Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 39223 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 39223 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME, per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma – Ufficio del Giudice dell’udienza preliminare che, per quel che in questa sede rileva, aveva condannato il medesimo – all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato – alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro 20.400 di multa in ordine ai delitti di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 3), in relazione a quattro episodi di concorso in illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina e di tre episodi di cessione della medesima sostanza, fatti commessi in Roma tra marzo ed aprile 2017.
La Corte di appello, quanto alla posizione del COGNOME, ha evidenziato come il compendio probatorio facesse ritenere integrati i delitti contestati all’imputato, identificato dalla polizia giudiziaria che aveva anche richiesto l’intercettazione della relativa utenza telefonica, ciò a confutazione delle censure rivolte alla attribuibilit al COGNOME dei colloqui intercettati, ha escluso che la condotta del ricorrente potesse essere qualificata ai sensi del quinto comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ribadendo, infine, le ragioni che avevano portato ad escludere la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
2. La difesa formula due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in merito alla modalità di identificazione del ricorrente.
La Corte di appello, analogamente a quanto effettuato dal Giudice dell’udienza preliminare, non ha fornito risposta alle deduzioni contenute nei motivi di gravame tesi a richiedere contezza in ordine alle modalità attraverso cui la polizia giudiziaria era giunta all’identificazione del COGNOME. La decisione assume che fosse competenza del ricorrente allegare elementi di segno contrario, in tal modo ipotizzando una non consentita inversione dell’onere della prova.
La Corte territoriale si limita alla riproduzione delle indicazioni contenute nella sentenza di primo grado, assegnando rilevanza alle annotazioni di polizia giudiziaria, là dove avevano ritenuto di identificare il ricorrente per l’utilizzo nome “NOME” citato dai coimputati nelle intercettazioni.
L’assenza di dirette osservazioni idonee a dimostrare che il ricorrente si trovasse all’interno dell’auto all’atto delle conversazioni, di sequestri di sostanza stupefacente a carico del COGNOME e il mancato espletamento di una perizia fonicocomparativa (che sarebbe dovuta essere disposta d’ufficio) tra la voce intercettata dall’utenza intestata al ricorrente e quella captata all’interno dell’autovettura denotano la lacunosità delle modalità attraverso cui si è pervenuti alla identificazione del ricorrente, deficit non colmabile a cagione del rito abbreviato prescelto.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine alla mancata riqualificazione delle condotte contestate ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte di appello – si deduce – ha negato la riqualificazione nell’ipotesi lieve dei fatti contestati sulla base del dato ponderale definito “né elevato né modesto” e, pur confrontandosi con la più recente giurisprudenza di legittimità (esplicito è il riferimento alla sentenza dei questa Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, COGNOME, Rv.
284149), ometteva di prendere in considerazione l’assenza di sequestri a carico del COGNOME, dato che non consente di supportare l’affermazione secondo cui lo stupefacente attribuito al COGNOME avesse una percentuale di purezza pari al cinquanta per cento.
Le quantità di stupefacente esplicitata nella contestazione non consente ex se di avvalorare l’illazione secondo cui fossero state superate le percentuali di principio attivo di cui alla sentenza COGNOME di questa Corte. Proprio gli elementi valorizzati dalla Corte di appello onde corroborare la professionalità del COGNOME dimostrano, invece, la precarietà ed inesperienza del medesimo che aveva il limitato compito di sostituire provvisoriamente il marito della concorrente, nel frattempo tratto in arresto, nell’attività di spaccio.
Non rilevante risulta, inoltre, l’apprezzata organizzazione e continuità dell’attività di spaccio che si non confronta con la prevista ipotesi associativa afferente “al piccolo spaccio” ex art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, figura di reato che implica la sussistenza di un’adeguata organizzazione, compatibile con i pur valorizzati guadagni asseritamente generati dall’attività illecita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Con il primo motivo il ricorrente non contesta – come puntualizzato dai Giudici di appello – la parte della decisione che ha consentito di assegnare alle captazioni il significato compatibile con l’accusa e neppure nega che i verbalizzanti abbiano indicato nella persona di NOME COGNOME il soggetto che colloquiava con la COGNOME in ordine all’illecita detenzione e vendita di sostanza stupefacente: rivolgendo, invero, censure in merito alle non esplicitate modalità attraverso cui il personale di polizia giudiziaria è giunto ad attribuire al COGNOME la voce intercettata nel corso delle conversazioni intercorse all’interno dell’autovettura sottoposta ad attività di captazione, e deducendo, inoltre, la necessità di disporre una perizia fonico-comparativa.
La censura è infondata.
Costituisce, invero, principio di diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l’identificazione degli interlocutori coinvolti conversazioni intercettate da parte del giudice può avvenire attraverso le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che si siano espressi ordine al riconoscimento delle voci captate, nonché attraverso la valorizzazione di qualsiasi altra circostanza o elemento che possa ricondurre all’identità dei colloquianti, incombendo invece sulla parte che ne contesti la fondatezza l’onere
di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, COGNOME, Rv. 269900; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259478). In presenza di elementi che danno conto dell’attribuibilità delle conversazioni ad un determinato interlocutore non sussiste, pertanto, la necessità di attivazione dei poteri officiosi con espletamento di una perizia fonica anche di natura comparativa da parte del Giudicante (in tal senso, Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, NOME COGNOME, Rv. 281265 – 02, nella quale si ribadisce la necessità di una utile allegazione incombente sull’imputato).
Risulta, allora, adeguata la parte della decisione che ha dato atto di come l’identificazione del ricorrente fosse stata effettuata direttamente dagli operanti che ebbero a svolgere le indagini; costoro individuarono il COGNOME come il soggetto appellato “NOME” (“NOME“) che colloquiava all’interno dell’auto della COGNOME, donna con cui aveva stabili e pregressi rapporti, analogamente a quelli avuti con gli altri appartenenti al gruppo di spacciatori di Casal De’ Pazzi.
La Corte di appello, invero, a sostegno dell’attribuibilità delle conversazioni ad NOME COGNOME ha, altresì, rilevato come nel corso delle stesse indagini il ricorrente fosse stato sottoposto a perquisizione (con il rinvenimento di altra tipologia di sostanza stupefacente, motivo per il quale veniva tratto in arresto) e ad intercettazione dell’utenza mobile in uso.
A fronte di un’attribuibilità della voce al COGNOME in tali termini operata, tenuto altresì, conto che il processo in primo grado era stato celebrato con le forme del rito abbreviato, circostanza che implica un’accettazione, da parte del richiedente di quel giudizio speciale, degli esiti delle indagini – nel caso di specie afferen all’identificazione degli interlocutori – la difesa non aveva prospettato alcun elemento che potesse far ritenere che tale giudizio fosse errato, né ha allegato elementi a sostegno di eventuali lacune in ordine alla individuazione operata dagli investigatori, limitandosi a metterne genericamente in dubbio le modalità attraverso cui si sarebbe pervenuti a detto risultato.
Fuorviante risulta, pertanto, la dedotta circostanza secondo cui le intercettazioni disposte sull’utenza in uso al COGNOME non fossero significative in ordine al suo coinvolgimento o che la perquisizione avesse consentito di accertare il possesso di altra tipologia di stupefacente che nessun collegamento aveva con il procedimento in esame: i dati in questione sono stati valorizzati dalla Corte di appello per dare conto, a confutazione del relativo motivo di gravame, della conoscenza del ricorrente da parte dei verbalizzanti che, pertanto – secondo la ricostruzione operata dai Giudici di secondo grado, che resta esente da qualsivoglia censura di legittimità – erano perfettamente in grado di assegnare certa identità alla voce captata e non anche per confermare il quadro probatorio già delineato dal contenuto delle captazioni non messo in discussione dal ricorrente.
Analoga infondatezza caratterizza il secondo motivo attraverso il quale il ricorrente censura la mancata derubricazione della condotta nell’ipotesi lieve.
Ed invero, la fattispecie di reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è ravvisabile nei casi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo dello stupefacente, sia, evenienza all’evidenza trascurata nei motivi di ricorso, dagli altri parametri richiamati dall norma e segnatamente dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell’azione.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35737 del 2010, Rico, Rv. 247911) hanno ribadito il principio secondo cui l’applicabilità o meno della norma in parola non può essere risolta in astratto, dovendosi valutare tutte le concrete circostanze poste alla sua attenzione, essendo il giudice di merito tenuto a determinare il trattamento sanzionatorio, senza che possano prefigurarsi automatismi (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668).
Quanto ai singoli elementi valorizzabili ai fini di una corretta qualificazione giuridica della condotta, questa Corte ha ritenuto che la «ipotesi lieve» non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, d.P.R. cit., che, ipotizzando l’esistenza dell’associazione costituita per commettere fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73, rende evidente l’inconferenza del relativo elemento connesso alla reiterazione della condotta (Sez. 6, n. 39374 del 03/07/2017, dep. 23/08/2017, COGNOME, Rv. 27084901; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016), così come non risulta essere determinante la diversa tipologia di sostanza eventualmente ceduta (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076; Sez, 6, n. 46495 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271338) in quanto, anche in tal caso, «è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie completa selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al f di determinare la lieve entità del fatto» (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076).
Ciò premesso, la Corte di merito, operato un sintetico rinvio al contenuto della decisione di primo grado, ha convincentemente messo in risalto le ragioni che hanno fatto escludere che le fattispecie contestate fossero caratterizzate dalla lieve entità: è stato messo in evidenza il dato quantitativo non certo irrisorio della sostanza stupefacente del tipo cocaina richiamato nella contestazione (in tal senso depone l’affermazione contenuta a pag. 6 della sentenza: “oltre al dato ponderale, né particolarmente elevato, né modesto”); è stata assegnata rilevanza alla conversazione intercorsa tra il ricorrente e la COGNOME nel corso della quale si faceva riferimento alla necessità di mantenere la “piazza di spaccio”, nonostante l’intervenuto arresto del COGNOME, marito di costei, alla predisposizione di particolari
accorgimenti per la custodia della sostanza stupefacente e del denaro, onde evitare i sequestri da parte delle forze di polizia; è stata ritenuta importante nondimeno, l’entità complessivo dei guadagni ricavati dalle vendite, individuati in migliaia di euro.
Logica e completa, pertanto, risulta la motivazione della Corte territoriale che, in punto di non scarsa offensività della condotta di illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente, ha messo in evidenza, oltre alle modalità dell’azione ed al certamente non indifferente dato ponderale, anche il profilo personologico del ricorrente in ragione del ruolo assunto nel contesto di riferimento, tale da dare consistenza all’inserimento nell’evocata “piazza di spaccio”.
D’altra parte, ciò che rileva ai fini della valutazione della dedotta minima offensività della condotta, oltre al dato qualitativo e quantitativo, è la verifica concreto – della sussistenza degli altri parametri normativi, quali i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione. La reiterazione e frequenza dello spaccio, allorché si rifletta sul dato quantitativo in ragione della consistente disponibili necessaria a rifornire un più vasto numero di clienti, può anche essere evidentemente una ragione valida per escludere la minima offensività del fatto.
Nel caso di specie, quindi, il dato numerico delle cessioni accertate in un breve lasso di tempo e la consistenza dell’attività di spaccio è stata ritenuta incompatibile con l’invocata riqualificazione nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, del testo unic citato.
Seppure la Corte di appello, al fine di rigettare la richiesta di riqualificazion della condotta nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, abbia escluso che il dato quantitativo consentisse di superare i parametri fissati nell sentenza COGNOME di questa Corte (decisione che si caratterizza per I valorizzazione del dato quantitativo, ritenuto ex se non determinante nel caso oggetto di specifico esame, osservando come il giudice “possa” tenere conto del fatto che lo stesso sia stato ritenuto, dalla giurisprudenza maggioritaria risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, compatibile con l’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, Rv. 284149 – 01), elemento su cui il ricorrente fonda parte preponderante delle argomentazioni, la decisione impugnata è esplicita nell’escludere che lo stesso possa ritenersi significativo proprio per l’assenza di elementi tali da poter con certezza corroborare l’illazione riferita all’aspett qualitativo della purezza della sostanza (esplicito il contenuto della decisione impugnata nella parte in cui ammette a pag. 6, primo periodo, che trattasi di ragionamenti astratti per l’assenza di un dato quantitativo certo); al contempo ritenendo determinante e complessivamente valorizzando, in ossequio ai principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite COGNOME “gli elementi della fattispecie completa
selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla sudde disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto» (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076).
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con l conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/09/2024.