Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 639 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 639 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CALTAGIRONE il 20/06/1984
avverso la sentenza del 05/07/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Catania ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 26/04/2016 dal Tribunale di Caltagirone, rideterminando la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME previa riqualificazione del fatto ascritto da quello di rapina pluriaggravata sotto la specie di quello previsto e punito dagli artt. 624, 625, n.2, 61 nn.5 e 7, cod.pen. – in anni uno di reclusione ed € 200,00 di multa, con applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
La Corte territoriale ha premesso che l’imputato era stato rinviato a giudizio per il reato previsto dall’art. 628, commi 1, 2 e :3 e 61, n.7, cod.pen., in relazione al fatto descritto nell’imputazione e in base al quale il prevenuto (in concorso con NOME COGNOME per il quale si era proceduto separatamente), dopo aver danneggiato la porta di ingresso del negozio di NOME COGNOME, si era impossessato della somma contante di € 900,00 e di diversi strumenti per parrucchiere, intimando poi a NOME COGNOME di lasciarli andare dietro minaccia per la sua incolumità personale e scagliando nel contempo una bottiglia di vetro contro il proprietario del negozio, per poi darsi alla fuga.
La Corte ha quindi ritenuto infondato il motivo con il quale era stata dedotta l’inutilizzabilità dei verbali di identificazione fotografica, i quali erano stati acqui d’ufficio da parte del Tribunale e utilizzati quale base per le domande da porre ai testi NOME COGNOME i cui verbali di informazioni testimoniali resi nel corso delle indagini preliminari erano stati acquisiti al fascicolo del dibattimento su accordo delle parti – escussi ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen.; ritenendo che il relativo potere d’ufficio fosse stato correttamente attivato dal Tribunale, essendo lo stesso utilizzabile non solo per acquisire prove nuove ma ogni qual volta ritenuto necessario ai fini della decisione e, nel caso di specie, affinché i testimoni riferissero proprio in ordine al predetto riconoscimento fotografico.
La Corte ha quindi rilevato che il riconoscimento stesso, attese le modalità di acquisizione e la conferma in ordine allo stesso operata dai testi, doveva ritenersi pienamente utilizzabile e che non assumeva 0 carattere decisivo – al fine di infirmarne la credibilità – la differente indicazione, avvenuta in dibattimento, del nome di battesimo dei due imputati da parte del testi COGNOME anche in considerazione del fatto che l’escussione era avvenuta a oltre tre anni dai fatti oltre che dell’univocità dell’individuazione fotografica.
La Corte territoriale ha ritenuto fondato il motivo di appello inerente alla riqualificazione del fatto da rapina impropria a furto, atteso che il teste NOME aveva riferito che l’unico ad assumere atteggiamenti intimidatori era stato NOME COGNOME che l’odierno ricorrente non aveva invece assunto comportamenti
violenti o minacciosi e che non sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’art.116 cod.pen.; con conseguente riqualificazione del fatto nel senso suddetto, con le aggravanti previste dall’art.625, n.2 e 61, nn.5 e 7 cod.pen., attesi il danneggiamento della porta di ingresso, il valore del materiale sottratto e il tempo di notte in cui era stato commesso il fatto e c:on conseguente rideterminazione della pena previo giudizio di equivalenza tra le predette aggravanti e le circostanze attenuanti generiche.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b), c) ed e), cod.proc.pen., la violazione degli artt. 507, 431, 415-bis, 416 e 130, disp.att., cod.proc.pen.. Ha dedotto che il verbale di identificazione fotografica – non depositato dal P.m. negli atti visionabili ai sensi dell’art.415-bis cod.proc.pen. né nel fascicolo presentato per la richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art.416 cod.proc.pen. sarebbe irritualmente stato acquisito dal Tribunale ai sensi dell’art. 507 cod.proc.pen.; ciò in quanto il presupposto per l’attivazione del predetto potere officioso sarebbe stata la sola “novità” dei mezzi di prova da assumere, con la conseguenza che non sarebbe stato possibile rimediare attraverso l’utilizzo dei poteri medesimi al mancato e originario deposito di un atto di indagine; ritenendo altresì errata la motivazione adottata dalla Corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto corretta l’acquisizione essendo l’atto stato materialmente depositato nel fascicolo di indagine relativo al coimputato NOME COGNOME nei cui confronti il procedimento era stato definito ai sensi dell’art.444 cod.proc.pen.; ne sarebbe conseguita l’illegittimità dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen. e con la quale era stata disposta la nuova escussiorie dei testi NOME COGNOME le cui sommarie informazioni testimoniali erano state acquisite al fascicolo del dibattimento su accordo delle parti – non vertendosi in tema di nuove prove e deducendo come i testi non fossero stati sentiti dal P.rn. procedente in punto di identificazione del soggetto diverso da quello che era stato trovato all’interno del negozio e arrestato nell’immediatezza del fatto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo ha dedotto, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b), c.), ed e), cod.proc.pen., la violazione degli artt. 125 e 546 cod.proc.pen. – sotto il profilo della mancanza e manifesta illogicità della motivazione – e dell’art.192 cod.proc.pen., in tema di valutazione della prova, sotto il profilo del travisamento della prova stessa.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare fondati il secondo, terzo e quarto motivo di appello / attese le incongruenze e contraddizioni
delle dichiarazioni rese dai testi suddetti; in particolare, ha dedotto che il NOME avrebbe indicato in NOME COGNOME il soggetto che si era trovato fuori dal negozio mentre il COGNOME lo aveva identificato in quello all’interno dello stesso, con conseguente contraddizione in ordine al nucleo centrale del narrato; ha dedotto che il NOME, sia in sede di originaria escussione sia in quella disposta ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen., non aveva fornito informazioni univoche in ordine all’identificazione del soggetto rimasto al di fuorli del negozio e che anche il COGNOME non aveva reso dichiarazioni di sicuro rango accusatorio; ha quindi dedotto che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente attribuito valenza probatoria all’individuazione operata in sede di indagini preliminari.
