Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26830 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26830 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MAENZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FONDI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di COGNOME e disporsi il rigetto del ricorso di COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 12 ottobre 2023 la Corte di assise di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di assise di Latina in data 07 marzo 2022, ha confermato le condanne nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 81, comma 2, cod.pen. e 12, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 286/1998 loro ascritti ma, escluse le aggravanti di cui all’art. 12, commi 3-ter, lett. b), 3, lett. d) e 3-bis, e concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla residua aggravante, ha ridotto le pene loro irrogate rispettivamente ad anni tre e mesi due di reclusione ed euro 1.000.000 di multa per COGNOME , e ad anni tre di reclusione ed euro 990.000 di multa per NOME, con interdizione temporanea dai pubblici uffici per entrambi.
La Corte di secondo grado ha respinto i motivi di appello di questi due imputati, accogliendo invece molte RAGIONE_SOCIALE impugnazioni dei correi.
Quanto al NOME, ha ritenuto provato, anche dalle ammissioni dello stesso imputato, che egli ha fatto da intermediario tra alcuni imprenditori e l’indiano NOME COGNOME, che ritirava la documentazione e si occupava di far avere i nulla osta agli stranieri assunti fittiziamente, ha accompagnato al CAF di COGNOME l’imprenditore COGNOME e allo sportello unico di Latina l’imprenditore COGNOME. Ha ritenuto dimostrato, pertanto, che egli si sia occupato di individuare le aziende disponibili a presentare domande di assunzione per lavoratori stranieri finalizzate alla loro immigrazione clandestina, dal momento che nessuno dei soggetti fatti giungere in Italia ha mai lavorato presso tali aziende, benché gli imprenditori chiedessero conto di tale mancato arrivo. Ha ritenuto non credibile che egli non si rendesse conto della fittizietà RAGIONE_SOCIALE domande che contribuiva a presentare, atteso che ha ritirato più nulla-osta rispetto alle esigenze del datore di lavoro Vuoto, e stanti anche le dichiarazioni del coimputato collaborante COGNOME.
Quanto al COGNOMECOGNOME ha ritenuto provata la sua responsabilità dalle dichiarazioni della vice commissario COGNOMECOGNOME dalla verifica dell’invio tramite il suo CAF di molte domande a nome del coimputato COGNOMECOGNOME dal ritrovamento presso il suo CAF di false denunce aziendali, e dalle dichiarazioni di alcuni imprenditori circa l’invio RAGIONE_SOCIALE loro domande tramite il suo CAF ovvero tramite la e-nnail sua o di sua moglie, titolare del CAF stesso, benché essi non avessero avuto alcun rapporto né con lui né con detto ufficio, presso il quale, infatti, non è stata trovata alcuna delega per la presentazione RAGIONE_SOCIALE domande di assunzione e della relativa documentazione, richiesta invece dalla legge.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi, e NOME
COGNOME, anch’egli per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
Con il primo motivo il ricorrente NOME denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen. con riferimento all’art. 12 d.lgs. n. 286/1998.
La sentenza ha travisato le sue dichiarazioni in quanto egli, in modo genuino, ha solo ammesso di avere eseguito RAGIONE_SOCIALE operazioni per conto di NOME COGNOME, ignorando però la finalità dei documenti che depositava, come la sentenza stessa ha riconosciuto per altri imputati. Anche l’affermazione che egli abbia collaborato a individuare le aziende disponibili a presentare le domande di assunzione per lavoratori stranieri è apodittica, e l’affermazione che egli agisse da intermediario tra lo Uttann e il COGNOME contraddice la valutazione del giudice di primo grado, che ha escluso l’aggravante di cui all’art. 12, comma 3, lett. d) T.U.Imm., ritenendo non provato un suo concorso in almeno tre persone.
3.1. Con il secondo motivo il COGNOME denuncia la omessa o erronea applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 286/1998. I reati a lui eventualmente ascrivibili, per tutti i capi per i quali è stato condannato, devono essere qualificati, al massimo, come violazione dell’art. 12, comma 1, T.U.Imm., che deve essere dichiarata prescritto, o che consente, comunque, una riduzione della pena.
Con il primo motivo il ricorrente COGNOME denuncia il vizio di motivazione della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto false le denunce aziendali, in contrasto con le prove raccolte.
