Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21057 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MAGENTA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/11/2023 del Tribunale per il riesame di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sulle conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale per il riesame di Milano con ordinanza del 7-8 novembre 2023, decidendo ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato il provvedimento con il quale il G.i.p. del Tribunale di Milano il 10 ottobre 202:3, nell’ambito di u complesso procedimento plurisoggettivo, per quanto in questa sede rileva, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione a tre capi di accusa (nn. 43, 58 e 63), per avere cioè, in concorso con altri, acquistato, importato dalla Spagna, detenuto illecitamente e ceduto ingenti quantità di marijuana e di hashish, con l’aggravante della transanzionalità, fatti commessi, rispettivamente il 7 agosto 2020, l’11 settembre 2020 e il 25 novembre 2020 (artt. 110 cod. pen., 73, comma 4, e 80, comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 61-bis cod. pen.).
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza l’indagato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi con i quali denunzia sia violazione di legge (tutti i motivi) sia difetto di motivazione (il primo, il secondo e il quarto motivo
2.1. Con il primo motivo censura promiscuamente la violazione degli artt. 272 e 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza attraverso un ragionamento incentrato – si ritiene – su mere congetture ed anche omissione di motivazione in punto di identificazione dell’indagato.
Si rammenta che gli indizi di partecipazione del ricorrente ai reati descritti ai capi nn. 43), 58) e 63) delle imputazioni è basato esclusivamente sul contenuto di “chat” estrapolate dalla piattaforma “Sky ECC”, asserendosi che NOME COGNOME sia l’utilizzatore del dispositivo telefonico criptato num. TARGA_VEICOLO con il soprannome di “Frutta”.
Al riguardo si sottolinea criticamente che nessun dispositivo del genere è mai stato trovato nella disponibilità dell’indagato, pur sottoposto a perquisizione, e che la identificazione di NOME COGNOME con “Frutta” è stata effettuata soltanto perché i suoi genitori, in passato, erano titolari di un ingrosso di frutta verdura alle cui dipendenze lavorava un pakistano di nome NOME COGNOME, «il quale aveva lo stesso nome “NOME” – notoriamente diffusissimo nei paesi islamici – di un benzinaio di Baranzate conosciuto occasionalmente dal presunto “capo” dell’associazione sub 1, sig. COGNOME NOME – la cui autovettura era sottoposta a captazione ambientale – e che asseriva di conoscere l’odierno indagato in quanto figlio dei titolari della ditta preso cui aveva lavorato i passato» (così alla p. 2 del ricorso).
Ebbene il Tribunale di Torino – segnala il ricorrente – ha riproposto la tesi del G.i.p., pur contestata con il secondo punto dei motivi di riesame, incorrendo, tuttavia, in vizio motivazionale in quanto NOME pacificamente non è mai stato identificato dalla polizia giudiziaria né escusso né gli è stata sottoposta la foto de ricorrente. In conseguenza, l’attribuzione a NOME COGNOME della qualifica di ùtilizzatore del dispositivo telefonico criptato num. TARGA_VEICOLO con il soprannome di “Frutta” risulterebbe meramente congetturale.
Inoltre, il Collegio avrebbe travisato i dati investigativi poiché, nonostante le doglianze svolte con l’impugnazione di merito, ha supposto che il benzinaio di nome NOME con cui NOME COGNOME, presunto vertice dell’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, si sarebbe interfacciato il 14 ed il 19 agosto 2020 ed il 4 giugno 2021 sia lo stesso NOME COGNOME titolare della pompa di benzina ed inoltre che l’interlocutore della chat del 14 agosto 2020 (ove si legge “guarda che Io va a dire a mio padre”) sia il ricorrente; ma ciò in assenza di emergenze istruttorie.
2.2. Tramite il secondo motivo lamenta ulteriore violazione degli artt. 272 e 273 cod. proc. pen. e degli artt. 73 ed 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei capi di accusa nn. 43), 58) e 63) e, nel contempo, vizio di motivazione, anche sotto il profilo della mancanza dell’apparato giustificativo.
Non essendovi mai stato un sequestro di droga, alla questione posta con il riesame alle pp. 5-8 circa la inconfigurabilità nel caso di specie dell’aggravante della ingente quantità della sostanza stupefacente, in effetti mai rinvenuta, si lamenta la violazione dei canoni di particolare attenzione e rigore cui invece occorre attenersi nel casi di “droga parlata” affinchè possa affermarsi l’esistenza dell’aggravante in questione. Si richiamano più precedenti di legittimità stimati pertinenti, tra cui Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270199.
La motivazione che si rinviene alla p. 11 dell’ordinanza impugnata appare gravemente carente, limitandosi a fare riferimento al dato ponderale ma senza indicare gli elementi indiziari valorizzati per ritenere ingente la quantit eventualmente detenuta.
2.2.1. Passando al capo di accusa sub n. 43), si osserva che il coinvolgimento del ricorrente nel delitto in questione si ricaverebbe unicamente da un messaggio intercorso tra terzi, ove si comunica che “… in teoria … Frutta ne piglia 31 e mezzo…”.
Sul presupposto della – pur contestata – identificazione tra NOME COGNOME e il “Frutta”, si osserva anche che “31 e mezzo” non si sa se siano chilogrammi oppure grammi e che si ignora se poi la eventuale trattativa si sia mai conclusa, dovendosi, al limite, riqualificare il fatto in tentativo di acquisto. ogni caso, da quanto si legge alle pp. 9-10 dell’ordinanza impugnata, non si
comprende se il “Frutta” sia un fornitore o un acquirente di droga, peraltro non essendo lo stesso indicato tra i destinatari della droga arrivata in Italia.
