non opererebbero le immunità assolute degli ambasciatori ed agenti diplomatici, e l’altra riguardante il sequestro dell’Imam di Milano NOME, secondo la quale, in conformità con gli assunti difensivi, l’esenzione degli agenti diplomatici dalla giurisdizione penale dello Stato accreditante è regolata dalla Convenzione di Vienna del 18.4.1961 e all’art. 31 si attribuirebbe all’agente diplomatico una immunità assoluta. In ogni caso, si osserva come la ordinanza applicativa della misura cautelare sarebbe stata emessa il 22 maggio 2023, ossia nel corso del periodo durante il quale il ricorrente godeva dell’immunità. Tale ordinanza quindi doveva ritenersi inesistente, e come tale non avrebbe potuto rivivere mediante un mero ordine di esecuzione disposto poi dal Gip allorquando il Ministero prima citato ebbe a comunicare che il ricorrente non era più coperto da immunità.
4. COGNOME Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge in ordine all’art. 273 cod. proc. pen. e di motivazione. Si contesta la sussistenza dei gravi indizi e si osserva che rispetto alle dichiarazioni, valorizzate, di un coindagato, i tribunale non avrebbe tenuto conto della circostanza per cui costui, proprio grazie a tali sue dichiarazioni, avrebbe ottenuto poco dopo una misura meno afflittiva, per cui non avrebbe avuto interesse a contrastare l’ipotesi accusatoria. Il predetto soggetto inoltre, al momento di tali dichiarazioni sarebbe stato convinto di usufruire di immunità e quindi di poter anche riferire circostanze non corrispondenti al vero, come fatto nei confronti dell’attuale indagato, essendo convinto che ciò non potesse nuocergli. Inoltre, mancherebbero riscontri alle dichiarazioni del predetto soggetto, COGNOME
Mancherebbe poi ogni elemento dimostrativo del coinvolgimento del ricorrente con gli altri coindagati al di fuori del Da Silva, di cui avrebbe ignorato og traffico. E i sodali si sarebbero avvalsi dell’auto diplomatica del ricorrente ma a sua insaputa e approfittando della sua ingenuità, non emergendo ragioni perché il ricorrente accettasse di essere coinvolto nel traffico di droga. Erroneamente sarebbe stata omessa ogni differenziazione di ruolo tra il ricorrente e il COGNOME, tanto che a seguito di perquisizione domiciliare nei confronti del ricorrente nulla sarebbe stato ritrovato di compromettente, diversamente da quanto accaduto per il Da Silva. Quindi, le motivazioni del tribunale si scontrerebbero con le risultanze di indagine.
Nel medesimo motivo poi, si deduce altresì il vizio di violazione di legge in ordine all’art. 274 cod. proc. pen., e vizi di motivazione. La misura applicata sarebbe sproporzionata rispetto a fatti accaduti 4 anni prima della sua applicazione, tanto
più perché applicata a soggetto incensurato ed esplicante regolare attività lavorativa. Così da non essere socialmente pericoloso. Il comportamento poi tenuto dall’inizio della misura cautelare escluderebbe anche esso il pericolo di reiterazione. Si sarebbe poi dovuta anche valorizzare la incensuratezza del ricorrente, la famiglia e l’attività lavorativa svolta, sul piano delle esigen cautelari. Le esigenze cautelari sarebbero altresì scemate alla luce del decorso del tempo, e si contesta la motivazione in ordine alla sussistenza di una personalità spregiudicata siccome elaborata in maniera semplicistica, senza distinguere tra i vari ruoli nonché si esclude altresì che il ricorrente, come invece ritenuto dai giudici, si sia allontanato nel momento in cui sono state revocate le immunità diplomatiche sia perché tale revoca mai vi sarebbe stata sia perché mai avrebbe abbandonato definitivamente il territorio italiano, ove sarebbe più volte rientrato. La motivazione, inoltre, avrebbe indugiato nella formulazione di mere supposizioni. Si contesta poi l’affermato allontanamento dalla abitazione fino a poco prima occupata, posto che si trattava della abitazione del Da Silva ove il ricorrente era ospitato così che, scoperto il traffico di droga, l’indaga aveva legittimamente scelto non rimanervi più dopo l’arresto del Da Silva. Si aggiunge che mai i ritenuti sodali si sarebbero preoccupati della sorte del ricorrente né emergerebbero indici del pericolo di reiterazione dopo oltre 3 anni e mezzo, tanto che dopo il 7.1.2021 sarebbe mancato ogni contatto con la associazione, invece proseguita secondo la ipotesi di reato formulata. Peraltro, il pericolo di reiterazione sarebbe da ritenersi insussistente a fronte dell’intervenuto arresto degli altri sodali.