La Corte ha ritenuto false le denunce aziendali solo sulla base della dichiarazione della v.comm. COGNOME, senza acquisire alcuna certificazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE o dell’RAGIONE_SOCIALE, e senza che la teste abbia spiegato sulla base di quali elementi è stata dichiarata la loro falsità; la teste, inoltre, dibattimento non ha riferito il nominativo dei funzionari di tali enti che avrebbero accertato l’asserita falsità, ed anzi ha ammesso che nessuno di essi è stato assunto a sommarie informazioni, così impedendo alla difesa di chiederne l’escussione in dibattimento. Le sue dichiarazioni, pertanto, sono inutilizzabili, ai sensi dell’art. 195 cod.proc.pen. All’interno del computer dell’ufficio del ricorrente, invece, come riferito da quest’ultimo, vi era tutta la documentazione relativa alle singole domande, comprese le necessarie deleghe e il certificato dell’RAGIONE_SOCIALE di approvazione della denuncia aziendale. La v.comm. COGNOME, poi, ha dichiarato di avere dati relativi all’inoltro RAGIONE_SOCIALE istanze relative al decreto flu
solo per l’anno 2011 e solo per tale NOME, ma la Corte non ha tenuto conto di tale sua precisazione.
L’erroneità della dichiarazione di falsità RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali sussiste nella motivazione relativa al reato di cui al capo 3), in cui la sentenza afferma altresì che le domande a nome del COGNOME sono state inviate attraverso e-nnail in uso al ricorrente o a sua moglie, mentre è accertato che esse sono partite da un diverso indirizzo.
Così anche in ordine al reato di cui al capo 4): la Corte afferma che una falsa denuncia aziendale a nome di COGNOME è stata trovata nello studio del ricorrente, ma nel verbale di perquisizione e sequestro datato 01/07/2013 tale rinvenimento non è documentato, e la stessa v.connm. COGNOME ha dichiarato che le domande di questo imprenditore sono partite da un telefono e un IP associati ad altro soggetto, e non al ricorrente.
In ordine al capo 5) la sentenza, oltre a riproporre i medesimi errori, afferma essere stata trovata, nello studio di COGNOME, una falsa dichiarazione dei redditi di NOME per l’anno 2011, mentre un simile documento non è menzionato nel verbale di sequestro.
In ordine al capo 6), la sentenza parla di una falsa denuncia dei redditi a nome NOME trovata nello studio del ricorrente, mentre essa è stata trovata presso lo Sportello Unico, e afferma essere state le richieste di assunzione inviate attraverso l’indirizzo IP del ricorrente, che non viene però indicato, affermazione che contrasta con la dichiarazione della teste.
Simili vizi sussistono in merito al capo 13), perché nessuna falsa dichiarazione dei redditi a nome di NOME è stata trovata nello studio del ricorrente, né è accertata la falsità RAGIONE_SOCIALE sue denunce aziendali.
Il vizio attinente la motivazione circa la falsità RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali sussiste anche in relazione ai capi 15), 16), 18), 19) e 20). Per quest’ultimo capo, inoltre, non vi è neppure la prova certa che la domanda sia stata inviata tramite il CAF del ricorrente.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso il COGNOME deduce il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui la Corte di assise di appello ha ritenuto che egli fosse abilitato all’inoltro RAGIONE_SOCIALE domande flussi per conto del patronato COGNOME.
La sentenza afferma che è stata rinvenuta, presso lo Sportello Unico, una richiesta di autorizzazione del responsabile del CAF RAGIONE_SOCIALE, di cui era titolare la moglie del ricorrente, che indica il ricorrente stesso quale addetto per l’inoltro RAGIONE_SOCIALE istanze, ma un simile documento non è in atti, e la v.comm. INDIRIZZO è stata molto vaga nel testimoniare se esso era stato acquisito, a quali anni si riferisse e se, trattandosi solo di una richiesta di autorizzazione, la stessa fosse stata
accolta. La sentenza motiva la responsabilità del ricorrente anche attraverso le sue ammissioni, ma egli ha solo dichiarato di avere, nel tempo, inviato domande relative al decreto flussi, senza però riferirsi né agli anni contestati né al persone indicate nei vari capi di imputazione.
4.2. In questo secondo motivo di ricorso, il COGNOME lamenta anche la violazione di legge in ordine all’accertamento della sussistenza del dolo.
