Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31938 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31938 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 18/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 1° marzo 2024 dal Tribunale di Napoli;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, quest’ultimo in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli che ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti con ordinanza del 29/1/2024 in relazione ai seguenti reati: art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A); art. 73, commi 1 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990, in un caso anche con l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. cit. (capi B,
C, D, E, F, H, I, O e Q); art. 110 e 605 cod. pen. (capo G); artt. 56 e 629 cod. pen. (capo G1) e artt. 582, 585 cod. pen. (capo G2).
Deduce tre motivi di ricorso.
1.1 I primi due motivi muovono entrambi dalla censura dell’erronea premessa su cui si basa l’ordinanza impugnata, ovvero che il ricorrente non abbia formulato censure in ordine ai fatti contestati, essendosi limitato a eccepire la inutilizzabilità delle intercettazioni di cui al R.I.T. 92/2019 e dei risultati degli accertamenti relativi al monitoraggio e rilevazione della posizione tramite GPS.
Assume, invece, il ricorrente di avere formulato specifiche censure, illustrate nei primi due motivi di ricorso, sui seguenti punti del provvedimento genetico: a) sulla sussistenza della gravità indiziaria relativa al reato di sequestro di persona, avuto riguardo sia alla individuazione del COGNOME quale mandante e, dunque, quale concorrente morale nel reato, sia alla effettiva privazione della libertà personale della vittima, non sussistente in quanto questa aveva sempre avuto la disponibilità del telefono cellulare che aveva utilizzato per contattare i familiari e rassicurarli sulle sue condizioni (primo motivo di ricorso); b) sulla sussistenza della gravità indiziaria relativa al reato associativo contestato al capo A) per carenza dell’elemento costitutivo della presenza di almeno tre persone (secondo motivo di ricorso). Con riferimento a tale specifica censura, si illustrano le ragioni per cui tutti i soggetti diversi da COGNOME e COGNOME, non potevano considerarsi quali partecipi del sodalizio atteso che: 1) a COGNOME, presunto corriere, viene attribuito un unico reato fine cui si riferiscono le uniche conversazioni intercettate; 2) a COGNOME, ritenuto cliente abituale, vengono contestati due reati fine per uno solo dei quali sono stati ravvisati gravi indizi di colpevolezza; 3) anche per COGNOME, ritenuto intermediario del gruppo, non vi sono sufficienti elementi, in ragione del numero limitato di transazioni ipotizzate (tre) e del periodo di tempo in considerazione, per ravvisare quegli standard di continuità e stabilità che la giurisprudenza di legittimità richiede ai fini della attribuzione della qualità d partecipe del sodalizio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2 Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al punto della decisione relativo all’utilizzo del cd. IMEI catcher e all’attribuzione delle utenze agli indagati.
Si deduce, in primo luogo, la mancanza agli atti dello specifico accertamento relativo alla individuazione, tramite l’impiego del catcher, di una delle utenze monitorate come in uso al COGNOME. In relazione a tale profilo si eccepisce la carenza di motivazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni sull’utenza in questione.
Sostiene il ricorrente che era questa la questione di inutilizzabilità dedotta dinanzi al Tribunale e non quella relativa al GPS in relazione alla quale, comunque, la motivazione dell’ordinanza risulta viziata.
Si censura, inoltre, l’attribuzione al COGNOME dell’utenza con il numero finale 418 in quanto fondata su una premessa fattuale, ovvero l’aggancio della medesima cella utilizzata da altra utenza in uso al ricorrente avente il numero finale 407, disancorata da qualsiasi riscontro, non essendo presenti agli atti i tabulati relativi a tale seconda utenza. Con riferimento a tale questione, il Tribunale si è limitato a confermare la valutazione del Giudice per le indagini preliminari senza fornire alcuna risposta alla doglianza difensiva.
