Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8958 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: 1) COGNOME NOME, nato a Aversa il DATA_NASCITA, 2) COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 04/05/2023 della Corte appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; sentiti i difensori: AVV_NOTAIO Generoso COGNOME, per COGNOME NOME ed in sostituzione dell’AVV_NOTAIO per NOME NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi e, in caso
di rigetto, che non siano considerate le conclusioni scritte depositate fuori udienza dalla parte civile;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in sede di giudizio abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, emessa il 9 settembre 2022, che aveva condannato i ricorrenti alle pene di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile RAGIONE_SOCIALE in relazione a diverse ipotesi di ricettazione, frode informatica, sostituzione di persona, commesse in forma organizzata attraverso il possesso di carte bancomat di provenienza illecita ed il loro successivo indebito utilizzo dopo l’ottenimento del PIN dalle vittime con mezzi truffaldini.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con distinti atti.
COGNOME NOME.
3.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole della qualificazione giuridica dei fatti di ricettazione, sostenendo che sarebbe emersa la prova, attraverso le specifiche dichiarazioni confessorie del medesimo imputato e del ricorrente COGNOME, del concorso di entrambi nella commissione dei reati presupposto di furto semplice delle carte bancomat, non procedibili per difetto di querela.
La Corte, sul punto, sarebbe caduta in un travisamento della prova per omissione, non valutando neanche quanto emerso nel parallelo procedimento celebratosi a Bologna, laddove era stata individuata l’esistenza di una associazione per delinquere, alla quale i ricorrenti avevano preso parte, finalizzata alla commissione dei furti delle carte bancomat ed al loro successivo, indebito utilizzo.
3.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto assorbiti i reati di sostituzione di persona in quelli di ricettazione, no essendosi tenuto conto della circostanza che il ricorrente aveva ricevuto le carte bancomat già con il PIN che ignoti soggetti avrebbero carpito ai titolari delle carte, sicché l’imputato si sarebbe limitato a ricevere le carte e ad utilizzarle attraverso i prelievi di contante.
3.3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per non avere la Corte escluso le circostanze aggravanti dei reati di frode informatica di cui all’art. 640ter, terzo comma, cod.pen. e 61, primo comma, n. 7 cod.pen..
La circostanza di aver carpito il PIN non integrerebbe il ritenuto furto o l’indebito utilizzo di identità digitale.
Mancherebbe anche la circostanza aggravante del rilevante danno causato alle vittime.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso ci si duole del trattamento sanzionatorio.
Il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulle aggravanti non avrebbe comportato una diminuzione della pena per i reati satellite, la cui quantificazione a titolo di continuazione sarebbe comunque eccessiva e non motivata, così come la determinazione della pena base.
3.5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata quanto alla legittimazione ed alla quantificazione in euro 60 mila del danno patrimoniale arrecato alla parte civile RAGIONE_SOCIALE oltre al danno non patrimoniale individuato in euro 6000 ed alle spese di costituzione, assistenza e rappresentanza per il grado di appello.
Tali determinazioni non poggerebbero su nessun dato probatorio certo e non sarebbero sorrette da idonea motivazione.
3.6. Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata in relazione alla confisca facoltativa, disposta ai sensi dell’art. 240 cod.pen., delle cose in sequestro, costituite dagli indumenti utilizzati dal ricorrente nelle occasioni in cui si era recat ad effettuare gli indebiti prelievi.
Mancherebbe il requisito della strumentalità rispetto alla commissione dei reati ed anche rispetto alla possibilità di commissione di ulteriori condotte criminose.
3.7. Con il settimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle sanzioni sostitutive ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen., nonostante l’esclusione nella fase cautelare di ogni pericolo di recidiva.
Si dà atto che nell’interesse del ricorrenti sono stati depositati motivi nuovi attraverso i quali si insiste sul primo motivo di ricorso.