La sentenza lo deduce dalle dichiarazioni del coimputato NOME ma, avendo assolto i vari datori di lavoro, condannati in primo grado, asserendo non essere provata la loro consapevolezza della fittizietà RAGIONE_SOCIALE varie domande e della falsità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni ad esse allegate, avrebbe dovuto effettuare la medesima valutazione per il ricorrente, assolvendolo quanto meno con la formula dubitativa. La sentenza impugnata mostra una carenza motivazionale non colrnabile con il richiamo a quella di primo grado, la cui carenza è ancora maggiore, non avendo affatto motivato sul dolo del ricorrente e sulla sua consapevolezza di favorire l’immigrazione clandestina. Il fatto di avere egli spontaneamente estratto dal computer e consegnato agli inquirenti le denunce aziendali, collegandosi con le sue passwords al sito dell’RAGIONE_SOCIALE, dimostra che egli ne ignorava la falsità; anche il fatto di avere inviato le domande con e-rnail a lui riferibili dimostra quanto meno la sua mancanza di consapevolezza in quanto, altrimenti, egli avrebbe occultato il proprio ruolo. Non c’è prova che egli stesso abbia depositato presso l’Ufficio Immigrazione le varie denunce aziendali ritenute false, che peraltro, avendo più finalità, possono essere state predisposte dagli imprenditori per altri motivi, senza che il ricorrente potesse valutarne e verificarne la correttezza. E’ errato anche affermare che egli ha inviato le domande pur essendo privo della delega da parte del datore di lavoro, essendo tale documento fondamentale per l’iter burocratico, al punto che la pratica sarebbe stata bloccata dal sistema se tale delega fosse stata mancante. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza, di fatto, attribuisce al ricorrente, per i vari reati, un responsabilità solo oggettiva, per il fatto di avere inoltrato una domanda per ciascun datore di lavoro, senza avere accertato la sua consapevolezza della loro fittizietà.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto la declarat di inammissibilità per il ricorso proposto dall’imputato NOME, e il riget ricorso proposto dall’imputato COGNOMECOGNOME
AVV_NOTAIO ha presentato due memorie difensive, una per ciascun ricorrente, con le quali ribadisce i motivi dei due ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti non sono meritevoli di accoglimento, per ragioni diverse.
Il ricorso proposto dall’imputato NOME è generico e manifestamente infondato, con riferimento ad entrambi i motivi, e deve perciò essere dichiarato inammissibile.
2.1. Il primo motivo di ricorso afferma il travisamento della prova costituita dalle ammissioni dello stesso imputato, da parte della sentenza di secondo grado, in modo del tutto generico, senza precisare il contenuto che sarebbe stato travisato e senza allegare le dichiarazioni stesse, come necessario per soddisfare il principio dell’autosufficienza del ricorso (vedi, tra le molte, Sez. 1, n.5897 de 03/12/2020, dep. 2021, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
La sentenza di appello, inoltre, in ordine alla responsabilità dei due ricorrenti e di altri due coimputati, si configura come una c.d. doppia conforme, in quanto la sua struttura argomentativa si salda con quella della sentenza di primo grado, alla quale essa esplicitamente rimanda, alla pagina 29. Le due sentenze devono, perciò, essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218). Alla brevità della motivazione di quella di secondo grado sopperisce ampiamente, pertanto, la più approfondita valutazione RAGIONE_SOCIALE prove compiuta dalla sentenza di primo grado.
Deve anche rilevarsi che il travisamento della prova dedotto in questo motivo di ricorso non risulta dedotto con i motivi di appello, benché le due sentenze, stante la loro predetta struttura, abbiano esaminato e valutato in modo analogo i medesimi elementi. Questa Corte ha affermato, invece, che «Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado» (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777).
La deduzione di tale travisamento, peraltro, oltre ad essere inammissibile perché generica, è manifestamente infondata, in quanto la sentenza impugnata, alle pagine 31 e 32, si limita ad affermare che il NOME, in dibattimento, ha ammesso di avere fatto da intermediario, e fonda la conferma della sua responsabilità non sulle sue dichiarazioni, bensì sulla documentazione acquisita e
sulle dichiarazioni rese dalla INDIRIZZO, dai datori di lavoro e, in parte, dal collaborante COGNOME.
Quanto all’ulteriore censura circa la apoditticità della motivazione, anch’essa del tutto generica, deve ribadirsi che la motivazione della sentenza di secondo grado è integrata da quella della sentenza di primo grado, che ha esaminato le prove a carico del NOME dalla pagina 28, e nelle parti successive ne ha valutato dettagliatamente la rilevanza per ciascuno dei capi di imputazione a lui contestati.
2.2. GLYPH Il secondo motivo di ricorso, relativo all’asserita erroneità della qualificazione giuridica del reato ritenuto sussistente, è manifestamente infondato.
