Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23669 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23669 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata a Milano il 06/06/1985 avverso la sentenza del 21/11/2024 della Corte d’appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Torino ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Vercelli nei riguardi di NOME e NOME per furto in abitazione aggravato ex art. 61, n. 5, cod. pen., in tal senso riqualificando l’ originaria contestazione di truffa aggravata. In particolare, la condanna è stata emessa per essersi gli imputati introdotti in casa di COGNOME NOME, qualificandosi falsamente come badanti assunti dalla figlia della COGNOME, e per averla derubata di diversi gioielli , dopo aver distratto l’anziana vittim NOME
La COGNOME ha proposto ricorso a questa Corte avverso la sentenza d’appello . Con un unico motivo, si deduce la falsa applicazione dell’art. 624bis , comma
4, cod. pen. e l’ illegalità della pena inflitta.
Nonostante il fatto fosse aggravato ai sensi degli artt. 624bis , comma 3, e 61, comma 1, n. 5, cod. pen. (e cioè per avere la ricorrente approfittato dell’età avanzata della vittima) , e dunque non fosse aggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen., sarebbe stata illegittimamente applicata la regola di cui all’art. 624bis , comma 4, cod. pen. (divieto di prevalenza o equivalenza delle attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625bis cod. pen.): sicché, fissata la pena base in anni cinque e mesi sei di reclusione e 1.200,00 euro di multa, senza il dovuto bilanciamento, su di essa era stata applicata la riduzione per le circostanze attenuanti generiche.
Parte ricorrente deduce che la regola contenuta nell’art. 624bis , comma 4, cod. pen. non sarebbe estensibile alle circostanze di cui all’art. 61 cod. pen., sicché si sarebbe dovuto operare l’ordinario bilanciamento previsto dall’art. 69 cod. pen.: ciò avrebbe dovuto far ‘necessariamente giungere ad un giudizio di equivalenza tra le circostanze eterogenee’ (p. 5 ricorso).
La Corte territoriale, nel rigettare il motivo di appello proposto per ottenere la riforma in melius del trattamento sanzionatorio, non avrebbe considerato i corretti limiti edittali infliggendo una pena illegale, in violazione degli artt. 1 e 132 cod. pen. e 25, comma 2, e 27 della Costituzione.
Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto la discussione orale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell’imputata, avv. NOME COGNOME con conclusioni scritte pervenute il 27/5/2025, ha dedotto l’impedimento a comparire all’udienza fissata per la discussione e, senza chiedere il rinvio della stessa, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Come chiarito da questa Corte nel suo massimo consesso, «non è illegale la pena conclusivamente corrispondente per genere, specie e quantità a quella legale, anche se determinata attraverso un percorso argomentativo viziato da una o più violazioni di legge: gli errori relativi ai singoli passaggi interni che conducono alla determinazione della pena risultano, infatti, privi di rilievo, ove non abbiano comportato la conclusiva irrogazione di una pena illegale», ovvero
eccedente i limiti edittali previsti dalle singole fattispecie incriminatrici e da quelle sul concorso di più circostanze e di più reati. In conseguenza di tale regola, si è, in particolare, statuito che non è da considerarsi illegale la pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, salvo non ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato: a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886-01).
Ed allora, deve rilevarsi che l’assunto errore che sarebbe stato commesso originariamente dal Tribunale, nel percorso logico compiuto per giungere alla pena finale, non risulta censurato con l’atto d’appello, nel quale la difesa della COGNOME si limitava a dedurre che la pena dovesse ‘essere contenuta anche per l’imputata COGNOME, entro i minimi edittali, ossia anni tre e mesi 4 di reclusione’, ritenendosi ‘congrua una sanzione equivalente a quella del coimputato’ (p. 10 appello Bosco).
Ed è noto che, ex artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte in Cassazione questioni non sollevate coi motivi di appello, tranne non siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e non necessitino di accertamenti di fatto o si tratti di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello (perché, ad esempio, prospettate per la prima volta proprio nel provvedimento impugnato in Cassazione): se così non fosse, sarebbe invero inevitabile l’annullamento del provvedimento a causa di un altrettanto inevitabile, da parte del giudice a quo , difetto di motivazione su una questione sottratta -in ipotesi, anche in modo strumentale -alla sua cognizione, non essendogli stata devoluta (così, tra le tante, Sez. 2, n. 26721 del 26/04/2023, Rv. 284768-02 ).
Orbene, nella specie, si ripete, non fu sollevata alcuna questione, con l’appello, circa l’erronea applicazione normativa qui dedotta ( ex art. 624bis , comma 4, cod. pen.), e la pena, come detto, non può affatto dirsi illegale, rientrando ampiamente nei limiti edittali previsti dalla disposizione applicata, seppur individuata a seguito dell’assunto erroneo percorso argomentativo, censurato per la prima volta in questa sede: con quanto ne consegue in termini di inammissibilità del ricorso.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, non della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in assenza di
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in ragione della peculiarità della vicenda (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 29/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME