Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6240 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6240 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 22/03/2023 dalla Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte d’appello di Roma in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale, per non aver rispettato l’intimazione di fermarsi, formulatagli da alcuni poliziotti mentre era alla guida di un’autovettura, dandosi
con quest’ultima alla fuga ad elevatissima velocità e ponendo in essere manovre spericolate durante l’inseguimento derivatone.
Il ricorso propone tre motivi.
2.1. I primi due, sotto il profilo, rispettivamente, della violazione dell’art. 192, cod. proc. pen., e del vizio della motivazione, censurano il ritenuto accertamento dell’imputato come autore della condotta, poiché gli elementi indiziari valorizzati in sentenza non presenterebbero i caratteri della gravità e della precisione richiesti da tale disposizione processuale
In particolare, il riconoscimento dell’imputato operato in dibattimento dal testimone NOME COGNOME, uno dei poliziotti intervenuti, è avvenuto a sette anni dai fatti e lo stesso teste ha riferito di alcuni tratti somatici differenti (barba, capel più corti); in occasione del reato, inoltre, lo COGNOME aveva potuto vedere l’autore per un tempo brevissimo ed in condizioni non favorevoli (soggetto con un cappello in testa, autovettura in fuga). Rispetto, poi, all’immagine del cartellino fotosegnaletico dell’imputato, entrambi i poliziotti operanti si sono espressi in termini di «forte rassomiglianza» con l’autore della resistenza, e non di sicura identità. Inoltre, l’intestatario dell’autovettura, che l’ha indicata in uso ad un rom di nome “NOME“, residente nel campo nomadi “Monachina” di Roma, non è stato mai formalmente assunto a sommarie informazioni. Ed ancora, non vi sarebbe certezza sull’identificazione dell’imputato per il soggetto che, alla vista dei poliziotti presso il campo rom, ha rifiutato di esibire loro i documenti e si è dato alla fuga, in quanto nessuno di quegli operatori di polizia è stato formalmente escusso come testimone.
2.2. Il terzo motivo denuncia la violazione della disciplina in tema di prescrizione, trattandosi di fatto commesso il 13 maggio 2011 e di reato soggetto ad un termine di prescrizione di dieci anni, il cui decorso è rimasto sospeso solo per due mesi.
Ne deriva che detto termine sarebbe maturato a luglio del 2021, e dunque in data anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata, con il conseguente obbligo per il giudice d’appello di dichiarare l’estinzione del reato, anche in assenza di richiesta della parte interessata.
Ha depositato memoria scritta il Procuratore generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
I primi due, dietro lo schermo formale dell’illogicità della motivazione e della violazione delle regole sulla valutazione della prova indiziaria, in realtà si dolgono del risultato di tale processo valutativo e non dell’eventuale incoerenza del relativo procedimento inferenziale: non contestano, cioè, la congruenza della deduzione di un dato fatto rispetto a quello individuato quale premessa, bensì l’accertamento di quest’ultimo, perciò postulando dalla Corte di legittimità una rivalutazione del dato probatorio, che però le è preclusa.
In presenza, dunque, di un riconoscimento operato con certezza in dibattimento dal teste oculare, avvenuto a distanza di anni e non smentito – ma semmai logicamente confermato – dal rilievo del mutamento di alcuni tratti somatici dell’COGNOME intervenuto nel frattempo, non può certamente reputarsi illogica la conclusione dell’identificazione di costui per l’autore del reato. Se a questo, poi, si aggiungono le dichiarazioni del titolare dell’autovettura, anch’esse convergenti verso l’imputato, il comportamento oppositivo da questi tenuto in occasione dell’accesso dei poliziotti al campo e non altrimenti giustificato, nonché l’assenza di qualsiasi circostanza di fatto idonea a sorreggere la sua protesta di estraneità al fatto, la tenuta logica del complessivo ragionamento della Corte d’appello risulta indiscutibile.
Manifestamente infondato, infine, è il terzo motivo, in tema di prescrizione del reato.
In considerazione della ritenuta recidiva reiterata ed in combinata applicazione degli artt. 99, quarto comma, 157, secondo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., il termine massimo, prorogato in ragione delle interruzioni dovute alle varie scansioni processuali, è pari a dodici anni e sei mesi dalla data del fatto: esso, perciò, considerando le sospensioni indicate dallo stesso ricorso, non è ancora decorso alla data della presente decisione, ma comunque non lo era al momento di quella d’appello.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2024.