Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25357 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25357 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nata a Catania il 02/11/1983
avverso la sentenza del 06/02/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata venga annullata con rinvio;
letta la nota difensiva dell’Avv. NOME COGNOME, difensore di COGNOME NOME COGNOME il quale, nell’associarsi alle conclusioni del Pubblico Ministero, ha insistito nei motivi di ricorso e nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 06/02/2025, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del 02/07/2021 del Tribunale di Reggio Calabria, previa applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen., rideterminava in otto mesi di reclusione ed € 800,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per il reato di truffa in concorso (con NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME.
;
Secondo il capo d’imputazione, tale reato era stato contestato alla COGNOME «perché, in concorso morale e materiale tra loro, con artifici e raggiri consistiti nel pubblicizzare falsamente sul social network Facebook l’offerta di vendita di diversi capi di abbigliamento tra i quali una borsa, una tuta ed un bracciale, nel richiedere per la vendita dei suddetti articoli un prezzo particolarmente conveniente pari ad C 71,90, nel comunicare il proprio numero di telefono 380-1328116 (intestato a COGNOME NOME NOMECOGNOME e nel fornire per telefono mediante l’applicativo Whatsapp rassicurazioni circa le modalità di conclusione dell’affare e di esecuzione della compravendita, inducevano in errore sulla serietà di quella offerta COGNOME NOME e così si procuravano l’ingiusto profitto consistente nella disponibilità della somma pari ad C 71,90 con pari danno per la persona offesa, somma che ricevevano dalla persona offesa mediante versamento sulla carta Postepay Evolution nr. NUMERO_CARTA intestata a La Pace NOME quale prezzo per l’acquisto della merce sopraindicata, senza tuttavia consegnare né spedire i beni compravenduti e rendendosi poi irreperibili».
Avverso la menzionata sentenza del 06/02/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME.
La ricorrente afferma che la sentenza impugnata sarebbe «compromessa sia nella ricostruzione degli elementi di prova, sia pure nella corretta applicazione delle norme di diritto, in violazione dell’art. 68 c.p.p., con errore sull’identità fisi dell’imputata, alla quale è stata ricondotta l’intestazione dell’utenza telefonica recante il numero 380-132816», con le conseguenti: a) mancanza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.; b) omessa valutazione e travisamento di prova; c) mancata assunzione di una prova decisiva, «avendone, la parte, fatto richiesta (travisamento per omissione)», ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.; d) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
2.1. La Grasso denuncia in particolare la mancanza e la contraddittorietà della motivazione per «nsufficienza della prova e ragionevole dubbio circa l’identità fisica dell’imputata alla quale è stata ricondotta l’intestazione dell’utenza telefonica recante il numero 380-13 28116».
Secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata non osserverebbe «i principi indicati da codesta Suprema Corte di Cassazione (sentenza nr. 20165/2024 ) nella fattispecie del tutto sovrapponibile e speculare alla presente, riguardante la medesima imputata e la stessa utenza 38013 28116».
La Grasso: a) asserisce di non avere mai ricevuto alcuna notificazione né degli atti riguardanti la fase delle indagini preliminari né del decreto che ha disposto il giudizio di primo grado, circostanza, questa, che «e venisse comprovata, emergerebbe la richiamata inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità»; b) la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva rigettato la richiesta del proprio difensore, che era stato nominato solo il 04/02/2025, di differimento della trattazione del giudizio o, in via subordinata, di rimessione nel termine per presentare memorie e «allegare documenti e prove decisive a discolpa della Grasso (in tal senso, il richiamo alla sentenza di assoluzione per non avere commesso il fatto nel proc. pen. n. 13156/2018 RGNR – n. 349/2022 – Tribunale di Catania – sentenza del 17.01.2025, in attesa di motivazione ), riguardante altro episodio sovrapponibile al presente giudizio, laddove era emersa la prova positiva dell’assoluta ed evidente non riconducibilità della firma all’attuale COGNOME NOME con quelle apposte da altra omonima o sedicente COGNOME NOME per cui era processo; firme rinvenute sui contratti acquisiti agli atti del giudizio».
La ricorrente espone che, con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe fondato il giudizio di colpevolezza esclusivamente sulle risultanze degli atti a firma dell’agente COGNOME «ma che fanno semplice riferimento all’abbinamento anagrafico della titolarità dell’utenza 380-13 28116 alla Grasso, ricostruito attraverso l’accesso da parte delle Forze di Polizia e dell’Autorità Giudiziaria al Centro elaborazione dati (C.e.d.) del Ministero dell’interno, per il tramite del sistema informatico Elenco Telefonico Nazionale (E.T.NA)».
In realtà, sussisterebbe «il ragionevole e comprovato dubbio che tale utenza 380-13 28116 fosse intestata – sul rapporto di indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Termini Imerese nel procedimento nr. 4810/2018 RGNR – ad altra COGNOME NOME nata a Catania il 03/05/1983, omonima dell’odierna imputata, nata a Catania il 2.11.1983. Prova ne sia che l’attività investigativa fu compiuta e conclusa nei confronti della COGNOME NOME, nata a Catania il 03.05.1983, omonima dell’odierna ricorrente e che risultava effettiva titolare dell’utenza 380-13 28116».
