Patteggiamento e Illegalità della Pena: i Chiarimenti della Cassazione
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui limiti all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, tracciando una linea netta tra un calcolo della pena semplicemente ‘errato’ e una pena effettivamente ‘illegale’. La Corte di Cassazione, con questa decisione, consolida un principio fondamentale per la stabilità degli accordi processuali, chiarendo cosa si intenda per illegalità della pena e quando questa possa giustificare un ricorso.
I Fatti del Caso: Un Ricorso del Pubblico Ministero
Il caso nasce dal ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello avverso una sentenza di applicazione della pena (patteggiamento) emessa dal Tribunale. Secondo il Procuratore, la pena inflitta all’imputato, accusato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), era illegittima. La doglianza si fondava sulla mancata applicazione dell’aumento di pena previsto per il concorso formale di reati (art. 81, comma 1, c.p.), poiché la condotta di resistenza era stata posta in essere nei confronti di più agenti di polizia. In sostanza, il PM riteneva che la pena base dovesse essere aumentata per tener conto della pluralità di soggetti offesi, un passaggio che il primo giudice aveva omesso.
L’interpretazione della Cassazione sull’illegalità della pena
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella rigida interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Tale norma limita drasticamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. L’appello è consentito solo per questioni tassativamente indicate, tra cui l’erronea qualificazione giuridica del fatto e, appunto, l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La Differenza tra Pena “Illegittima” e Pena “Illegale”
La Corte chiarisce la distinzione cruciale tra un vizio nel processo di determinazione della pena e l’illegalità della pena in sé. Il Procuratore lamentava un’illegittimità nel calcolo, ovvero un errore nel percorso logico-giuridico che ha portato alla quantificazione finale. Tuttavia, la nozione di “pena illegale” ha un significato molto più ristretto.
Una pena è considerata illegale solo quando:
1. Supera i limiti edittali massimi previsti dalla norma incriminatrice o dalle disposizioni generali del codice (artt. 23 ss. e 71 ss. c.p.).
2. È di specie diversa da quella prevista dalla legge per quel reato.
Un errore nei passaggi intermedi del calcolo, come la mancata applicazione di una circostanza aggravante o, come nel caso di specie, dell’aumento per il concorso formale, non rende la pena “illegale” se il risultato finale rimane comunque all’interno della cornice edittale prevista per il reato più grave.
Le motivazioni della decisione
La Corte, richiamando un autorevole precedente delle Sezioni Unite (sent. Sacchetino, n. 877/2023), ha ribadito che il controllo di legittimità sulla pena patteggiata è limitato alla sua legalità in senso stretto. Il legislatore ha voluto conferire stabilità alle sentenze di patteggiamento, frutto di un accordo tra le parti. Permettere ricorsi per ogni presunto errore di calcolo minerebbe questa finalità. Il ricorso del Procuratore non contestava che la pena finale fosse fuori dai limiti legali, ma si concentrava sul metodo con cui era stata calcolata. Poiché tale motivo non rientra nel perimetro dell’illegalità della pena, il ricorso è stato correttamente dichiarato inammissibile.
Le conclusioni e le implicazioni pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, volto a preservare l’istituto del patteggiamento. Le parti, e in particolare il pubblico ministero, devono prestare la massima attenzione in fase di accordo sulla pena, poiché gli spazi per una successiva rinegoziazione in sede di impugnazione sono estremamente ridotti. La decisione sottolinea che solo un’evidente e grave violazione dei limiti legali può aprire le porte a un ricorso, lasciando fuori dal sindacato di legittimità le questioni relative alla mera discrezionalità del giudice o agli errori di calcolo che non intaccano la legalità finale della sanzione.
Quando può essere impugnata una sentenza di patteggiamento per vizi della pena?
Secondo la Corte, una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo se la pena è ‘illegale’, cioè se eccede i limiti minimi o massimi previsti dalla legge per quel reato o è di specie diversa da quella prevista. Non è sufficiente che vi sia stato un errore nel calcolo intermedio.
Qual è la differenza tra pena ‘illegale’ e determinazione ‘illegittima’ della pena?
La pena è ‘illegale’ solo quando è quantitativamente o qualitativamente al di fuori dei confini stabiliti dalla legge. La determinazione è ‘illegittima’ quando il giudice commette un errore nel percorso di calcolo (es. omette un aumento), ma la pena finale rientra comunque nei limiti legali. Solo la pena ‘illegale’ è motivo di ricorso.
Perché il ricorso del Procuratore Generale è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché contestava la mancata applicazione di un aumento di pena, un vizio relativo al metodo di calcolo (determinazione) e non alla ‘illegalità’ della sanzione finale, che era comunque all’interno dei limiti edittali previsti dalla legge. Questo motivo non è tra quelli ammessi dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43984 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43984 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato il 26/08/1994
avverso la sentenza del 07/11/2023 del TRIBUNALE di RAVENNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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OSSERVA
Ritenuto che, con unico motivo, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna ricorre avverso la sentenza di applicazione emessa nei confronti di NOME COGNOME per illegittimità della pena inflitta e, segnatamente, per violazione dell’art. 81, comma primo, cod. pen., in relazione al mancato aumento della pena per il concorso formale di reati nella condotta di cui all’art. 337 cod. pen., in quanto la condotta di resistenza sarebbe stata posta in essere ai danni di più operanti di polizia;
Rilevato che il motivo è manifestamente infondato;
Ritenuto, infatti, che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., limita l’impugnabilità delle sentenze di applicazione della pena alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (ex plurimis: Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761 – 01; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278337; Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272014) e, dunque, «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza»;
Considerato che il pubblico ministero ricorrente ha dedotto l’illegittimità della determinazione della pena nel caso di specie e non già la sua illegalità, in quanto la pena è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevand il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 31 ottobre 2024.