Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14046 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14046 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza dell’8/8/2023 emessa dal Tribunale di Bari visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’avvocato COGNOME NOME, difensore di fiducia di COGNOME NOME, il quale conclude per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e, in subordine, l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Bari confermava l’ordinanza con la quale il ricorrente era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere,
disposta in relazione ai reati di cui agli artt. 74 e 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aggravati ex art.416-bis.1 cod. pen. .
In particolare, l’ordinanza in esame affermava che il ricorrente avrebbe partecipato all’associazione che deteneva il monopolio del traffico di stupefacenti nella città di Foggia, svolgendo stabilmente la funzione di spacciatore al dettaglio, cui veniva assegnata una quota mensile predeterminata di sostanza stupefacente.
Nelle more del giudizio di cassazione, la custodia cautelare in carcere veniva sostituita con gli arresti domiciliari.
Avverso la suddetta ordinanza il ricorrente formulava due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione dedita al narcotraffico, sottolineando plurimi aspetti problematici – specificamente dedotti dinanzi al Tribunale del riesame – ai quali era stata data una risposta contraddittoria.
In primo luogo, si sottolinea come le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME e COGNOME, non avevano in alcun modo fornito elementi utili per sostenere la partecipazione del ricorrente all’associazione. In particolare, COGNOME -indicato quale uno degli associati cui era affidato il compito di distribuire lo stupefacente agli spacciatori al dettaglio -avrebbe negato che COGNOME spacciasse per l’associazione. Più generiche sarebbero le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME COGNOME i quali, pur confermando che NOME era un piccolo spacciatore, non hanno saputo indicare se questi agisse nell’ambito associativo.
L’ulteriore motivo di contestazione attiene alla ritenuta incertezza circa l’identificazione del COGNOME nel soggetto che, nelle intercettazioni, viene sempre indicato come “NOME“, abitante nella zona comunemente indicata come INDIRIZZO Libanese. Sottolinea la difesa come l’attribuzione del soprannome sarebbe frutto di una mera intuizione investigtiv, basata sul fatto che NOME, oltre a chiamarsi NOME, abita effettivamente nel quartiere ove si trova INDIRIZZO Libanese e, inoltre, sarebbe di carnagione scura, il che giustificherebbe l’appellativo di NOME il NOME.
A fronte di tale generica supposizione, non vi sarebbero elementi oggettivi per affermare la correttezza dell’individuazione dell’indagato, soprattutto in considerazione del fatto che l’appellativo di “NOME il NOME” non è stato riferito neppure dai collaboranti, nonostante questi siano ben inseriti nell’ambiente criminale e abbiano trascorso anche periodi di detenzione con NOME.
Vi sarebbe, inoltre, un dato oggettivo che smentisce la tesi accusatoria
secondo cui nel corso di una conversazione risalente al 23 gennaio 2018, tra gli associati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il primo avrebbe riferito gli esiti dell’incontro avuto co “NOME“. Sostiene la difesa che, in quella data, COGNOME era ristretto in regime di detenzione domiciliari, quindi non poteva recarsi presso l’abitazione di RAGIONE_SOCIALE, così come sostenuto nell’ordinanza impugnata.
Infine, si sottolinea che i vertici della presunta associazione dedita al narcotraffico venivano tratti in arresto nel novembre del 2018 e, in ogni caso, la stessa descrizione dell’imputazione contestata al capo 53) delimita le condotte di spaccio fino al mese di marzo 2018. In mancanza di ulteriori condotte poste in epoca successiva, a maggior ragione a seguito dello smantellamento dell’associazione in conseguenza delle misure cautelari, non poteva sostenersi la permanenza del vincolo associativo fino all’attualità, così come indicato nel capo di imputazione.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, non essendo sufficiente che i proventi dello spaccio di droga fossero destinati al sodalizio mafioso, occorrendo che la condotta sia stata posta in essere per perseguire tale finalità.