2.2.2. In relazione al capo n. 58), si osserva come l’assunto che COGNOME si occupi anche della intermediazione viene ricavato dal Tribunale per il riesame (alla p. 10) da un unico messaggio tra COGNOME e l’utilizzatore del dispositivo num. TARGA_VEICOLO (“la tua merce a chi la faccio arrivare? Coda o riccio?”), ove si rileva che alla censura che era stata mossa alla p. 7 del ricorso per riesame si risponde nel provvedimento solo con l’impiego dell’avverbio “probabilmente”, ciò che rende apodittica, illogica e congetturale la relativa motivazione. Onde la mancanza di una “prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza” e la conseguente violazione di legge.
2.2.3. In riferimento, poi, al capo n. 63), si denunzia la stessa violazione di legge testè censurata: alla p. 11 dell’ordinanza impugnata mancherebbe la “prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza”, essendo l’unica fonte di prova rappresentata dalla frase, peraltro scambiata tra terze persone, dal contenuto “…frate, frutta sono 17.500”.
2.3. Oggetto del terzo motivo è la denunziata violazione dell’art. 61-bis cod. pen., in quanto la motivazione che svolge il Tribunale alla p. 11 in tema di aggravante della transnazionalità sarebbe in contrasto con il principio di diritto puntualizzato – anche – da Sez. 6, n. 31972 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 255887, secondo cui «Ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità prevista dall’art. 4, legge 16 marzo 2006, n. 146, occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui è riferibile il reato, impegNOME in attività illecite in più di uno stato. (Fattispe cui la Corte ha escluso di poter ravvisare la circostanza aggravante sulla sola base dell’espansione all’estero dell’attività criminosa)».
2.4. Infine, con l’ultimo motivo NOME COGNOME si duole della violazione degli artt. 274, comma 1, lett. a), b) e c), e 275, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. e di vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attualità della ravvisat esigenze cautelari ed alla adeguatezza della applicata misura inframuraria, non avendo offerto il Tribunale per il riesame risposta adeguata alle censure che si erano mosse con il terzo dei motivi (pp. 8-9) della impugnazione di merito.
In particolare, non si spiega perché il pericolo di fuga non possa essere efficacemente contrastato con l’applicazione del c.d. braccialetto elettronico e non si confronta il ravvisato pericolo di recidiva con la circostanza che i fatt risalgono ad almeno tre anni prima dell’applicazione della misura cautelare, inoltre essendosi liquidata con poche battute la possibilità che il rischio di reiterazione possa essere scongiurato con l’applicazione degli arresti domiciliari.
Il Procuratore Generale della SRAGIONE_SOCIALE. nella requisitoria scritta del 30 gennaio 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
1.1. Quanto al primo tema che pone la Difesa, ossia la identificazione dell’odierno ricorrente con l’utilizzatore di un determiNOME telefonino criptato con il soprannome di “Frutta”, il ricorso, a ben vedere, non si confronta con tutti i dati che hanno consentito di identificare “Frutta” proprio con NOME COGNOME (cfr. p. 8 dell’ordinanza impugnata), trascurando del tutto sia l’impiego nel colloquio tra altri e riferito al “Frutta” del prenome NOME NOME il riferiment geografico esplicito alla località di Arluni (MI).
1.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, con cui si contesta l’aggravante della ingente quantità e la sussistenza dei gravi indizi in relazione ai tre reati contestati sub nn. 43), 58) e 63) dell’editto), si osserva quanto segue.
Quanto al tema dell’aggravante dell’ingente quantità, è da condividere il richiamo del P.G. al consolidato orientamento secondo cui «È inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento “de libertate” non rivolto a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari ma solo la configurabilità di determinate circostanze aggravanti, quando dall’esistenza o meno di tali circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni sulran” o sul “quomodo” della cautela, la legittimità della disposta misura» (Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, Picc:irillo, Rv. 279508; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, Fucito, Rv. 275028; Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, Inzerra, Rv. 260256; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502).
Sui singoli capi di accusa, avuto riguardo alla interpretazione delle conversazioni che si offre alle pp. 9-11 della ordinanza impugnata, il ricorso contiene, a ben vedere, note di dissenso soggettivo ma non denunzia violazioni di legge. In ogni caso, trascura il ricorrente che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica i relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
1.3. Quanto al terzo motivo, con oggetto l’aggravante della transnazionalità ex art. 61-bis cod. pen., debbono valere le stesse considerazioni già svolte al
punto che precede quanto alla carenza di interesse al riguardo da parte del ricorrente (cfr. Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508 et al.).
1.4. Con riferimento, infine, al quarto motivo (avente ad oggetto le esigenze cautelari e la scelta della misura più idonea, inclusa quella degli arresti domiciliari anche con applicazione del braccialetto elettronico), la decisione del Collegio risulta adeguatamente giustificata alla p. 12 del provvedimento impugNOME, ove si sottolinea la gravità dei fatti, i comprovati contatti con canali all’estero, le emerse esperienza e capacità “commerciale” dell’indagato, la sua spregiudicatezza e l’assenza di lecite fonti di reddito.
Ove è appena il caso di osservare che con riguardo alla eventuale possibilità di applicazione degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, è stato già condivisibilmente – puntualizzato che ove il giudice, per la pericolosità dell’indagato e per le peculiarità del fatto contestato, abbia ritenuto adeguata unicamente la custodia infrannuraria, non deve altresì motivare sull’inidoneità degli arresti pur connotati dall’adozione di tale braccialetto (v. Sez. 6, n. 1084 del 12/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265891; Sez. 3, n. 44634 del 24/04/2015, Querulo, Rv. 265494).
Essendo, in definitiva, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima congrua e conforme a diritto, indicata in dispositivo.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/02/2024.