La Grasso deduce che, «in assenza del contratto sottoscritto e della documentazione allegata», «il riscontro E.T.NA. acquisito dal Tribunale di Reggio Calabria altro non è se non la copia di un Elenco Telefonico Nazionale, in uso esclusivo della P.G.», il quale «non rientra, ai sensi dell’art. 234 C.p.p., tra i “documenti” di cui è consentita l’acquisizione al fine della prova». L’attestazione dell’E.T.NA., in quanto consultabile solo dalla polizia giudiziaria o dall’autorità giudiziaria e non consultabile né verificabile dall’imputata e dal suo difensore,
sarebbe inutilizzabile ai fini della decisione e non potrebbe in alcun modo assurgere al rango di unica prova di colpevolezza, pena l’inosservanza di norme processuali. Ciò tanto più allorquando «vi è la prova che, da indagini svolte da altro Ufficio giudiziario, l’anagrafica RAGIONE_SOCIALE ha fatto corrispondere la titolarità dell’utenza mobile 380-13 28116 ad altra COGNOME NOME, quella nata a Catania il 03.05.1983». Né era stata «acquisita la prova documentale, ovvero il contratto della Sim abbinata al numero 380-13 28116, unico “documento” da cui poteva essere ricavata una “prova processuale”».
2.2. La Grasso invoca poi le «rove sopravvenute alla sentenza di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa».
In particolare, « contratti, nominalmente riconducibili all’odierna ricorrente, non sono stati certamente sottoscritti dalla stessa».
Anche la firma, che risulta apposta sul contratto che è stato acquisito nell’ambito nel procedimento penale n. 13156/2018 R.G.N.R., n. 349/2022 R.G. del Tribunale di Catania, sarebbe «macroscopicamente difforme da quella rilevabile dagli atti (notificazioni, elezioni di domicilio) contenuti del fascicolo n presente giudizio».
È sulla base di «tale corredo probatorio» che il Tribunale di Catania l’avrebbe assolta per non avere commesso il fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze della ricorrente sono fondate, nei termini che seguono.
Con la sentenza n. 2065 del 19/04/2024, relativa a una fattispecie di truffa in concorso (aggravata a norma del n. 2-bis del secondo comma dell’art. 640 cod. pen.) apparentemente analoga a quella che viene qui in rilievo e che vedeva imputata sempre l’odierna ricorrente, questa Seconda sezione penale, nell’accogliere il ricorso che era stato dalla stessa presentato, con il conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata, aveva rilevato, sulla base di plurimi elementi, come «non si sia raggiunta, alla luce della regula iuris del doveroso superamento del dubbio ragionevole, la certezza che l’odierna ricorrente sia la effettiva titolare (oltre che la esclusiva utilizzatrice) dell’utenza mobi 380.1328116», «ovvero ancora che non esista un’altra persona di nome NOME COGNOME nata a Catania il 03/05/1983».
Questa Seconda sezione penale concludeva quindi che, «olo in tali casi che necessariamente presuppongono l’accertamento della ricorrenza di un mero errore materiale nell’identificazione di una stessa persona – non sufficientemente chiariti dai giudici di merito, superati i dubbi sull’identità personale conseguenti alla rilevata parziale omonimia, l’accusa potrebbe ritenersi validamente elevata a carico della odierna ricorrente».
Anche nell’attuale apparentemente analoga fattispecie, l’unico elemento che
è stato posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità della ricorrente, in quanto colei che avrebbe tenuto i contatti con la persona offesa e concluso con lei
il negozio truffaldino mediante l’applicativo Whatsapp, creando anche un gruppo, sempre su Whatsapp, è costituito dalla ritenuta intestazione alla stessa ricorrente
(NOME COGNOME nata a Catania il 02/11/1983) dell’utenza telefonica cellulare NUMERO_TELEFONO che fu utilizzata per i suddetti contatti e conclusione del
negozio, nonché per creare il menzionato gruppo.
A tale proposito, si deve osservare che, dalla lettura delle sentenze di merito, in particolare di quella di primo grado (nulla essendo stato specificato al riguardo
in quella di secondo grado), risulta che l’accertamento dell’intestazione alla ricorrente dell’indicata utenza telefonica risultava «agli atti a firma del teste
COGNOME in luogo della sua deposizione».
Orbene, appare di tutta evidenza come la genericità di tale indicazione, in quanto priva di qualsiasi riferimento alle modalità con le quali il testimone COGNOME
ebbe a compiere l’accertamento in questione, risulti del tutto inidonea al superamento del ragionevole dubbio, già motivatamente manifestato da questa Seconda sezione con la sentenza n. 20165 del 19/04/2024, che l’odierna ricorrente fosse davvero l’effettiva titolare dell’utenza cellulare 380-1328116 che fu utilizzata per la commissione della truffa.
Da quanto si è esposto, discende la necessità dell’annullamento anche della sentenza qui impugnata, e la necessità, anche in questo caso, di un nuovo giudizio, finalizzato a chiarire, da parte del giudice del rinvio, i menzionati dubbi, eventualmente anche mediante l’acquisizione di copia dei contratti con i quali fu attivata l’utenza cellulare 380-1328116.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso il 27/05/2025.