Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
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sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE l, nato al
RAGIONE_SOCIALE omissis
IARIO avverso la sentenza del 07/06/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; RAGIONE_SOCIALE IL udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; 7ttana letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Manuali NOME ai sensi dell’art. 23, comma 8, del D.L. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 giugno 2023, la Corte d’appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del 23 febbraio 2022, con la quale il Tribunale di Milano aveva condannato C.A. I. in relazione: al reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter, secondo comma, cod. pen., per aver convinto la minore NOME.RAGIONE_SOCIALE I, nata il omissis affetta da disabilità cognitiva e svantaggio socio ambientale, ad abbandonare la comunità SOS di Saronno e a
seguirlo presso la sua abitazione, fornendole ospitalità e usandole violenza, consistita nel gesto repentino di spingerla contro la porta chiusa a chiave, trattenendola, ed averla costretta a subire un rapporto sessuale completo, contro il dissenso della stessa, con l’aggravante di avere commesso il fatto in danno a minore degli anni 14; al reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter, secondo comma, cod. pen., per aver costretto, nel sottopasso di una stazione ferroviaria, la medesima persona offesa, spingendola contro le scale di tale sottopasso, a subire un rapporto sessuale, con l’aggravante di avere commesso il fatto in danno a minore degli anni 14 (fatti commessi in Milano nel mese di aprile 2017). La sentenza di appello ha rideterminato la pena in anni cinque di reclusione relativamente al primo reato, previa riqualificazione del fatto in quello descritt dall’art. 609 quater cod. pen., avendo escluso, a seguito della rivalutazione del narrato della persona offesa, la sussistenza di una condotta violenta dell’imputato, e assolto quest’ultimo in relazione al secondo reato, perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, la difesa lamenta il vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di rispondere alla censura, proposta nell’atto di appello, relativa all’omessa notifica del mutamento del capo di imputazione. Deduce il difensore che l’imputato non è stato messo a conoscenza della modifica, notificata al domicilio del precedente difensore che aveva rinunciato al mandato, in quanto le condizioni psichiche dell’imputato, affetto da disturbi che ne pregiudicano la “connessione con la realtà”, hanno impedito a quest’ultimo di acquisire conoscenza del procedimento penale, come prova il fatto che lo stesso non ha mai avuto contatti con l’attuale difensore né con quello che lo ha assistito nel primo grado di giudizio. Pertanto – secondo il ricorso – una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di notifica, impone di effettuare le ricerche dell’imputato sia per la notifica effetti del decreto di citazione a giudizio, sia per quella del capo di imputazione.
2.2. Con un secondo motivo, la difesa lamenta il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della responsabilità penale dell’imputato e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Sotto un primo profilo, la motivazione non darebbe conto dell’incapacità del C.A. di rendersi conto del proprio operato, testimoniata dalle relazioni dell’Ospedale Sacco, dove l’imputato era in cura per l’infezione da HIV, in cui era evidenziato il distaccamento di quest’ultimo dalla propria condizione clinica.
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Sotto un secondo profilo, si sostiene che la Corte di appello ha omesso di motivare in ordine alla conoscenza della minore età della persona offesa, avendo recepito le dichiarazioni di quest’ultima, lacunose e contraddittorie, al punto da non permettere di identificare le circostanze della violenza, che per questa ragione è stata esclusa dalla Corte d’appello. Secondo la difesa, il C.A. non poteva rendersi conto dell’età anagrafica della persona offesa: 1) per via degli atteggiamenti autodistruttivi e di fuga di quest’ultima; 2) per l’essere stata questa ad approcciare l’imputato; 3) per avere seguito l’imputato al suo domicilio, e avere avuto con questo ripetuti incontri, senza mai palesare la propria età; 4) per l’assenza di una condotta di violenza; 5) per i rapporti intrattenuti con l’imputato e con la madre di quest’ultimo dopo la presunta violenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, in tema di impugnazione, il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sens dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su qual profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i mo aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificità del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011).
Le considerazioni che precedono si attagliano al primo motivo di censura, con cui si lamenta l’omessa motivazione in riferimento alla mancata conoscenza della modifica del capo di imputazione, perché formulato in modo non specifico. 2.1. La notificazione del verbale contenente la contestazione integrata, a seguito della modifica del capo di imputazione, segue le regole prescritte per la notifica degli atti processuale, e viene perciò effettuata presso lo studio del difensore di fiducia, inizialmente eletto dall’imputato. Nell’ipotesi in cu difensore abbia successivamente rinunciato al mandato, tale rinuncia non condiziona invece anche l’elezione di domicilio. Si tratta, infatti, di atti divers primo, attinente al rapporto contrattuale tra difensore ed imputato, la seconda, all’individuazione del luogo ove indirizzare le notifiche degli atti de procedimento, che si ritengono conosciuti quando raggiungono tale luogo. Dunque, se il difensore rinuncia al mandato senza dichiarare anche di non accettare più le notifiche relative al procedimento, l’elezione di domicilio rimane valida e costituisce comunque un indice da cui dedurre la conoscenza da parte dell’imputato del procedimento penale in corso, salvo che a fronte della dichiarazione rituale operata dal difensore all’autorità procedente di non accettare notifiche presso il proprio studio (ex multis, Sez. 6, n. 44156 del 03/11/2021 Rv. 282265 – 02), ovvero che venga fornita la prova di fatti tali da dimostrare l’effettiva rottura del rapporto tra il difensore e l’imputato, tali rendere impossibile la conoscenza dell’atto, e che la mancata conoscenza non sia discesa da colpevole disinteresse al procedimento penale (Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022, Rv. 283019; Sez. 3, n. 15760 del 16/03/2016, Rv. 266583). L’adesione a questo indirizzo interpretativo implica: a) che sia ritenuta la ultrattiva validità dell’elezione di domicilio presso il difensore che rinunci mandato; b) che sia confermata la idoneità ad integrare la conoscenza del processo dell’elezione di domicilio effettuata presso il difensore di fiducia; c) che sia effettuata, in concreto, la verifica circa la sussistenza di eventuali elementi che provino la mancata conoscenza del processo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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2.2. Con riferimento al caso di specie, la Corte d’appello ha constatato la persistente validità dell’elezione di domicilio presso il difensore, il quale aveva rinunciato al mandato, e che la notifica della contestazione integrata era stata regolarmente effettuata presso tale domicilio. Il giudicante ha ritenuto tale notifica idonea a portare l’imputato a conoscenza della modifica della contestazione e ha specificato che il Tribunale aveva concesso un termine a difesa di quindici giorni, per permettere al nuovo difensore di entrare in contatto con il COGNOME, coi garantendo, anche in concreto, l’esercizio del diritto di difesa. Né il nuovo difensore ha addotto argomenti tali da sconfessare questa presunzione, non avendo dimostrato la presenza di ostacoli che avessero impedito, sul piano fattuale, la conoscenza dell’esistenza del processo penale o della modifica dell’imputazione. Tale dimostrazione, tuttavia, non può ritenersi ragionevolmente integrata dal solo rilievo che l’imputato non è entrato in contatto con i difensori a causa del proprio stato di alienazione. La difesa avrebbe dovuto, infatti, specificamente allegare le ragioni per le quali la pretesa alienazione dell’imputato avesse reso impossibile tale contatto.
Il secondo motivo, con cui si lamenta l’omessa motivazione in ordine all’incapacità di intendere e alla mancata conoscenza dell’età dell’offesa da parte dell’imputato, è inammissibile per analoghe ragioni.
3.1. Il giudicante ha ripercorso i complessi rapporti tra il RAGIONE_SOCIALE C.A. RAGIONE_SOCIALE e la persona offesa, che, in base al narrato di quest’ultima – per come ricostruito nel giudizio di appello – non si riducevano al compimento dei due atti sessuali oggetto dell’imputazione, ma consistevano anche in altri momenti, in cui l’imputato veniva presentato dalla minore come il fidanzato o accompagnava quest’ultima in Comunità o dalla neuropsichiatra. La descrizione contenuta nella sentenza riporta l’esistenza di un rapporto che prosegue per mesi fino alla rottura dovuta alla rabbia della persona offesa che aveva scoperto di essere stata contagiata dal virus HIV, a causa dei rapporti sessuali. Tanto che, per questa ragione, il giudice di appello ha escluso l’esistenza di una violenza diretta al rapporto sessuale, non riscontrabile dal narrato della persona offesa, con conseguente riqualificazione del fatto, in considerazione dell’età della stessa, ai sensi dell’art. 609 -quater cod. pen. Data la durata e la sostanza del rapporto tra le parti, era ragionevole dedurre – secondo la corretta valutazione dei giudici di secondo grado – che il C.A. si rendesse conto del fatto di aver instaurato una relazione all’interno della quale i rapporti sessuali si inserivano, rimanendo del tutto ipotetica la prospettazione difensiva tesa a sostenere la sua incapacità di intendere o di volere. Sul punto, i giudici di merito evidenziano che le relazioni dei medici dell’ospedale, pur dimostrando il distacco dell’imputato dalla propria
malattia, non valgono a dimostrare anche che questi non avesse la capacità di comprendere di aver intrapreso la natura dei suoi rapporti con la persona offesa.
3.2. Quanto al profilo relativo all’errore sull’età della persona offesa, occorre premettere che l’art. 609-sexies stabilisce che, anche in relazione al reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., «il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile». Tuttavia, nel caso in esame, il ricorso non dimostra in alcun modo l’esistenza di un errore inevitabile sull’età della persona offesa. Nella ricostruzione fatta propria dal giudice di appello, infatti, emerge che l’imputato aveva avuto una frequentazione di durata con la persona offesa, la quale aveva coinvolto la madre di questa, a cui era stato presentato come fidanzato, nonché altri soggetti, successivamente chiamati a deporre; in tale frequentazione, la persona offesa aveva passato qualche giorno a casa dell’imputato, il quale perciò aveva avuto accesso ad informazioni indubbiamente riservate della sua vita, come mostra il fatto che l’avesse accompagnata dal neuropsichiatra ed in Comunità. Era del tutto ragionevole allora ritenere che il C.A. conoscesse la persona offesa ben oltre l’apparenza, e dunque che ne conoscesse anche l’età. Né tale assunto può essere scalfito logicamente dagli elementi riportati dalla difesa, che poggiano sull’atteggiamento autodistruttivo e spigliato della persona offesa, che seguiva l’imputato a casa sua, vi si tratteneva e consumava con lui un rapporto sessuale: infatti, anche se tali comportamenti potevano essere indizio di una certa maturità, certamente non autorizzavano a presumere alcunché circa l’età della vittima, la quale era stata descritta all’imputat espressamente come una bambina dalla G.
In ogni caso, anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve rilevarsi, in punto di diritto, che l’ignoranza inevitabile circa l’età della perso offesa è configurabile solo se l’agente, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne fosse maggiorenne; ne consegue che non sono sufficienti, a tale fine, elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipic maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’età, provenienti dal minore o da terzi, nemmeno se contemporaneamente sussistenti (ex multis, Sez. 3, n. 13312 del 07/03/2023, Rv. 284321; Sez. 3, n. 775 del 04/04/2017, dep. 11/01/2018, Rv. 271862; Sez. 3, n. 12475 del 18/12/2015, dep. 24/03/2016, Rv. 266484).
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
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inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2024