Si eccepisce ancora la mancanza di motivazione in merito all’ulteriore questione dedotta in sede di riesame attinente alla mancata indicazione dei criteri in base ai quali erano stati attribuiti al ricorrente e a COGNOME le altre utenze oggetto di intercettazione.
Con memoria del 28 maggio 2024 a firma dell’AVV_NOTAIO il ricorrente ha presentato due motivi nuovi, entrambi correlati alla questione posta con il terzo motivo in merito alla inutilizzabilità delle intercettazioni.
2.1 Con il primo motivo aggiunto deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla illegittima modalità di acquisizione del codice IMEI dell’utenza mobile attribuita al ricorrente con numero finale 753. Oltre a rimarcare l’assenza in atti di una documentazione relativa all’attività investigativa svolta, osserva il ricorrente che poiché detta attività ha consentito di captare il segnale telefonico dell’indagato e di estrarre il codice IMEI, era necessario un atto motivato dell’autorità giudiziaria che autorizzasse l’uso dell’IMEI catcher, trattandosi di una intrusione nella sfera della riservatezza (art. 15 Cost.).Si richiama, a tal fine, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998) e, soprattutto, la sentenza della Corte EDU 24 aprile 2018, Benedik c. Slovenia, che ha ritenuto che anche l’acquisizione dell’indirizzo IP (assimilabile al codice IMEI secondo il ricorrente), trattandosi di “dati personali”, ricade nella sfera di applicazione dell’art. 8 CEDU ed ha concluso che, essendo necessaria ai fini della legittima intrusione nella sfera di riservatezza dell’utente, l’emissione di un ordine giudiziale, la richiesta da parte della Polizia al pro vider avesse costituito una violazione di tale diritto convenzionale.
Muovendo, dunque, dall’assimilabilità dell’indirizzo IP al codice IMEI (ciò anche sulla base di quanto previsto al § 30 del Rapporto Esplicativo della Convenzione sul Cybercrime), rileva il ricorrente che nella fattispecie in esame l’acquisizione del codice IMEI è illegittima, secondo i parametri di giudizio individuati dalla Corte EDU, non solo perché disposta dalla polizia giudiziaria senza un’autorizzazione del giudice, ma anche per carenza di una base legale che preveda tale intrusione. Segnala, infine, che il diverso indirizzo assunto da questa Corte con la sentenza n. 41385 del 2018 deve considerarsi superato dalla successiva pronuncia della Corte EDU.
Conclude chiedendo che venga dichiarata non solo l’inutilizzabilità dell’acquisizione del codice IMEI, ma anche delle successive intercettazioni autorizzate con decreto n. 92/19.
In subordine si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 256 cod. proc. pen. per violazione dell’art. 15 Cost. nella parte in cui non prevede che sia necessario un ordine dell’autorità giudiziaria per l’acquisizione del numero IMEI mediante l’utilizzazione di apparecchiature tecnologiche capaci di catturare ed identificare detto codice.
2.2 Con il secondo motivo aggiunto deduce vizi cumulativi di violazione di legge (artt. 13, legge n. 203 del 1991, 267 e 271 cod. proc. pen.) e di assenza e manifesta illogicità della motivazione sulla eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate in base al decreto n. 92/2019 in ragione dell’incertezza in merito all’attribuzione del numero IMEI al ricorrente. Come già chiarito, detto decreto prende le mosse dall’impiego del catcher, utilizzato nel corso di due serate nei pressi dell’abitazione del ricorrente, ubicata in una zona densamente popolata di Napoli. Non vi è ragione per escludere che il codice IMEI captato possa essere riferibile ad una utenza in uso ad amici, familiari e conviventi, non essendo a tal fine sufficiente il dato, illogicamente valorizzato dal Tribunale, in merito alla coincidenza degli spostamenti dei due dispositivi che ben potevano appartenere a due soggetti legati da rapporti di amicizia o di parentela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni di seguito esposte.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della medesima premessa da cui muovono le censure dedotte, sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
2.1. Va, innanzitutto, premesso che ai sensi dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127 che, con riferimento alla redazione del verbale di udienza, prevede che questo sia redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell’art. 140, comma 2, cod. proc. pen. (art. 127, comma 10). Il contenuto del verbale è discipliNOME dal successivo art. 136 cod. proc. pen. La norma prevede che il verbale contenga: a) la menzione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell’ora in cui è cominciato e chiuso; b) le generalità delle persone intervenute e l’indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire; c) la descrizione di quanto l’ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza nonché
le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste.
