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Illegalità della pena: Cassazione annulla patteggiamento

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di patteggiamento per illegalità della pena, poiché il giudice aveva applicato una pena base superiore al massimo edittale previsto dalla legge per il reato contestato. La Corte ha chiarito che, a seguito della riforma, il ricorso contro il patteggiamento è ammesso solo per motivi tassativi, tra cui rientra l’illegalità della pena, ma non la generica carenza di motivazione. Di conseguenza, ha accolto il ricorso di due imputati, annullando la loro condanna, e ha dichiarato inammissibili i ricorsi degli altri tre, che lamentavano un vizio di motivazione.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Illegalità della pena: la Cassazione annulla un patteggiamento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 19693/2025) ha riaffermato un principio fondamentale in materia di patteggiamento: l’accordo sulla pena, per essere valido, deve rispettare scrupolosamente i limiti edittali previsti dalla legge. Quando ciò non avviene, si configura una illegalità della pena che rende la sentenza annullabile. Questo caso offre un’importante lezione sui ristretti limiti di impugnazione delle sentenze di patteggiamento dopo la riforma del 2017.

I Fatti del Processo

Cinque persone venivano condannate dal GUP del Tribunale di Salerno per reati legati agli stupefacenti, a seguito di un accordo di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto ‘patteggiamento’). Le pene applicate variavano da tre anni e sei mesi a quattro anni e quattro mesi di reclusione, oltre a significative pene pecuniarie.

Insoddisfatti della decisione, tutti gli imputati proponevano ricorso per cassazione, ma con motivazioni distinte.

I Motivi del Ricorso

I ricorsi presentati possono essere divisi in due gruppi:
1. Primo Gruppo (tre ricorrenti): Questi imputati lamentavano un vizio di omessa motivazione. Sostenevano che il giudice non avesse adeguatamente verificato la possibilità di un proscioglimento immediato per insussistenza del fatto o per altre cause previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.
2. Secondo Gruppo (due ricorrenti): Questi imputati, invece, denunciavano una violazione di legge ben più specifica: l’illegalità della pena. Essi evidenziavano come il giudice avesse determinato la condanna partendo da una pena base (sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa) sproporzionata e, soprattutto, superiore al massimo previsto dalla legge per il reato contestato (art. 73, comma 5, T.U. Stupefacenti), che all’epoca dei fatti andava da sei mesi a quattro anni di reclusione.

L’analisi della Cassazione sulla illegalità della pena

La Corte di Cassazione ha analizzato i ricorsi separatamente, giungendo a conclusioni opposte. La chiave di volta della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla riforma del 2017, che ha limitato drasticamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

La norma consente il ricorso solo per motivi specifici, tra cui l’erronea qualificazione giuridica del fatto e, appunto, l’illegalità della pena.

Le Motivazioni

Per il primo gruppo di ricorrenti, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi. La motivazione è netta: il vizio di omessa motivazione sulla sussistenza delle condizioni per il proscioglimento non rientra più tra i motivi tassativamente previsti dal citato art. 448, comma 2-bis. Pertanto, una volta che le parti si sono accordate sulla pena, non è più possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice su questo aspetto, a meno che non emerga un errore di diritto tra quelli consentiti.

Per il secondo gruppo, invece, la Corte ha ritenuto il ricorso fondato. La doglianza non riguardava una valutazione discrezionale del giudice, ma un errore oggettivo e grave. Applicare una pena base superiore al massimo edittale costituisce una palese illegalità della pena. La pena, infatti, non è solo ingiusta, ma è ‘contra legem’, cioè contraria alla legge stessa. Questo vizio è così grave da poter essere dedotto anche tramite ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai due ricorrenti che avevano denunciato l’illegalità della pena, trasmettendo gli atti al Tribunale di Salerno per un nuovo esame della richiesta di patteggiamento. Per gli altri tre, i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, con condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Questa decisione ribadisce che, sebbene il patteggiamento sia un accordo tra le parti, il giudice mantiene un ruolo di garante della legalità. L’accordo non può mai portare all’applicazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento, confermando che il controllo sulla legalità della pena rimane un caposaldo del nostro sistema processuale, anche nei riti alternativi.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per vizi di motivazione?
No. A seguito della riforma introdotta con la L. 103/2017, l’art. 448, comma 2-bis, cod.proc.pen. limita i motivi di ricorso a casi tassativi, tra i quali non rientra più il vizio di motivazione, come ad esempio la mancata valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 cod.proc.pen.

Cosa si intende per “illegalità della pena” in un ricorso contro un patteggiamento?
Si intende l’applicazione di una pena che non rispetta i limiti stabiliti dalla legge per un determinato reato. Nel caso di specie, il giudice aveva calcolato la pena partendo da una base superiore al massimo edittale previsto dalla norma incriminatrice, rendendo la sanzione illegale e, quindi, la sentenza annullabile.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
La declaratoria di inammissibilità comporta non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte nel caso dei primi tre ricorrenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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