4. COGNOME NOME.
4.1. Con unico motivo il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio, adottato sulla base di formule stereotipate e senza tenere conto della ammissione degli addebiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di AVV_NOTAIO NOME è infondato.
1.1. Quanto al primo motivo, al di là delle compiute argomentazioni della Corte territoriale – che ha ritenuto, con valutazioni di fatto non rivedibili in questa sed del tutto generica ed in alcun modo verificabile la (solo) asserita compromissione dell’imputato nel reato di furto delle carte bancomat – il ricorrente non ha interesse ad invocare una diversa qualificazione giuridica dei reati di ricettazione in quelli di furto, posto che, in astratto (ed anche secondo l’imputazione contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso in separato procedimento per fatti analoghi ed allegato ai motivi aggiunti), si sarebbe trattato di furti pluriaggravati
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perché commessi con mezzi fraudolenti, rispetto a cose destinate a RAGIONE_SOCIALE servizio ed al fine di commettere il reato di indebito utilizzo di carte di credito sicché, tali ipotizzati reati di furto pluriaggravato, sarebbero punibili ai sen dell’ultimo comma dell’art. 625 cod.pen., che prevede una pena più grave rispetto al reato di ricettazione.
1.2. Il secondo motivo è infondato in quanto la Corte territoriale, con ricostruzione priva di vizi logico-giuridici, ha rilevato che il ricorrente aveva preso part all’associazione per delinquere giudicata in separato processo, sicché aveva necessariamente contribuito in modo consapevole affinché i correi ottenessero, con mezzi fraudolenti, i codici PIN della carte bancomat dai rispettivi titolari, attraverso una condotta costitutiva del reato di sostituzione di persona, consistita nel far credere alle vittime di essere state contattate a loro tutela da un funzionario della banca RAGIONE_SOCIALE.
La compromissione a titolo di concorso del ricorrente in tali comportamenti – ad eccezione del pregresso furto delle carte di credito – e la scansione temporale delle condotte illecite esclude ogni ipotesi di assorbimento del reato di cui all’art. 494 cod.pen. in quello di ricettazione.
1.3. Anche il terzo motivo è infondato.
1.3.1. In ordine all’aggravante inerente al reato di frode informatica, la decisione della Corte di merito è stata correttamente basata sul principio di diritto, del quale il ricorrente non tiene conto nonostante la sua applicabilità al caso in esame, secondo cui, in tema di frode informatica, la nozione di “identità digitale”, che integra l’aggravante di cui all’art. 640-ter, comma terzo, cod. pen., non presuppone una procedura di validazione adottata dalla Pubblica amministrazione, ma trova applicazione anche nel caso di utilizzo di credenziali di accesso a sistemi informatici gestiti da privati. (Fattispecie in cui è stata ritenuta l’aggravante in caso di accesso abusivo a un servizio di “home banking”) (Sez. 2, n. 40862 del 20/09/2022, Bonollo, Rv. 283653).
