Illegalità della pena: quando la contestazione è manifestamente infondata
L’impugnazione di una sentenza penale basata sulla presunta illegalità della pena rappresenta uno strumento fondamentale a tutela dei diritti dell’imputato. Tuttavia, non ogni doglianza è destinata al successo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della manifesta infondatezza, delineando i casi in cui un ricorso di questo tipo viene dichiarato inammissibile.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato per il reato di cui all’art. 336 del codice penale, presentava ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza era l’asserita illegalità della pena inflittagli dal Tribunale. Secondo la difesa, l’aumento di pena applicato era incompatibile con la pena precedente, calcolata a seguito di una riduzione. In sostanza, il ricorrente lamentava che la pena finale fosse stata quantificata in modo illegittimo.
La decisione della Corte di Cassazione sull’illegalità della pena
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno ritenuto le censure avanzate dal ricorrente come ‘manifestamente infondate’. La decisione si basa su un’attenta analisi del calcolo della pena, evidenziando come la contestazione del ricorrente fosse basata su un presupposto errato. Oltre a respingere il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato in modo chiaro perché il motivo del ricorso fosse privo di fondamento. Il calcolo della pena deve essere considerato nella sua interezza. La pena di riferimento, a cui si rapportava la difesa (due mesi e venti giorni), era già il risultato di una riduzione. Anche la pena finale di due mesi, contestata dal ricorrente, era l’esito di una diminuzione applicata ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale. Di conseguenza, questa pena finale era di fatto inferiore a quella originaria, prima di qualsiasi riduzione. Pertanto, l’aumento contestato era perfettamente compatibile e legittimo.
I giudici hanno inoltre aggiunto un elemento significativo, seppur incidentale: la posizione del ricorrente era aggravata da una recidiva più seria di quanto considerato. Era infatti emerso che l’imputato aveva riportato un’ulteriore condanna sotto un altro nome, circostanza che, seppur non decisiva per la questione dell’illegalità della pena, rafforzava la valutazione complessiva del caso.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per contestare l’illegalità della pena, non è sufficiente isolare un singolo passaggio del calcolo, ma è necessario considerare l’intero iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito. Un ricorso basato su una lettura parziale o errata del calcolo della pena è destinato a essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare censure precise e giuridicamente solide, pena la condanna a sanzioni pecuniarie che si aggiungono alle spese processuali.
Quando un ricorso per illegalità della pena può essere dichiarato manifestamente infondato?
Un ricorso è manifestamente infondato quando le censure si basano su presupposti errati o su una lettura parziale del calcolo della pena, senza considerare l’intero processo di quantificazione, comprese le riduzioni e gli aumenti applicati.
Perché il ricorso specifico è stato ritenuto inammissibile?
È stato ritenuto inammissibile perché la pena finale contestata, sebbene derivante da un aumento, era comunque inferiore alla pena originaria non ridotta. L’aumento era quindi compatibile con il quadro normativo e la doglianza del ricorrente era palesemente priva di fondamento.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21255 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21255 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/09/2023 del TRIBUNALE di PRATO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. 550/24 NOME
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui alli art. 336 cod. pen.);
Esaminati i motivi di ricorso;
Ritenuto che il ricorrente, con l’unico motivo di ricorso con cui lamenta l’illegalità della pena, avanza censure manifestamente infondate essendo l’aumento effettuato compatibile, dal momento che la pena precedente di mesi due e giorni venti di reclusione cui si riferisce il difensore è all’esito della riduzione, così come la pena in aumento che è stata, all’esito della diminuzione ex art. 444 cod. pen., di mesi due, pertanto inferiore a quella originaria (e ciò a tacer del fatto che la recidiva sarebbe stata più grave, atteso che sotto altro nome, il ricorrente aveva riportato una ulteriore condanna);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2024