Come emerge dal tenore letterale di tale disposizione, non si prevede che il verbale contenga anche la sintesi delle argomentazioni delle parti che, tuttavia, ai sensi dell’art. 141 cod. proc. pen., possono chiedere la verbalizzazione di specifiche richieste o dichiarazioni orali.
2.2. Venendo al caso concreto, dall’esame degli atti risulta che COGNOME ha presentato richiesta di riesame senza indicare i motivi che sono stati illustrati oralmente in udienza. In tale sede, secondo quanto risulta dal verbale di udienza, il difensore si è limitato a dedurre le questioni relative alla mancanza di gravità indiziaria, senza alcuna specificazione in ordine agli elementi di criticità indicati in ricorso, ed alla inutilizzabilità delle intercettazioni di cui al RIT 92/19 per difetto motivazione sull’accertamento relativo alla attribuibilità dell’utenza; in subordine sono state censurate anche le esigenze cautelari.
Pertanto, poiché il ricorrente non risulta essersi avvalso della facoltà prevista dall’art. 141 cod. proc. pen. né ha formulato alcuna censura in ordine al valore del verbale di udienza, non risultando specificamente poste le questioni di cui lamenta il mancato esame, deve escludersi che il Tribunale, che ha, comunque, confermato il giudizio di gravità indiziaria già espresso dal Giudice per le indagini preliminari, sia incorso in alcun vizio di omessa motivazione, come prospettato nei due motivi in esame.
Il terzo motivo, nonché i due motivi aggiunti ad esso correlati, sono complessivamente infondati.
3.1 Le questioni relative all’impiego del catcher
In primo luogo, rileva il Collegio che la questione relativa all’impiego del catcher, sebbene interessante, non rileva nella fattispecie in esame ai fini della valutazione dell’utilizzabilità delle intercettazioni.
Ciò per un duplice ordine di ragioni.
Va, infatti, considerato che, come risulta dall’ordinanza impugnata, a seguito dell’autorizzazione delle intercettazioni nei confronti del COGNOME, sono state inizialmente monitorate le utenze intestate e/o in uso ai suoi familiari e ciò al fine di poter individuare l’utenza effettivamente utilizzata dall’indagato; stante l’esito infruttuoso dell’ascolto delle conversazioni, che, comunque, evidenziavano una ingiustificata disponibilità di risorse finanziarie, veniva svolta una specifica attività investigativa presso l’indirizzo di residenza di COGNOME, al fine di individuare, mediante l’impiego del catcher, i numeri IMEI di dispositivi mobili nella disponibilità dell’indagato.
Ebbene, fermandosi a questa prima fase delle operazioni, rileva il Collegio che la prospettiva da cui muove il ricorrente, basandosi anche sulla giurisprudenza della Corte EDU, non rileva nel caso in esame in quanto con il citato provvedimento
autorizzativo delle intercettazioni delle conversazioni del COGNOME, del quale, sempre secondo quanto può desumersi dall’ordinanza impugnata, non si conoscevano i numeri di utenza impiegati, si legittimava gli operanti anche al compimento delle operazioni tecniche necessarie alla individuazione di dette utenze.
Pertanto, trattandosi di una operazione tecnica strumentale alla individuazione delle utenze bersaglio, non necessitava di autonomo provvedimento autorizzativo, trovando la sua legittimazione nel precedente decreto di autorizzazione delle intercettazioni nei confronti del COGNOME.