E’ evidente, infatti, la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 12, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 286/1998, applicabile quando il numero degli stranieri di cui è stata illecitamente favorita l’immigrazione è superiore a cinque, visto l’elevatissimo numero di domande fittizie che il ricorrente ha concorso a presentare, ad ognuna RAGIONE_SOCIALE quali corrisponde un cittadino straniero illecitamente favorito. Il ricorso non contesta l’accertamento contenuto, sul punto, nelle due sentenze di merito, per cui la deduzione appare del tutto priva di fondamento.
Il primo motivo del ricorso presentato dall’imputato COGNOME è infondato.
3.1. La testimonianza resa dalla v.connm. COGNOME è pienamente utilizzabile, e la falsità ideologica di molte RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali inviate dal ricorrente è sufficientemente dimostrata dalle attestazioni degli enti deputati al loro controllo, acquisite dall’ufficiale di polizia giudiziaria e da questa riferite in udienza. Deve applicarsi, infatti, il consolidato principio secondo cui «Il divieto di testimonianza indiretta previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dall’art. comma quarto, cod. proc. pen. non si applica nell’ipotesi in cui il teste riferisca dati acquisiti mediante l’accesso a banche dati riservate … reso possibile dall’intervento dei soggetti preposti, che si siano poi limitati a comunicare all’inquirente i dati richiesti». (Sez. 2, n. 23005 del 16/01/2015, Rv. 264220), e «In tema di prova dichiarativa, la testimonianza dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria che riferisca in ordine agli accertamenti compiuti attraverso dati risultanti dall’anagrafe tributaria o da altre banche dati costituisce piena prova dei fatti accertati» (Sez. 4, n. 30238 del 13/07/2021, Rv. 281742).
Inoltre la sentenza di primo grado, che deve essere letta unitamente a quella impugnata attesa la loro natura di “doppia conforme”, come precisato al superiore paragrafo 2.1, ricostruisce in maniera approfondita, in particolare alle pagine da 27 a 30, le ragioni del coinvolgimento del ricorrente nelle indagini, l’attività investigativa svolta a suo carico, le modalità della verifica circa la fals
RAGIONE_SOCIALE predette denunce aziendali, le dichiarazioni rese a suo carico da alcuni coimputati, evidenziando così la infondatezza di molte RAGIONE_SOCIALE censure mosse.
L’indicazione RAGIONE_SOCIALE fonti di prova viene effettuata in modo dettagliato, per ciascun capo di imputazione, a partire dalla pagina 36 della sentenza. In ordine ai capi 3) e 4) sono indicate le prove a fondamento della condanna, con alcune RAGIONE_SOCIALE quali il ricorso non si confronta, e la censura relativa alle dichiarazioni della v.comm. COGNOME è infondata, non risultando che la falsità RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali rinvenute nello studio del ricorrente e la fittizietà RAGIONE_SOCIALE domande presentate sia stata accertata attraverso la sua testimonianza, mentre l’asserito errato riferimento al sequestro di tali denunce non è valutabile, mancando l’allegazione del verbale di sequestro. In ordine al capo 5), la censura circa la erroneità dell’indirizzo mail attribuito al ricorrente non ha pregio, atteso che quanto meno la falsa denuncia aziendale del datore di lavoro indicato è stata trovata presso il suo studio, ed egli stesso ha ammesso di avere inviato le sue domande di assunzione, dietro interessamento del coimputato NOME. In ordine al capo 6), la censura circa il travisamento RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni della v.connm. COGNOME è inammissibile per l’omessa allegazione della sua deposizione. L’insufficienza della testimonianza della v.comm. COGNOME ed il suo effettivo contenuto, infatti, vengono contestati riportando solo brevissimi stralci della sua deposizione, del tutto slegati tra loro, mentre, ai fini del rispetto del principio di autosufficien del ricorso, il ricorrente ha l’onere di allegare o indicare in modo puntuale la prova che sostiene essere stata travisata, o erroneamente interpretata, o riportata in modo non conforme al suo reale contenuto (si veda, tra le molte, Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv.276432; Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Rv. 280419; Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Rv. 241449).