Nella motivazione di tale statuizione di legittimità, qui condivisa, si legge: “l’art. D.L. 93/2013, convertito con modif. nella L. 119/2013, ha introdotto il comma dell’art. 640-ter cod.pen. che prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale del delitto di frode informatica allorchè il fatto ” è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale”. Il legislatore non ha fornito alc definizione dell’identità digitale”, concetto utilizzato in plurime e diversifica accezioni. La dottrina ha evidenziato come la traslazione in sede penale di definizioni tratte da fonti esterne, quali quella contenuta all’art. 1 comma 1, lett. u quater, del d.lgs 82/2005 ovvero quella introdotta ai fini della creazione del RAGIONE_SOCIALE gestione delle identità digitali dei RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di cui al DPCM del 24/10/2014, trova un evidente ostacolo nel fatto che si tratta di &
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concettualizzazioni GLYPH o GLYPH indicazioni GLYPH metodologiche funzionali GLYPH agli GLYPH specifici provvedimenti cui ineriscono, incentrate sulla validazione da parte di un sistema di un insieme di dati finalizzata alla identificazione elettronica dell’utente. L’Uffic del Massimario nella relazione alla legge del 21/10/2013, partendo dalla definizione elaborata ai fini del Codice dell’amministrazione digitale, ha affermato che “L’identità digitale è comunemente intesa come l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto sotto un processo di identificazione, che consiste (per come definito dall’art. 1 lett. u-ter del d. Igs. 7 marzo 2005 n. 82) per l’appunto nella validazione dell’insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne consentono l’individuazione nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie anche al fine di garantire la sicurezza dell’accesso”. Sebbene si tratti di un concetto attendibilmente destinato ad una più esatta perinnetrazione per effetto dell’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, non è revocabile in dubbio che la tesi difensiva che pretende di limitare l’identità digitale all procedure di validazione adottate dalla P.A. (SPID, CIE, firma digitale),debitannente certificate, escludendo le procedure di accesso mediante credenziali a sistemi informatici a gestione privatistica quale i servizi di home banking o le piattaforme di vendita on line, è destituita di giuridico fondamento in quanto si pone in rotta di collisione con la constatazione empirica circa l’esistenza di diverse tipologie di identità digitale, caratterizzate da soglie differenziate sicurezza in relazione alla natura delle attività da compiere nello spazio virtuale, e con la ratio legis, intesa a rafforzare la fiducia dei RAGIONE_SOCIALE nell’utilizzazione servizi on-line e a porre un argine al fenomeno delle frodi realizzate soprattutto nel settore del credito al consumo mediante il furto di identità”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tali concetti, espressi a proposito dell’utilizzo di credenziali personali per l’accesso a sistemi cosiddetti di home banking o simili, possono essere applicati anche all’uso illegittimo dei cosiddetti PIN – non a caso così chiamato dall’acronimo dall’inglese Personal Identification Number, dal momento che, in tutti i casi, invero oramai sempre più numerosi, quel che rileva è che i dati di accesso al sistema informatico di volta in volta compulsato dall’agente direttamente o attraverso l’uso di dispositivi elettronici, individuino in modo esclusivo ed univoco una determinata persona attraverso numeri o lettere secondo una sequenza unica destinata ad essere utilizzata solo dal titolare o da soggetto da questi autorizzato e che, nella sostanza, sostituisce le generalità (nello stesso senso della prima decisione, Sez. 2, n. 17985 del 2023 e Sez. 2, n. 38027 del 2023 non massimate).
Pertanto, l’aver utilizzato, carpendolo illecitamente, il codice PIN di altri soggett per accedere al loro conto corrente al fine di prelevare denaro contante, integra l’aggravante contestata.
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1.3.2. Quanto alla sussistenza dell’aggravante del rilevante danno, il ricorrente non ha manifestato nessun interesse concreto ed attuale a coltivare la censura, in quanto tale aggravante non ha comportato alcun aumento di pena, stante l’esito del giudizio di bilanciamento nel senso della prevalenza delle attenuanti adottato dai giudici di merito.
1.4. Il quarto motivo è infondato in quanto la Corte ha dato atto che il calcolo della pena effettuato nella sentenza resa in altro procedimento, al quale è stato applicato un aumento a titolo di continuazione per i fatti oggi in esame, aveva tenuto conto della diminuzione sulla pena base, ritenuta congrua, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Inoltre, l’entità degli aumenti in continuazione è stata ritenuta proporzionata alla gravità dei fatti, al loro numero ed alla loro serialità e si tratta di motivazio completa che esprime un giudizio di merito non rivedibile in questa sede.
1.5. Il quinto motivo è anch’esso infondato.
1.5.1.La Corte territoriale ha chiarito che la parte civile RAGIONE_SOCIALE era legittimat ad ottenere ristoro in quanto aveva subito il danno causato dai reati, avendo risarcito i clienti titolari delle carte bancomat per un importo che il giudice di prim grado aveva potuto quantificare, nei termini indicati a proposito del danno patrimoniale, su specifici e decisivi dati processuali che il ricorso trascura (cfr. fg 30 della sentenza di primo grado).
1.5.2. La quantificazione del danno non patrimoniale, inoltre, è stata affidata a criteri equitativi e non rivela vizi logici, risultando proporzionata e non eccessiva rispetto alla quantificazione del danno patrimoniale, oltreché giustificata dalla Corte con argomentazioni pertinenti e che rendono generiche le censure difensive (cfr. fg. 16 della sentenza impugnata, con riguardo alle conseguenze pregiudizievoli delle frodi nei più generali rapporti tra la banca e la sua clientela).
1.5.3. Infine, la censura inerente alla quantificazione delle spese processuali liquidate alla parte civile nel giudizio di appello, risulta del tutto generica, alla l del principio di diritto secondo cui, è inammissibile per difetto di specificità il moti di ricorso per cassazione con cui si censura la statuizione sulle spese processuali liquidate in favore della parte civile senza indicare le voci tabellari i cui lim minimo o massimo, sarebbero stati violati, non essendo peraltro sufficiente un riferimento solo sommario, nel ricorso, a tali voci tabellari. (Sez. 5, n. 49007 del
14/06/2017, COGNOME, Rv. 271443).
1.6. Anche il sesto motivo è infondato.
La Corte ha ravvisato il nesso tra gli indumenti in sequestro e le condotte commesse dal ricorrente, avendo egli utilizzato tali capi di abbigliamento per recarsi a commettere i reati.
La confisca di tali beni ai sensi dell’art. 240, primo comma, cod.pen., non necessita del requisito della indispensabilità (Sez. 4, Ordinanza n. 33872 del 28/10/2020, Tufisi, Rv. 279919).
1.7. Quanto, infine, al settimo motivo, la Corte, sulla base di argomentazioni tratte dal merito del giudizio ed inerenti al ruolo del ricorrente ed alla gravità e numero degli addebiti, non ha ritenuto che egli fosse meritevole di alcuna sanzione sostitutiva, non potendo fondare un giudizio prognostico negativo di ricaduta criminale e di rispetto delle prescrizioni (fg. 17 della sentenza impugnata).
La motivazione è scevra da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede e non è intaccata dalle generiche censure difensive.
Quanto precisato su tutti i motivi di ricorso assorbe ogni altra deduzione del ricorrente, anche in relazione al contenuto dei motivi nuovi.
Al rigetto del ricorso segue la condanna di COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali.
Il ricorso di NOME è manifestamente infondato.
2.1. Il ricorrente non tiene conto del fatto che la sanzione determinata dalla Corte è stata basata sul ruolo, sulla gravità e numero dei reati commessi, venendo anche specificato che l’ammissione degli addebiti non era stata ignorata ma considerata nel giudizio di bilanciamento tra circostanze di opposto segno.
La motivazione è rispettosa dei principi di diritto in tema di calcolo della pena, dovendosi rammentare che la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, ritiene che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME; Sez. 3 n. 1182 del 17/10/2007 dep. 2008, Cilia, rv. 238851).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
I ricorrenti non devono essere condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute nel presente grado dalla parte civile, la quale, senza partecipare all’udienza, ha fatto pervenire le proprie conclusioni e la nota spese.
Il Collegio condivide il principio di diritto secondo il quale, nel giudizio di legittim quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile,
la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all’udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all’art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto non dovuta la rifusione delle spese del grado alla parte civile, non intervenuta in udienza, in considerazione della tardività del deposito della memoria difensiva, con conseguente impossibilità di tener conto delle deduzioni in essa contenute). (Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Rv. 278834).
Nel caso in esame, le conclusioni della parte civile risultano del tutto generiche, tanto da non consentire di ritenere che, al di là della sua assenza all’udienza, ella abbia apportato un effettivo contributo all’esito del processo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese presentata dalla parte civile.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 30.01.2024.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente
NOME,NOME COGNOME