D’altronde, questa Corte, pronunciandosi in tema di intercettazioni ambientali, ha già chiarito che la modifica delle modalità esecutive delle captazioni, concernendo un aspetto meramente tecnico, può essere autonomamente disposta dal pubblico ministero, non occorrendo un apposito provvedimento da parte del giudice per le indagini preliminari (Sez. 6, n. 45486 del 08/03/2018, Romeo, Rv. 274934).
Sotto altro profilo, va, inoltre, aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente escluso l’applicabilità alla categoria della inutilizzabilità della norma specificamente dettata in tema di nullità dall’art. 185 cod. proc. pen. secondo la quale la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo. Si è, infatti, affermato che il vizio di cui sia affetto l’originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli successivi, correttamente adottati e, pertanto, non è inutilizzabile la prova che non sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova inutilizzabile (Sez. 5, n. 4951 del 05/11/2010 dep. 2011, COGNOME, Rv. 249240; Sez. 6, n. 3027 del 20/10/2015, dep. 2016, Ferminio, Rv. 266496).
Le considerazioni sopra esposte hanno un valore assorbente rispetto all’esame della questione di legittimità costituzionale posta dal ricorrente.
3.1.1. Le ulteriori questioni relative alle modalità e ai criteri di attribuzione delle utenze telefoniche al ricorrente sono inammissibili in quanto formulate dal ricorrente in termini confusi, aspecifici e, soprattutto, con argomentazioni interamente versate in fatto, estranee al perimetro di cognizione del giudizio di legittimità.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha esamiNOME adeguatamente entrambe le questioni e, con motivazione non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente non si confronta criticamente, ha chiarito che: 1) una volta individuati i codici IMEI degli apparecchi radiomobili riferibili al ricorrente, è stata autorizzata l’acquisizione dei tabulati telefonici e telematici; 2) l’individuazione del ricorrente quale utilizzatore dell’utenza con numero finale 418, risultata intestata ad un “prestanome”, si fonda sul fatto che le celle agganciate da tale utenza coincidevano con quelle agganciate dall’utenza con numero finale 907, certamente in uso a
COGNOME (il quale non ha formulato specifiche contestazioni a riguardo). Inoltre, l’attribuzione al COGNOME delle utenze così individuate si fonda sulla valutazione congiunta di una pluralità di elementi tra loro logicamente correlati: il Tribunale, infatti, oltre a considerare i dati relativi alla “cattura” dell’utenza n pressi dell’abitazione del ricorrente ed alla sincronia degli spostamenti delle due utenze, ha valorizzato il tenore delle conversazioni intercettate e il riconoscimento della voce del ricorrente da parte della Polizia Giudiziaria, elemento, quest’ultimo, reputato affidabile in considerazione della protrazione nel tempo dell’ascolto delle conversazioni intrattenute dal ricorrente su altre utenze rispetto alle quali non è stata formulata alcuna specifica contestazione.
3.2. La questione relativa alla mancanza di motivazione del decreto di intercettazione.
Tale questione, dedotta per la prima volta in questa Sede, è inammissibile in quanto formulata in termini generici ed aspecifici, non essendo stato allegato al ricorso il decreto cui si riferisce l’eccezione.
Va, infatti, ribadito che, in tema di intercettazioni, l’inutilizzabilità degli es delle operazioni captative derivante dalla mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione o di proroga, ove non eccepita dinanzi al tribunale del riesame, può essere dedotta, per la prima volta, nel giudizio di legittimità, ma è onere della parte che la deduca allegare i decreti medesimi, nel caso in cui gli stessi non siano stati trasmessi al tribunale del riesame ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. e, per l’effetto, non siano pervenuti alla Corte di cassazione. (cfr. Sez. 2, n. 49959 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285622).
Inoltre, come chiarito dalle Sezioni Unite, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugNOME (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 giugno 2024
Il Consigliere estensore
‘9t0 in Cancelleria