Idoneità delle Armi: Basta la Foto? La Cassazione Chiarisce
Il tema della prova nel processo penale è da sempre un campo di grande dibattito. In particolare, quando si tratta di reati legati alle armi, sorge spesso una domanda cruciale: come si dimostra che un’arma o una munizione è effettivamente in grado di funzionare? È sempre necessario un accertamento tecnico-scientifico? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione fornisce una risposta pragmatica, sottolineando come l’idoneità delle armi possa essere provata anche attraverso elementi logici e documentali, senza ricorrere obbligatoriamente a una perizia.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria trae origine da un procedimento a carico di due congiunti, ai quali veniva contestato il reato di detenzione abusiva di armi ai sensi dell’art. 697 del codice penale. Nello specifico, durante un controllo, venivano rinvenuti dei pugnali nella camera da letto di uno degli imputati e delle cartucce nella disponibilità dell’altro, che le consegnava spontaneamente agli agenti.
Condannati in appello, i due ricorrevano in Cassazione lamentando un vizio fondamentale nella ricostruzione accusatoria: l’assenza di una prova certa sulla reale capacità offensiva dei pugnali e sull’efficienza delle cartucce. A loro avviso, solo un accertamento peritale avrebbe potuto confermare l’idoneità delle armi e delle munizioni sequestrate, elemento costitutivo indispensabile per la configurabilità del reato contestato.
La Prova dell’Idoneità delle Armi Secondo la Corte
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, definendolo ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno chiarito che, sebbene l’idoneità dell’arma sia un presupposto necessario del reato, la sua dimostrazione non è legata a un’unica tipologia di prova. Il giudice di merito può formare il proprio convincimento basandosi su un ragionamento logico supportato da elementi probatori di diversa natura.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto provata l’idoneità degli oggetti sulla base di due pilastri probatori:
1. La testimonianza dell’agente di Polizia Giudiziaria: Il teste aveva dichiarato che i coltelli erano ‘ben affilati’.
2. La documentazione fotografica: Le immagini agli atti non mostravano difetti o danni tali da far supporre l’inservibilità sia dei pugnali che delle cartucce.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha avallato pienamente il ragionamento dei giudici di merito. Per quanto riguarda le cartucce, la loro efficienza è stata logicamente desunta dalle modalità di conservazione: essendo custodite all’interno di un’abitazione, in un luogo chiuso e al riparo da agenti atmosferici come acqua o umidità, era ragionevole presumere che avessero mantenuto la loro capacità esplodente. Tale presunzione era ulteriormente rafforzata dall’integrità esteriore visibile nelle fotografie.
Similmente, per i pugnali, la testimonianza sulla loro affilatura, unita all’assenza di danni evidenti nelle foto, è stata considerata prova sufficiente della loro concreta capacità di offendere.
I giudici hanno quindi concluso che non sussisteva alcun ‘vulnus probatorio’ (ferita probatoria). Richiedere un accertamento peritale in un contesto del genere sarebbe stato superfluo e, nel caso di specie, anche impraticabile, dato che il materiale sequestrato era già stato distrutto.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio di economia processuale e di valorizzazione della prova logica. Stabilisce che, in assenza di elementi concreti che facciano dubitare della funzionalità di un’arma o di munizioni, il giudice può legittimamente basare la sua decisione su prove più semplici come testimonianze qualificate e documentazione visiva.
L’insegnamento pratico è duplice. Da un lato, per l’accusa, evidenzia l’importanza di documentare accuratamente lo stato dei reperti sin dal momento del sequestro. Dall’altro, per la difesa, chiarisce che una semplice contestazione generica sull’assenza di perizia non è sufficiente a invalidare una condanna, se vi sono altri elementi chiari, precisi e concordanti che dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, la piena idoneità delle armi.
È sempre necessaria una perizia tecnica per provare che un’arma è funzionante?
No, secondo questa decisione della Corte di Cassazione, una perizia tecnica non è sempre indispensabile. L’idoneità dell’arma può essere provata anche attraverso altre prove, come testimonianze qualificate e documentazione fotografica, se queste sono sufficienti a dimostrarne la capacità offensiva.
Quali prove possono sostituire una perizia sull’idoneità delle armi?
Possono sostituire una perizia elementi come la testimonianza di un agente di polizia (ad esempio, sull’affilatura di una lama), la documentazione fotografica che attesta l’integrità e l’assenza di danni, e le modalità di conservazione delle munizioni (ad esempio, in un luogo asciutto e protetto).
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato ‘manifestamente infondato’?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con motivi palesemente privi di pregio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6696 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6696 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CASALMAGGIORE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a LEGNAGO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure di cui al primo e al secondo motivo del ricorso congiunto di NOME COGNOME e NOME COGNOME – nei quali il difensore lamenta l’impossibilità di verificare la natura di armi degli oggetti sequestrati nella disponibilità degli imputati e la violazione degli artt. 194 e ss. cod. proc. pen. – sono manifestamente infondate, oltre che aspecifiche a fronte delle argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici della sentenza di appello.
In essa, invero, si evidenzia che sicuramente sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 697 cod. pen. sia la detenzione dei pugnali rinvenuti nella camera da letto di NOME sia la detenzione delle cartucce rinvenute nella disponibilità di NOME COGNOME (dal medesimo, invero, spontaneamente consegnate agli operanti). E si osserva, con riguardo in particolare all’idoneità all’impiego sia dei pugnali che delle cartucce, presupposto necessario della fattispecie, che : – il teste di Polizia giudiziaria ha riferito che coltelli erano ben affilati e che dalla documentazione fotografica non emergono danni o difetti da poter comportarne l’inservibilità; – l’efficienza delle cartucce può essere agevolmente desunta sia dalle modalità di conservazione delle stesse, custodite invero all’interno dell’abitazione e dunque in un luogo chiuso, al riparo da acqua e precipitazioni (che potessero comprometterne l’efficienza rendendole non offensive), sia dall’integrità delle stesse quale evincibile dalla documentazione fotografica, non rendendosi, pertanto, necessario un accertamento peritale al fine di verificarne la capacità esplodente (nel caso in esame, peraltro, non praticabile, stante l’intervenuta distruzione del materiale in sequestro).
Rilevato, pertanto, che i ricorsi – che insistono sul mancato approfondimento dell’idoneità all’impiego delle armi e delle cartucce sequestrate e lamentano un vulnus probatorio inesistente, considerato che nella analitica e logica ricostruzione della Corte le dichiarazioni del teste di P.g. risultano riscontrate dalla documentazione fotografica – devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.