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Identificazione indagato: valide le dichiarazioni fornite

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando un principio fondamentale in materia di identificazione indagato. La Corte ha stabilito che l’identificazione operata dalla polizia giudiziaria sulla base delle dichiarazioni fornite dall’interessato è pienamente valida. Il ricorso a metodi più approfonditi come i rilievi dattiloscopici o fotografici si giustifica solo in presenza di elementi di fatto che inducano a dubitare della veridicità di tali dichiarazioni. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Identificazione Indagato: La Parola Basta, Salvo Prova Contraria

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in tema di identificazione indagato, un momento fondamentale di ogni procedimento penale. Quando le dichiarazioni fornite da una persona alla polizia giudiziaria sono sufficienti a stabilirne l’identità? E in quali casi è necessario ricorrere a procedure più complesse come le impronte digitali? La Suprema Corte fornisce una risposta chiara, tracciando una linea netta tra la regola e l’eccezione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. I motivi specifici del ricorso non sono dettagliati nel provvedimento, ma il punto centrale su cui la Cassazione si è soffermata riguarda la validità delle modalità con cui era stata effettuata l’identificazione del soggetto durante le fasi investigative. La difesa, evidentemente, contestava la procedura seguita, ritenendola non sufficientemente rigorosa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione, pur non entrando nel merito della vicenda processuale, è di grande importanza perché si fonda sulla riaffermazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per accogliere le doglianze del ricorrente, condannandolo di conseguenza, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Il Principio di Validità dell’Identificazione Indagato

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni. La Corte ha richiamato un principio fondamentale: l’identificazione indagato effettuata dalla polizia giudiziaria è da considerarsi pienamente valida quando si basa sulle dichiarazioni fornite dalla persona stessa. In altre parole, la parola dell’interessato è, in linea di principio, sufficiente.

Il ricorso a strumenti di accertamento più invasivi o complessi – come i rilievi dattiloscopici (impronte digitali), fotografici o antropometrici – non è la regola, ma l’eccezione. Tali procedure si giustificano, sottolinea la Corte, soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni. Se non emergono dubbi concreti e fondati sulla veridicità di quanto dichiarato, le autorità non sono tenute a procedere con ulteriori accertamenti. Questo orientamento, già espresso in precedenti sentenze (come la n. 20759/2010 e la n. 19044/2017), bilancia l’esigenza di celerità delle indagini con quella di garanzia dell’identità certa dell’indagato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Le conclusioni che si possono trarre da questa ordinanza sono chiare e hanno rilevanti implicazioni pratiche. Per le forze dell’ordine, viene confermata la legittimità di una prassi investigativa che si fonda sulla fiducia nelle dichiarazioni del cittadino, ottimizzando tempi e risorse. L’obbligo di effettuare accertamenti più approfonditi scatta solo di fronte a segnali d’allarme, come incongruenze, documenti sospetti o altri elementi fattuali che minano l’attendibilità delle generalità fornite. Per il cittadino, questo principio sottolinea l’importanza e la responsabilità di fornire dichiarazioni veritiere alle autorità, la cui validità è presunta fino a prova contraria. La decisione, infine, agisce da deterrente contro ricorsi pretestuosi, che, se ritenuti inammissibili, comportano significative conseguenze economiche per chi li propone.

È sempre necessario effettuare i rilievi dattiloscopici (impronte digitali) per identificare un indagato?
No, non è sempre necessario. Secondo la Corte, si deve ricorrere a tali rilievi, o ad altri accertamenti, soltanto quando esistono elementi di fatto che facciano dubitare della veridicità delle dichiarazioni fornite dall’indagato stesso.

Le dichiarazioni che una persona fornisce alla polizia giudiziaria sono sufficienti per la sua identificazione?
Sì, il principio affermato è che l’identificazione operata dalla polizia giudiziaria sulla base delle dichiarazioni fornite dalla stessa persona è considerata validamente effettuata.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna della persona che ha presentato il ricorso (il ricorrente) al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, a titolo di sanzione, a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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