In ordine ai restanti capi, la censura riguarda essenzialmente la mancanza di prova della falsità RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali rinvenute nello studio del ricorrente o, per il fatto contestato al capo 13), rinvenute «nel suo computer, nel sito RAGIONE_SOCIALE attivato con le sue credenziali», come dettagliatamente riportato alla pagina 49 della sentenza, per l’asserito travisamento della testimonianza della v.comnn. RAGIONE_SOCIALE, o per la sua inutilizzabilità in quanto assunta senza il rispetto dell’art. 195 cod.proc.pen.. La questione del travisamento RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni della teste è però inammissibile per l’omessa allegazione integrale della dichiarazione contestata, mentre la sua inutilizzabilità deve essere esclusa, per le ragioni sopra precisate. Inoltre, quanto meno con riferimento ai capi 15), 16) e 20), la falsità RAGIONE_SOCIALE denunce aziendali, quanto alle dimensioni dell’azienda e al conseguente numero di stranieri impiegabili, è stata ammessa, in dibattimento, dai fittizi datori di lavoro, secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, mentre con riferimento al capo 19) la totale falsità RAGIONE_SOCIALE domande inviate per gli anni
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2010, 2011 e 2012 risulta provata dalle affermazioni del collaborante COGNOME e dalle indagini ad esse conseguenti, riferite alle pagine 55 e 56 della sentenza di primo grado; prove, tutte, con le quali il ricorso non si confronta.
Deve perciò concludersi che la motivazione RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito è sufficientemente approfondita in ordine a tutti i reati ritenuti sussistenti a carico del ricorrente COGNOME, la cui responsabilità risulta provata “oltre ogni ragionevole dubbio”.
3.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’accertamento, da parte del ricorrente, del possesso RAGIONE_SOCIALE credenziali per inoltrare all’RAGIONE_SOCIALE le domande inerenti il decreto flussi è stato effettuato dalla INDIRIZZO, e l’asserito travisamento della sua testimonianza è inammissibile, come già evidenziato, per l’omessa allegazione della stessa. Peraltro la sentenza di primo grado, alla pagina 29, riporta le dichiarazioni dello stesso ricorrente, il quale ha confermato di avere, alla richiesta degli investigatori, acceso il proprio computer e mostrato alla INDIRIZZO.comm. INDIRIZZO, collegandosi al sito RAGIONE_SOCIALE con le proprie credenziali, le molte denunce inviate, stampando quelle che alla stessa interessavano; inoltre egli stesso ha ammesso di avere inviato pratiche negli anni 2010 e 2011, su richiesta del coimputato NOME. Il ricorrente non ha smentito queste sue dichiarazioni, che dimostrano ampiamente che, all’epoca dei fatti, egli era in possesso RAGIONE_SOCIALE necessarie credenziali, come peraltro affermato dalla INDIRIZZO.comm. COGNOME.
Il vizio motivazionale dedotto sul punto è, pertanto, manifestamente insussistente.
3.3. Quanto alla violazione di legge e al vizio motivazionale dedotti in merito all’accertamento del necessario elemento soggettivo, la descrizione RAGIONE_SOCIALE condotte accertate a carico del COGNOME è sufficiente per dedurre che egli ha agito con la piena consapevolezza di violare le disposizioni del decreto flussi al fine di agevolare l’immigrazione di cittadini stranieri, che venivano autorizzati ad entrare in Italia per un fittizio scopo lavorativo. Come valutato dalla sentenza di primo grado, alla pagina 34, e da quella di appello, alle pagine 34 e 35, con argomentazione logica e coerente con le prove raccolte, l’inoltro di molte domande a cui veniva allegata una denuncia aziendale falsa o una falsa dichiarazione dei redditi costituisce una condotta ampiamente sintomatica del dolo del ricorrente. Ad essa deve aggiungersi la totale illegalità della procedura da lui seguita, dal momento che egli è risultato privo della delega che ciascun datore di lavoro avrebbe dovuto rilasciare al patronato incaricato di inviare le domande, molto raramente ha avuto contatti con tali soggetti, e in alcuni casi ha addirittura predisposto egli stesso la documentazione da allegare alla domanda, come da sua ammissione, documentazione in più casi risultata falsa.
La condotta tenuta, in un elevato numero di casi, consente pertanto di ritenere dimostrato, attraverso la prova logica, il dolo del ricorrente. L’elemento soggettivo del dolo, infatti, può essere desunto dalle concrete modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva dell’imputato, ed evidenziarne l cosciente volontà e la rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, in particolare di quelli relativi a condotte fraudolente o ingannatorie (vedi Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908).
Anche questo motivo di ricorso, pertanto, deve essere dichiarato infondato.
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve perciò essere rigettato, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, invece, essere dichiarato inammissibile, ed egli deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 16 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente