Illegalità della pena: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
L’argomento dell’illegalità della pena rappresenta uno dei motivi più delicati e complessi che possono essere sollevati in un ricorso per Cassazione. Tuttavia, la sua applicazione non è illimitata. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito i confini precisi di questa nozione, dichiarando inammissibile un ricorso che contestava l’aumento di pena per la continuazione tra reati in materia di stupefacenti.
Il caso in esame: ricorso contro l’aumento per continuazione
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare di Bologna. L’imputato era stato condannato per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), in relazione a plurimi episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti a favore di diversi consumatori.
Nel calcolare la pena finale, il giudice di merito aveva applicato un aumento per la continuazione tra i vari reati contestati. Il ricorrente ha impugnato la sentenza sostenendo che tale aumento costituisse una forma di illegalità della pena, poiché, a suo dire, i singoli episodi, avvenuti in un contesto unitario di tempo e luogo, non avrebbero dovuto dare luogo a un aumento per continuazione.
La nozione di illegalità della pena secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile con procedura de plano (ovvero senza udienza, data la manifesta infondatezza), ha colto l’occasione per fare chiarezza su cosa si debba intendere per illegalità della pena.
Richiamando un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (Sentenza n. 877/2022), la Corte ha specificato che la nozione di pena illegale è circoscritta a due ipotesi precise:
1. Quando la pena applicata supera i limiti edittali generali previsti dal codice penale (artt. 23 ss. e 65, 71 ss.).
2. Quando la pena supera i limiti edittali specifici previsti per la singola fattispecie di reato.
In altre parole, si ha una pena illegale solo quando il risultato finale della sanzione è quantitativamente o qualitativamente al di fuori di quanto consentito dalla legge.
Le motivazioni della Corte
Sulla base di questa rigida definizione, la Suprema Corte ha stabilito che gli eventuali errori commessi nei passaggi intermedi del calcolo della pena non integrano, di per sé, un’ipotesi di illegalità della pena. Il fatto che un giudice possa aver erroneamente applicato l’aumento per la continuazione, o commesso altri errori nel percorso logico-matematico che porta alla determinazione della sanzione, è irrilevante ai fini della nozione di pena illegale, a condizione che la pena finale rimanga entro i limiti edittali.
Il motivo del ricorso, pertanto, non era consentito in relazione alla tipologia di sentenza impugnata, poiché non sollevava una vera e propria questione di pena illegale, ma piuttosto un vizio di motivazione o un errore di diritto nel calcolo, che avrebbe dovuto essere fatto valere con altri mezzi di impugnazione, se ammessi.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale in materia di impugnazioni penali: non ogni presunto errore nella commisurazione della pena può essere etichettato come ‘illegale’. La decisione ha importanti implicazioni pratiche, poiché limita la possibilità di ricorrere in Cassazione per motivi attinenti al calcolo della pena, costringendo la difesa a inquadrare correttamente i vizi della sentenza. La Corte, dichiarando l’inammissibilità, ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a sanzione di un ricorso ritenuto palesemente infondato.
È possibile ricorrere in Cassazione sostenendo l’illegalità della pena per un errore nel calcolo dell’aumento per la continuazione tra reati?
No. Secondo l’ordinanza, un errore nel calcolo dell’aumento per la continuazione non integra un’ipotesi di ‘illegalità della pena’, a meno che la pena finale non superi i limiti massimi previsti dalla legge per quel reato o i limiti generali del codice.
Cosa intende la Corte di Cassazione per ‘illegalità della pena’?
L’illegalità della pena si verifica solo quando la sanzione applicata eccede i limiti edittali generali (stabiliti dagli articoli 23, 65, 71 e seguenti del codice penale) o quelli specifici previsti per la singola fattispecie di reato. Non riguarda gli errori nei passaggi intermedi del calcolo.
Qual è stata la decisione finale della Corte nel caso specifico?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23255 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23255 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/04/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BOLOGNA udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; lette/sentite le conclusioni del PG
Ritenuto che il ricorso proposto da NOME avverso la sentenza indicata in epigrafe per il reato di cui all’art. 73, comma 5. D.PR. 309/1990 deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano perché i motivi proposti non sono consentiti in relazione alla tipologia di sentenza impugnata.
L’applicazione della pena in aumento per la continuazione tra reati, in relazione alla detenzione e cessione di più dosi di droga, a favore di più consumatori, non integra una ipotesi di illegalità della pena (motivo per il quale il ricorso è viceversa consentito) stante la nozione di illegalità della pena che va limitata ai casi in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 2 seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, Sentenza n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886), quale, in ipotesi, l’applicazione dell’aumento di pena per la continuazione fra reati quando, in un contesto unitario di tempo e di luogo, siano accertati più fatti di detenzione e cessione.
Rilevato, che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/05/2024