Con motivi aggiunti si propongono note ad integrazione del ricorso medesimo
Si ribadisce la immunità assoluta di cui godrebbe il ricorrente.
Al di là dell’applicabilità della Convenzione di Vienna, si osserva poi che il G.I.P. del Tribunale di Roma ed il Tribunale Distrettuale del Riesame hanno ritenuto di applicare a tutti i pretesi componenti del contestato sodalizio di cui al capo 1) dell’imputazione la misura della custodia cautelare in carcere, indipendentemente ed a prescindere dai loro precedenti giudiziari e di polizia, dalla loro personalità, dalla loro pericolosità, dal ruolo rivestito, dalla famiglia e dall’attività lavorativa svolta ecc.
Tale impostazione non potrebbe riguardare in alcun modo NOME COGNOME e la sua persona. Trattandosi di una persona completamente incensurata, priva di precedenti di polizia che non ha mai avuto a che fare con la giustizia, né italiana né tantomeno di altri paesi.
Di tutti gli originari indagati di cui all’ordinanza genetica, si ribadisce l’odierno prevenuto non conoscerebbe alcuno di loro e non avrebbe avuto
rapporti e si ribadiscono le notazioni sviluppate in ricorso in tema di rapporti con altri coindagati.
Si valorizza anche, in rapporto alle esigenze cautelari, la risalenza dei fatti come già evidenziato in ricorso e comunque la insussistenza di validi presupposti a supporto delle stesse e della misura applicata come pure già evidenziato in ricorso.
Si aggiunge che nell’ipotesi in cui dovessero ritenersi tuttora sussistenti esigenze cautelari, l’odierno imputato troverebbe ospitalità presso l’abitazione condotta in locazione dal proprio padre NOME in Roma INDIRIZZO A questo proposito, quest’ultimo avrebbe già dichiarato la propria disponibilità ad accogliere il proprio figlio presso la sua abitazione, impegnandosi a provvedere al suo mantenimento ed alle sue indispensabili esigenze di vita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, con particolare riguardo al tema della immunità di cui godrebbe il ricorrente, con esenzione dalla giurisdizione penale italiana in ordine ai fatti per cui è stata emessa la contestata misura cautelare, è inammissibile. Va qui ribadito quanto già stabilito da questa Corte sul tema in questione (Sez. 5, n. 39788 del 11/03/2014 Rv. 260417 – 01): l’esenzione degli agenti diplomatici dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario è regolata dalla convenzione internazionale adottata a Vienna il 18 aprile 1961, non essendo pertinenti i principi desumibili dalla diversa convenzione riguardante gli agenti consolari, siglata il 24 aprile 1963. Inoltre, l’interpretazione delle norme applicabili entrate nell’ordinamento italiano in virtù della ratifica disposta con L. 9 agosto 1967, n. 804 – compete all’autorità giudiziaria chiamata a giudicare su un fattoreato commesso nel suo territorio, senza che il relativo giudizio possa essere influenzato da altre autorità.
Nell’esercizio di tale potere-dovere, l’art. 31 della citata convenzione del 1961 attribuisce, incondizionatamente, l’immunità dell’agente diplomatico dalla giurisdizione penale dello Stato nel quale è accreditato: ma tale disposizione si riferisce soltanto all’arco temporale durante il quale l’agente si trova nel territori dello Stato accreditatario, atteso che il successivo art. 39 dispone, al comma 2, che “i privilegi e le immunità di una persona che cessa dalle sue funzioni, decadono ordinariamente al momento in cui essa lascia il paese oppure al decorso d’un termine ragionevole che le sia stato concesso, ma sussistono fino a tale momento anche in caso di conflitto armato…”.
Va peraltro sottolineato che l’ultima parte dell’art. 39 comma 2 citato precisa altresì che “L’immunità sussiste tuttavia per quanto concerne gli atti compiuti da tale persona nell’esercizio delle sue funzioni come membro della missione”. Si
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tratta di precisazione importante, che sta a rimarcare il principio p 1″immunità dalla giurisdizione penale implica l’impossibilita di perseguire e pu l’agente diplomatico per reati che egli commetta nell’esercizio delle sue fun (atti iure imperii). Questa forma di immunità non ammette eccezioni e copre il diplomatico fino alla sua morte, egli cioè non potrà mai essere chiamat rispondere di atti che, per quanto illeciti, sono attribuibili allo appartenenza. Rispetto a questi illeciti non potrà essere sottoposto neppure giurisdizione penale di uno Stato terzo. Per quanto riguarda i reati comme invece come privato (atti iure gestionis o privatorum), l’immunità del diplomatico è solo di tipo processuale, perché gli atti sono a lui direttamente imput come tale persiste finché egli si trovi sul territorio dello Stato ospitante quando ivi svolga le sue funzioni (l’immunità continua a sussistere fino a qu non abbia liberamente lasciato il territorio statale o per un tempo ragion onde consentirgli di farlo). In questo caso, comunque, all’esenzione d giurisdizione penale è tenuto solo lo Stato in cui l’agente diplomatico eserc sua attività, perché è l’unico obbligato a non turbare l’esercizio delle m diplomatiche.
Inoltre ai sensi dell’art. 43 della medesima convenzione, “Le funzioni di un agente diplomatico cessano segnatamente con:
la notificazione dello Stato accreditante allo Stato accreditatario che le funzioni dell’agente sono cessate;
la notificazione dello Stato accreditatario allo Stato accreditante che, conformemente al paragrafo 2 dell’articolo 9, esso ricusa di riconoscere l’agente come membro della missione”.
Occorre altresì evidenziare che l’art. 1 della Convenzione distingue diversi all’interno di una rappresentanza diplomatica e rispetto agli stessi emerg diversa disciplina quanto a immunità e privilegi.
E invero ai sensi del predetto art. 1 “Secondo la presente Convenzione, le locuzioni seguenti significano:
«capomissione», la persona incaricata dallo Stato accreditante ad agire in tale qualità;
«membri della missione», il capomissione e i membri del personale della missione;
«membri del personale della missione», i membri del personale diplomatico, dei personale amministrativo e tecnico e del personale di servizio della missione;
«membri del personale diplomatico», i membri del personale della missione che hanno la qualità di diplomatici;
«agente diplomatico», il capomissione o un membro del personale diplomatico della missione;
f «membri del personale amministrativo e tecnico», i membri del personale della missione impiegati nel servizio amministrativo e tecnico della stessa;
«membri del personale di servizio», i membri del personale della missione impiegati nel servizio domestico della stessa;
«domestico privato», la persona impiegata nel servizio domestico di un membro della missione, che non sia impiegata dello Stato accreditante;
«stanze della missione», gli edifici o parti di edifici e il terreno annesso, qua lunque ne sia il proprietario, adoperati ai fini della missione, compresa la residenza del capo della stessa.
Nel quadro di questa diversità di ruoli, si deve avere cura di osservare Convezione ha inteso precisare, con la definizione di limitazioni espressame evidenziate e di seguito sottolineate, anche l’operatività di immunità e pri per soggetti diversi dal vero e proprio agente diplomatico: ai sensi dell’ della Convenzione, infatti “1. I membri della famiglia dell’agente diplomatico, che convivono con lui, godono dei privilegi e delle immunità menzionati negli articoli 29 a 36, sempreché non siano cittadini dello Stato accreditatario.
I membri del personale amministrativo e tecnico della missione e i membri delle loro famiglie, che convivono con loro, godono, sempreché non siano cittadini dello Stato accreditatario o non abbiano in esso la residenza permanente, dei privilegi e delle immunità menzionati negli articoli 29 a 35, salvo che l’immunità giurisdizionale civile e amministrativa dello Stato accreditatarío, menzionata nel paragrafo 1 dell’articolo 31, non si applichi agli atti compiuti fuori dell’esercizio delle loro funzioni. Essi godono altresì d privilegi menzionati nel paragrafo 1 dell’articolo 36, per gli oggetti importati occasione del loro primo stabilimento.
I membri del personale di servizio della missione, che non sono cittadini dello Stato accreditatario né vi hanno la residenza permanente, godono dell’immunità per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, dell’esenzione dalle impost e tasse sui salari che ricevono per i loro servizi e dell’esenzione prevista nell’articolo 33.
I domestici privati dei membri della missione, che non sono cittadini dello Stato accreditatario né vi hanno la residenza permanente, sono esenti dalle imposte e tasse sui salari che ricevono per i loro servizi. Per ogni altro riguardo, essi non godono dei privilegi e delle immunità, che nella misura ammessa dal detto Stato. Questo deve tuttavia esercitare la giurisdizione su tali persone in maniera da non intralciare eccessivamente l’adempimento delle funzioni della missione.