Sottolinea il ricorrente che, pur a voler seguire l’impostazione recepita nell’ordinanza cautelare, COGNOME altro non era che uno spacciatore al dettaglio, obbligato a rifornirsi di stupefacente dall’associazione dedita al narcotraffico, senza che possa in alcun modo individuarsi nella sua condotta la volontà di agevolare l’associazione di stampo mafioso. In buona sostanza, i rapporti tra l’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. e quella dedita al narcotraffico erano del tutto ignorati dal ricorrente, il quale non beneficiava neppure di una remunerazione fissa che, in qualche modo, potesse lasciar ritenere che l’intera condotta venisse svolta in un contesto criminale più ampio e strutturato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La motivazione resa dal Tribunale del riesame presenta plurimi aspetti di contraddittorietà, a partire dalla valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboranti.
Nell’ordinanza impugnata, infatti, si afferma che i collaboratori di giustizia non aveva indicato il ricorrente quale uno spacciatore per “il sistema”, ma subito dopo si afferma che i “coimputati” avrebbero indicato l’appartenenza all’associazione di
COGNOME.
Quest’ultima affermazione, invero, si fonda su un’individuazione del ricorrente tutt’altro che certa, posto che COGNOME viene indentificato nel soggetto che, nel corso di plurime intercettazioni, è appellato come “NOME” residente nella zona di INDIRIZZO.
L’individuazione di NOME è frutto di una deduzione investigativa legata alla coincidenza tra il nome “NOME“, il fatto che il ricorrente sarebbe di carnagione scura e la residenza dell’indagato nella zona ove è ubicata INDIRIZZO.
Tali elementi, tuttavia, scontano un dato di intrinseca genericità, soprattutto ove si consideri che due di questi – il nome e il luogo di residenza – risultano necessariamente comuni ad una pluralità di soggetti e, al contempo, non vi è alcuna conferma che l’appellativo di “il NOME” sia effettivamente legato alla carnagione dell’indagato.
Invero, l’identificazione tra l’indagato e un soggetto indicato esclusivamente mediante un soprannome presuppone necessariamente l’acquisizione di elementi di riscontro oggettivi (quali l’intestazione di utenze telefoniche, fonti dichiarativ che attestino l’uso del soprannome, fatti oggettivi dimostrativi dell’individuazione) che nel caso di specie non sono stati forniti.
Occorre aggiungere che, nel caso di specie, non risulta in alcun modo che COGNOME sia conosciuto, nell’ambiente criminale, quale “NOME“, tant’è che i collaboratori di giustizia, pur dimostrando di conoscere bene il ricorrente ed avendo anche scontato periodi di detenzione con questi, non hanno in alcun modo confermato l’utilizzo dell’appellativo.
In conclusione, si ritiene che il Tribunale del riesame debba procedere ad una rivalutazione in ordine alle ragioni che hanno condotto all’individuazione di COGNOME quale “NOME“, superando la genericità dell’accertamento basato esclusivamente su dati che, per come esposti e in assenza di ulteriori elementi, appaiono di dubbia efficacia dimostrativa, sia pur secondo il parametro valutativo della fase cautelare.
Tale conclusione è ulteriormente avvalorata dal fatto che i restanti elementi indiziari emersi a carico di COGNOME non sono particolarmente significativi, ove si consideri che i collaboratori hanno riferito che il ricorrente era dedito allo spaccio, ma senza specificare se tale attività avvenisse per conto dell’associazione, tanto più che la loro conoscenza dei fatti sembrerebbe riferita a periodi pregressi rispetto a quelli in contestazione.
4. Le questioni dedotte in ordine all’attualità delle esigenze cautelari, nonchp quelle concernenti la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa,
devono ritenersi assorbite, posto che la loro valutazione presuppone necessariamente il previo accertamento della gravità indiziaria in merito al reato di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Alla luce di tali considerazioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame sui profili sopra evidenziati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari competente ai sensi dell’art. 309, co.7, c.p.p.
Così deciso 11 13 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr4idente