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Illegalità della pena: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per furto aggravato. L’imputata lamentava l’illegalità della pena per un errore nel bilanciamento delle circostanze. Tuttavia, la Corte ha stabilito che la questione, non essendo stata sollevata nei motivi d’appello, non poteva essere esaminata per la prima volta in sede di legittimità, poiché la pena inflitta rientrava comunque nei limiti edittali previsti dalla legge e non poteva quindi considerarsi tecnicamente ‘illegale’.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Illegalità della Pena: La Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23669 del 2025, offre un importante chiarimento sui confini del concetto di illegalità della pena e sui limiti procedurali per farla valere. Il caso riguarda un ricorso dichiarato inammissibile perché il vizio nel calcolo della sanzione, pur essendo astrattamente fondato, non era stato eccepito nel precedente grado di giudizio. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

Due persone venivano condannate in primo e secondo grado per furto in abitazione aggravato. In particolare, si erano introdotte nell’abitazione di una persona anziana, fingendosi badanti inviate dalla figlia, e l’avevano derubata di alcuni gioielli dopo averla distratta. La condanna iniziale per truffa aggravata era stata riqualificata in furto in abitazione, con l’aggravante di aver approfittato della particolare vulnerabilità della vittima dovuta all’età.

Il Ricorso in Cassazione e l’Eccezione di Illegalità della Pena

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un’errata applicazione della legge nel calcolo della pena. Secondo la difesa, il giudice di merito avrebbe applicato in modo illegittimo il divieto di prevalenza o equivalenza delle attenuanti generiche, previsto dall’art. 624-bis, comma 4, del codice penale. Questo divieto, secondo la tesi difensiva, non si sarebbe dovuto estendere all’aggravante comune (prevista dall’art. 61 c.p.) contestata nel caso di specie.

Di conseguenza, il giudice avrebbe dovuto procedere a un ordinario bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, che avrebbe potuto portare a una pena più mite. Questo errore di calcolo avrebbe determinato, secondo la ricorrente, una vera e propria illegalità della pena inflitta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due principi fondamentali.

In primo luogo, ha sottolineato che la specifica questione relativa all’erronea applicazione della regola sul bilanciamento delle circostanze non era mai stata sollevata con l’atto d’appello. La difesa, in quella sede, si era limitata a chiedere una riduzione della pena entro i minimi edittali, senza contestare il percorso logico-giuridico seguito dal primo giudice. Secondo un principio consolidato, non possono essere dedotte in Cassazione questioni che non siano state sottoposte al giudice d’appello, salvo che non siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte ha chiarito la nozione di ‘pena illegale’. Citando un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (sent. Sacchettino, 2023), i giudici hanno ribadito che non è illegale una pena che, pur determinata attraverso un percorso argomentativo viziato, rientri comunque per genere, specie e quantità nei limiti edittali previsti dalla norma incriminatrice. Un errore nei passaggi intermedi del calcolo (come un errato bilanciamento) non rende la pena ‘illegale’ se il risultato finale rimane all’interno della cornice edittale. La vera illegalità si configura solo quando la pena inflitta eccede i limiti massimi o è inferiore ai minimi stabiliti dalla legge.

Poiché nel caso di specie la pena finale era ampiamente contenuta nei limiti previsti per il reato di furto in abitazione aggravato, la presunta erroneità del calcolo non la rendeva illegale e, pertanto, la questione non poteva essere rilevata d’ufficio dalla Corte.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio procedurale cruciale: l’importanza di articolare in modo completo e specifico tutti i motivi di doglianza già nell’atto d’appello. Le questioni nuove, salvo rare eccezioni, non possono trovare ingresso nel giudizio di Cassazione. Inoltre, fornisce una lettura rigorosa del concetto di illegalità della pena, distinguendola dal semplice errore di calcolo. Una pena è illegale solo quando fuoriesce dai binari fissati dal legislatore (i limiti edittali), non quando il percorso per arrivarci presenta dei vizi argomentativi che, tuttavia, non alterano la conformità del risultato finale alla legge.

Quando una pena può essere considerata ‘illegale’ secondo la Cassazione?
Una pena è considerata ‘illegale’ non quando è frutto di un percorso argomentativo viziato (ad esempio, un errato bilanciamento di circostanze), ma solo quando eccede i limiti edittali (minimo e massimo) previsti dalla legge per quel reato.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione un errore nel calcolo della pena?
No, di regola non è possibile. La Cassazione ha stabilito che questioni non sollevate con i motivi di appello non possono essere dedotte per la prima volta in sede di legittimità, a meno che non si tratti di una pena ‘illegale’ (cioè fuori dai limiti edittali) o di altre questioni rilevabili d’ufficio.

Qual è la conseguenza se un motivo di ricorso non è stato presentato nell’atto di appello?
La conseguenza è l’inammissibilità del motivo di ricorso in Cassazione. Il giudice di legittimità non può esaminare nel merito una questione che non è stata devoluta alla cognizione del giudice del grado precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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