In altri termini, come ribadito in dottrina, l’agente diplomatico, e simi taluni dei soggetti di cui al citato art. 37, gode dell’immunità dalla giuri penale dello Stato accreditatario nei termini suindicati. Egli gode de
dell’immunità dalla giurisdizione civile e amministrativa dello stesso, sa tratti di: a). azione reale circa un immobile privato situato sul territo Stato accreditatario, purché l’agente diplomatico non lo possegga per conto d Stato accreditante ai fini della missione; b). azione circa una successio l’agente diplomatico partecipi privatamente, e non in nome dello St accreditante, come esecutore testamentario, amministratore, erede o legatar c). azione circa un’attività professionale o commerciale qualsiasi, eser dall’agente diplomatico fuori delle sue funzioni ufficiali nello Stato accredita
Va comunque precisato che la sottrazione dell’agente diplomatico al giurisdizione per il tempo di durata della missione, con aggiunte tempor necessarie per perfezionare la procedura di accreditamento nel caso di acqui di qualità di agente diplomatico e per lasciare il territorio quando si per qualità, non implica che l’agente diplomatico e i soggetti assimilati non deb rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato locale. Si tratta invero di i che hanno un carattere fondamentalmente processuale, cioè i beneficiari son sottratti all’esercizio della giurisdizione, non sottratti all’applicazione de sostanziali dello Stato, per cui il reato dell’agente diplomatico è pur sem reato, in quanto previsto dalle norme penali sostanziali nonostante le “salve in termini di procedibilità nei suoi confronti sopra evidenziate. Sebbene possa essere processato, in ragione della sua qualità di agente diploma finché questa dura, e salvo il particolare caso, di assoluta e pers sottrazione alla giurisdizione penale per il compimento di illeciti nell’es delle funzioni diplomatiche, egli comunque non è sottratto alle norme pen dello Stato, perché comunque destinatario delle stesse. Ed invero l’ag diplomatico è sempre destinatario delle norme dello Stato locale secondo quan viene sancito nello articolo 41 paragrafo 1, secondo cui “tutte le persone che godono di privilegi e immunità sono tenute, senza pregiudizio degli stessi, a rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato accreditatatario. Esse sono anche tenute a non immischiarsi negli affari interni di questo Stato”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, è indubbio ed indiscusso che dall’accertamento in fatto di cui giudizio di merito risulta che le condotte ascritte al ricorrente non furono nell’esercizio delle funzioni di membro della missione diplomatica, e quin coinvolgimento dell’indagato odierno non può ricollegarsi alle funzioni di memb della missione diplomatica, la cui struttura non è stata strumental commissione del fatto.
Consegue che, anche a prescindere da una più precisa determinazione del ruol assunto dal ricorrente all’interno della rappresentanza diplomatica di riferim emerge con chiarezza che la decisione impugnata è corretta quanto al esclusione, per il ricorrente, della applicabilità dell’immunità dalla giuris italiana in base al disposto dell’art. 39, comma 2, della più volte
convenzione di Vienna del 1961. Invero va ribadito che, comunque, ai sens dell’art. 39 comma 2 citato !Immunità termina con la cessazione delle funzio né nel caso concreto emerge alcuna connessione tra i fatti ipotizzati a car atti compiuti nell’esercizio delle funzioni come membro della missione.
Sono dunque sbaragliate tutte le argomentazioni a supporto della inapplicabil della misura in contestazione e della assenza di giurisdizione. Che si riespan verificarsi delle circostanze, appurate dai giudici del merito, di cui al citato, né persiste in via assoluta per correlazione con atti compiuti nell’e della funzione diplomatica.
Quanto poi alla tesi per cui si sarebbe dato seguito ad un atto inesi siccome adottato, nel maggio del 2023, in epoca in cui sarebbe sussistit immunità invocata, va aggiunto che non risulta specificamente contrastata la di cui alla ordinanza impugnata per cui, avute le comunicazioni del Minist degli Affari Esteri circa la cessazione della funzione, su richiesta del P.M. il emanato una nuova ordinanza applicativa della misura in contestazione, in contesto quindi di piena validità del potere giurisdizionale esercitato Autorità Giudiziaria.
