Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16691 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16691 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME nato in Sud Africa il 01/03/1962; avverso la ordinanza del 18/11/2024 del tribunale di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; COGNOME Andrea che ha udite le conclusioni del difensore dell’imputato avv.to insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 18 novembre 2024 il tribunale di Salerno, adito in sede di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso tribunale, in relazione ai reati ex art. 44 comma 1 lett. c) del DPR 380/01, 110 cod. pen. 734 e 518 duodecies cod. pen., 65 e 72 del DPR
380/01, 93 e 95 del DPR 380/01 146 e 181 del Dlgs. 42/04, rigettava l’istanza di riesame.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso COGNOME NOME Giuseppe COGNOME mediante il proprio difensore deducendo un unico motivo di impugnazione.
Con il primo motivo si deduce la violazione dei limiti del potere di integrazione motivazionale del tribunale del riesame in presenza di motivazioni distanti da quanto stabilito dal primo giudice della cautela. Si osserva che il Gip avrebbe trascurato che sarebbero intervenuti plurimi titoli abilitativi per il manufatto in questione e non solo quello da lui citato del 1968 e quindi tutti gli interventi realizzati sarebbero stati assentiti. Sarebbe stat presentata alfine Cila per interveti manutentivi. Quindi la tesi di abusività, dei due giudici della cautela sarebbe erronea. Il tribunale nonostante le allegazioni difensive avrebbe poi rinvenuto difformità dai predetti titoli con superamento dei limiti di integrazione motivazionale.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione erronea ed illogica e la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. e degli artt. 9 bis del DP 380/01 e 157 cod. pen. Si contestano taluni passaggi motivazionali della ordinanza impugnata, opponendosi i contenuti della relazione del tecnico di parte, che sarebbe stata travisata dal collegio della cautela e che conterrebbe affermazioni contrarie a quanto ipotizzato dal tribunale. Citandosi al riguardo stralci della relazione tecnica medesima. E si sostiene, conseguentemente, che sia lo sbancamento in roccia che il locale ripostiglio /lavanderia sarebbero stati assentiti sia sul piano edilizio che paesaggistico. Seguono ulteriori considerazioni in ordine ai due servizi igienici del piano terra: connotati da modestissime variazioni rispetto a quanto documentalmente dimostrato mediante accatastamento del 2010, che rappresenterebbe fedelmente lo stato attuale dei luoghi, fornendo la consistenza attuale delle opere, da reputarsi risalente a oltre 14 anni or sono.
Sarebbe illogica la ordinanza in tema quindi di critica al valore probatorio dell’accatastamento posto che esso pur risalendo a 14 anni or sono sarebbe corrispondente allo stato attuale. Sempre in punto di valenza probatoria dell’accatastamento si richiama a conferma il contenuto dell’art. 9 bis del DPR 380/01. Essendo quindi lo stato attuale dei luoghi corrispondente a quanto descritto in via catastale, ogni ipotizzato reato sarebbe ormai prescritto. E sarebbe altresì dimostrato lo stato legittimo dei luoghi.
Mancherebbe quindi il fumus dei reati, e sarebbe fuorviante e illogica la tesi della sussistenza del periculum in mora quale esigenza di impedire la prosecuzione di lavori siccome ancora in corso posto che a fronte di Cila del 21.6.2023 i lavori sarebbero legittimi oltre a riguardare un immobile legittimo. Peraltro si tratterebbe di lavori di manutenzione.
5. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente. Innanzitutto non si rinviene alcun superamento di limiti di integrazione, che ben può essere effettuata dal tribunale in presenza di una già sussistente motivazione del Gip, come nel caso di specie. Invero, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 agli artt. 292 e 309, cod. proc. pen., sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le (eventuali) insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa “per relationem” in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo giudicante mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti. (Sez. n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272596 – 01). Quanto al secondo motivo, va premesso che la censura è inammissibile innanzitutto nella misura in cui si deducono vizi inammissibili in questa sede, atteso che il deficit di motivazione per illogicità o contraddittorietà non è deducibile con ricorso in cassazione avverso misura cautelare reale. Infatti, va ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 – 01 Napoli; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Si è altresì specificato che in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo esso, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Emergono quindi, una volta esclusa la ammissibilità di deduzioni volte a criticare la portata logica della motivazione, essenzialmente critiche volte ad offrire una diversa valutazione dei dati disponibili, come tale incidente altresì sul merito e quindi anche sotto tale aspetto inammissibili in questa sede, a fronte di una motivazione analiticamente argomentata, pur nel quadro della riconosciuta sussistenza di taluni titoli edilizi, con cui si illustrano, in sin plurime difformità rispetto a titoli originari, con incidenza anche sulla sagoma dell’immobile di interesse, sottoposto a vincolo paesaggistico e altresì connotato, alla luce delle fattispecie di reato ipotizzato, anche da violazioni in materia di disciplina antisismica. In un così argomentato contesto di illiceità già sussistente del manufatto, appare corretto anche il rilievo per cui i lavori attualmente in corso, ancorchè supportati da COGNOME, danno luogo in sostanza ad una prosecuzione di opere abusive con insussistenza di ogni ipotesi di intervenuta prescrizione, come invece sostenuto dalla difesa. Invero, la ordinanza appare muoversi secondo la corretta impostazione per cui, ove si intervenga su un immobile abusivo, i relativi ulteriori lavori ancorchè, eventualmente, materialmente marginali, non possono qualificarsi tali ( e quindi non assumono il connotato di opere di manutenzione o di altri interventi non penalmente rilevanti, quali ad esempio il risanamento o il restauro conservativo) bensì integrano più semplicemente, ma anche più gravemente, una “prosecuzione” di opere abusive. Da valutare peraltro sempre in una ottica unitaria. In altri termini, come già sostenuto da questa Corte in altre sentenze, il cd. principio di “immanenza” dell’abusività dell’opera edilizia, esprime il persistere del carattere abusivo di un ‘opera illecita a prescindere dalla intervenuta repressione penale. Esso impone di distinguere il piano della persistenza del reato edilizio da quello della persistenza del carattere abusivo del manufatto in cui si sostanzia il reato stesso. Mentre il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita ovvero fino alla interruzione stabile d stessa, diverso discorso deve farsi in ordine al carattere abusivo di un’opera edilizia ovvero alla sua caratteristica di non essere conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento della sua realizzazione. Tale connotazione di abusività, infatti, permane sull’immobile e lo caratterizza in maniera persistente ed ininterrotta, anche allorquando sia cessata la consumazione del relativo reato, per ultimazione dell’opera o per interruzione stabile, spontanea o imposta. Consegue da tale principio e da tali sue connotazioni, che qualsivoglia sopraggiunta attività edilizia realizzata sull’opera abusiva, ancorchè materialmente “lieve”, quali interventi “latu sensu” di mera “manutenzione” ( es. pitturazione delle pareti o installazione di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
elementi GLYPH
tecnici),
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incidendo su
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una struttura
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abusiva GLYPH
e quindi persistentemente abusiva, si traduce anche essa in una condotta abusiva,
tanto da integrare la “prosecuzione” dell’opera abusiva e quindi un nuovo reato.
Altro profilo di inammissibilità riguarda altresì la assenza di specifiche deduzioni critiche anche in rapporto agli altri reati, diversi da quelli edilizi
paesaggistici, in rapporto ai quali è stato disposto il sequestro, cosicchè esso appare valido già solo in rapporto alle predette ulteriori fattispecie non attinte
da rilievi critici.
Quanto al periculunn, alla luce dei precedenti rilievi per cui emerge la sussistenza di un’opera abusiva e la realizzazione sulla stessa di ulteriori
lavori edili, in corso, non legittinnabili, per quando sopra sostenuto, solo a fronte della presentazione di una CILA, invero inconferente rispetto alla reali
qualificazione di tali opere, esso appare correttamente motivato.
Le osservazione di cui sopra escludono la rilevabilità altresì di qualsivoglia violazione di legge.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 03/04/2025