Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25630 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25630 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nat4 a CAVA DE TIRRENI il 02/07/1957 Parte CivileKort- n corre ki-e COGNOME NOME
avverso la sentenza del 24/10/2024 della Corte d’appello di Salerno Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Salerno ha confermato la pronunzia del Tribunale di Salerno del 20.12.2023, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno, in favore della parte civile costituita ed alla refusione delle spese di lite da questa sostenute, per il reato di cui agli artt. 595, comma 3, cod. pen. e 13 L.47/1948, in relazione all’art.1 L.62/2001, consistito nell’avere, comunicando con più persone mediante la pubblicazione online, sul portale “Facebook”, offeso la reputazione di NOME COGNOME.
.1 GLYPH 2. Avverso l’anzidetta sentenza, l’imputata propone ricorso, affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta vizio di manifesta contraddittorietà della motivazione, in punto di legittimazione alla proposizione della querela. Si deduce che la Corte d’appello avrebbe identificato la persona offesa in NOMECOGNOME ma, poi, ritenuto valida la querela sporta da COGNOME NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. Il motivo proposto, volto a sindacare l’accertamento di fatto, compiuto dal Tribunale, in ordine alla legittimazione del soggetto che ha presentato la querela, è meramente reiterativo di doglianza, già sollevata in sede d’appello, puntualmente disattesa dal giudice di merito, e tende, attraverso la deduzione di vizi della motivazione, a censurare quanto accertato dal Tribunale e non è, pertanto, consentito nel giudizio di legittimità.
La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logicogiuridici, premettendo che le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi da! Tribunale, alla cui motivazione precisa ed articolata si è riportata, integrandola, ha fatto buon governo del compendio probatorio, valutando in sinergia gli elementi di prova in atti.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv.
235716; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217 – 01; per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944).
2.1 In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così da potersi individuare, con ragionevole certezza, l’offeso e desumere la piena e immediata consapevolezza, da parte di chiunque abbia letto l’articolo, dell’identità del destinatario della diffamazione (Sez. 5, Sentenza n. 8208 del 10/01/2022, Rv. 282899 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 33442 del 08/07/2008, Rv. 241548 – 01).
Nella specie, la Corte di merito, confrontandosi con lo specifico motivo di appello, relativo al difetto di legittimazione a proporre la querela, richiamando i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, che trovano conforto in quella delle Sezioni Unite civili (S.U. 13/06/2019 n.15897, Rv.654324-01), ha ritenuto -e, sul punto, non v’è censura- che le offese, oggetto della contestazione, riguardavano, in parte (laddove si diceva “improvvisata politicante mezza tacca”) la figlia della querelante, NOME nominata assessore una settimana prima del post, ed ha ritenuto fondato il gravame.
Con riguardo alle offese residue, laddove si afferma “meschina opportunista”, autrice del ” tentativo di estorcere denaro con l’inganno”, la Corte territoriale, con valutazione complessiva di tutti gli elementi della vicenda, ha ritenuto chiaramente identificata la persona offesa nella costituita parte civile, COGNOME NOMECOGNOME
La Corte d’appello, con motivazione corretta ed immune da vizi, ha ritenuto che l’integrale contenuto del post, contenente le espressioni offensive, consentiva di individuare, senza dubbio, ad una cerchia indeterminata di soggetti, ma limitata in ambito locale e lavorativo, la persona offesa, nel preciso riferimento alla lavoratrice (COGNOME NOME), dipendente della azienda agricola del marito della ricorrente, dal 2009 al maggio 2016, laddove prosegue dicendo che “certa gente andava presa a calci nel sedere quando aveva chiesto di rientrare”. La vicenda, che l’aveva vista protagonista della perdita del lavoro, per il suo allontanamento, per un malore causato dai diserbanti, era, infatti, nota a livello locale.
Ai fini della identificazione della persona offesa, la Corte d’appello ha, inoltre, richiamato la pregressa denuncia della persona offesa per le lesioni subite sul posto di lavoro, presentata il 5.05.2016, quale presupposto per la richiesta di risarcimento del danno, (riconducibile al riferito “tentativo di estorcere denaro con l’inganno”).
Ulteriore elemento di valutazione è costituito dalle dichiarazioni delle testi NOME COGNOME e NOME COGNOME, correttamente ritenute attendibili, in assenza
di precipua e specifica censura di credibilità, che hanno riferito sulla diffusione del post, a livello locale, e dell’immediato collegamento delle espressioni offensive alla
persona offesa, quale soggetto destinatario delle offese, tanto che la stessa, subito dopo il post, veniva contattata da molte persone.
La motivazione della sentenza della Corte d’appello è conforme e lineare rispetto alle risultanze istruttorie e non meritevole di censura.
Di fatto, la ricorrente tenta, in questa sede, di contestare la valutazione delle prove, compiuta dalla Corte d’appello, e di introdurre una ricostruzione dei fatti
alternativa e più favorevole alle proprie prospettazioni difensive, operazioni notoriamente non percorribili in sede di legittimità (si veda, ex multis, Sez. 6,
sentenza n. 5465 del 4/11/2020, dep. 11/2/2021, Rv. 280601). Va, infatti, rammentato che il sindacato di legittimità è circoscritto alla verifica sulla
completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza, e non può
esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen. mediante una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
fornita dal giudice di merito; le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento dei giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767). In conclusione, essendo dimostrato che la prevenuta ha indirizzato le frasi oggetto dell’imputazione anche a NOME COGNOME, quest’ultima era pienamente legittimata a sporgere querela, con conseguente piena procedibilità dell’azione penale.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14/05/2025
Il Consigli GLYPH estensore