Sono dunque manifestamente infondate le deduzioni sulla persistenza dell immunità come sulla assenza di giurisdizione e sulla intervenuta esecuzione una ordinanza inesistente.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Esso è meramente rivalutativo del merito e come tale inammissibile in questa sede. Né si confr appieno con l’articolata motivazione, con conseguente difetto di specifi estrinseca, che delinea un grave quadro indiziario, anche associativo, attra la valorizzazione delle dichiarazioni del COGNOME, delle conversazioni captat cui i sodali mostravano di tenere stabilmente in conto la collaboraz dell’indagato, attraverso l’uso della sua auto munita di targa diplomatica comportamenti del ricorrente accertati da parte della polizia giudiziaria pieno suo coinvolgimento nel traffico di droga contestato, quali eleme coerentemente considerati come attestativi non solo dello stabile coinvolgime del ricorrente nel sodalizio criminale, ma anche nei reati scopo attribuitigl di poco conto la valorizzazione, trascurata dalla difesa, delle spon dichiarazioni confessorie rese dal ricorrente al momento dell’accesso della pol nell’appartamento del Da Silva ove l’indagato era ospitato, accompagnate dal eccezione della immunità diplomatica, con palese dimostrazione della pien consapevolezza della illiceità delle condotte cui collaborava. Non può alt trascurarsi il carattere meramente assertivo della tesi circa l’inattendibil dichiarazioni accusatorie del COGNOME, nonostante gli ampi riscontri documen dai giudici della cautela.
Quanto alle censure proposte in ordine alle esigenze cautelari, anche e assumono un carattere rivalutativo, a fronte di argomentazioni che danno con di come la presunzione relativa correlata alla fattispecie associativa ipot non sia stata superata, in ragione della capacità delinquenziale, eviden dall’uso strumentale rispetto agli illeciti penali delle immunità diplomatiche, condotta tesa a sottrarsi alla autorità giurisdizionale italiana recandosi in (dove in assenza di fonti di reddito non irragionevole appare, nel compless contesto motivazionale, l’ipotesi di un pericolo di recidivanza), radicando al uno specifico pericolo di fuga, pure sottolineato dai giudici, cui la difesa o solo una personale quanto valutativa rappresentazione delle ragioni de presenza ivi e della mancata intenzione di sottrarsi alle iniziative giurisdi italiane; così che non solo, lo si ribadisce, è insuperata la presunzione cita giudici hanno anche congruamente evidenziato un pericolo di reiterazione attua e concreto, come tale correlabile anche ai reati scopo, tale per cui il decor tempo dai fatti non assume alcun rilievo liberatorio. In tale quadro va rico che la decisione in esame appare in linea con l’indirizzo di legittimità per materia di presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari per i elencati nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., si è chiarito che, dell’applicazione di tale presunzione, deve tenersi conto anche del signific lasso temporale trascorso dalla commissione del reato (da ultimo Sez. 3 16357 del 12/01/2021 Rv. 281293 – 01) ma con la precisazione per cui il fatto tempo non può considerarsi, da solo, dirimente, essendo – al pari degli elementi – un fattore necessario, ma non sufficiente; si è anche precisato c tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, ris condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elem di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, e stante la natura relati presunzione di attualità delle esigenze cautelari, la valutazione della eve prova contraria deve comunque discendere da una valutazione complessiva di diversi elementi – quali il fattore temporale, il contesto socio-ambienta personalità e le condizioni di vita del soggetto – con l’ulteriore precisazi una simile operazione valutativa sarà possibile e valida soltanto ove il vi associativo criminale sia rescisso poiché, se così non fosse, la presunzione potrebbe ritenersi superata. Si è altresì precisato, e anche sul punto s corrispondenza nella ordinanza impugnata, che, sempre in tema di misure cautelari per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, la pr pericolosità non si rapporta solo all’operatività dell’associazione, né al ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la pos commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizza Corte di Cassazione – copia non ufficiale
l’associazione di appartenenza (ex multis, Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 04/05/2018, Rv. 273435). Si conferma, dunque, la necessità di una valutazione complessiva, che tenga conto dell’eventuale continuità tra reato associativo e reati-fine, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo di uno degli elementi rilevanti, e la semplice rescissione del vincolo associativo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione di cui sopra.
Le suesposte considerazioni superano i rilievi di cui ai motivi aggiunti sopra citati, sostanzialmente reiterativi dei due motivi di ricorso.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 – ter, disèp. Att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2024.