Con il terzo motivo di impugnazione, ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b), c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.512 cod.proc.pen., Cost. e dell’art.6 della CEDU in relazione agli artt. 62.4, 625, n.2 e 61, n.5, cod.pen.; ha dedotto che la riqualificazione giuridica del fatto avrebbe determinato una omessa correlazione tra capo di imputazione e sentenza, privando la difesa del diritto di controdedurre e produrre prove a discolpa in ordine al fatto medesimo, atteso che nell’originaria contestazione non vi era alcun riferimento alla violenza sulle cose e alla minorata difesa; ha altresì dedotto, in relazione all’art.6 della CEDU, la diretta applicazione della direl:tiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali con specifico riferimento al diritto all’informazione sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del fatto.
Con il quarto motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, c:omma 1, lett.b), c) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 163 cod.pen., in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, atteso che la misura della sanzione concretamente inflitta avrebbe dovuto indurre la Corte ad applicare il beneficio medesimo.
Con il quinto motivo ha censurato la motivazione della Corte territoriale in punto di giudizio di mancata prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle ritenute circostanze aggravanti, in considerazione della non particolare rilevanza del danno patrimoniale e della scarsa partecipazione rispetto alla condotta.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente rilevato che per effetto dell’art.2, comma 1, lett.i), dl d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, il comma 3 dell’art.624 cod.pen. è stato sostituito dal seguente testo «Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis).»; nel caso di specie, risulta peraltro in atti la sussistenza della necessaria condizione di procedibilità.
Ciò premesso, il ricorso è fondato in ordine al primo e al secondo motivo di impugnazione – unitariamente esaminati – con conseguente assorbimento dei motivi inerenti alla corretta qualificazione giuridica del fati:o ascritto e trattamento sanzionatorio.
Mediante il primo motivo di impugnazione – replicando argomentazioni già poste alla base del primo motivo di appello – il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione, da parte del giudice di primo grado, del disposto dell’art.507 cod.proc.pen; violazione che, a propria volta, si sarebbe concretizzata mediante l’acquisizione officiosa dei verbali di individuazione fotografica sottoscritti dai testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME – già escussi in sede dibattimentale e, successivamente, mediante la nuova audizione dei medesimi al fine di deporre sul contenuto del predetto atto compiuto in sede di indagini preliminari.
Mentre, con il secondo motivo di impugnazione – con cui sono state riprodotte argomentazioni già spiegate nel secondo, terzo e quarto motivo di appello – il ricorrente ha censurato il complessivo ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale, per avere posto alla base dell’identificazione dell’imputato – di fatto le sole dichiarazioni dei suddetti testi relative alla conferma di quanto riferito in sede di individuazione fotografica, senza tenere conto della incertezza e della contraddittorietà delle dichiarazioni rese dagli stessi testimoni in sede di dibattimento.
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesa la loro stretta connessione logica, sono complessivamente fondati.
3.1 Nell’esposizione del primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale i verbali di identificazione fotografica non possono trovare ingresso nel fascicolo del dibattimento neanche all’esito del meccanismo delle contestazioni (Sez. 5, n.8423 del 16/10/2013, dep.2014, COGNOME, RV. 258944; Sez. 5, n. 57420 del 28/06/2018, COGNOME, Rv. 275337); fermo restando che l’esame testimoniale ben può svolgersi anche sulle modalità della pregressa individuazione al fine di procedere ad una valutazione globale di chi rende la dichiarazione (Sez. 2, n.
16204 del 11/03/2004, COGNOME, RV. 228777); ciò in quanto l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 6, n. 6582/08 del 5/12/2007, Major, RV. 239416).
Orientamento giurisprudenziale cui si riconnette quello, pure adombrato dalla difesa nella propria prospettazione, in forza del quale il riconoscimento fotografico che sia effettuato nel corso delle indagini prelliminari senza essere reiterato o confermato nel dibattimento deve ritenersi inutilizzabile, alla luce dell’inequivoco contenuto delle disposizioni degli artt. 431, 500, 511 e 512 cod. proc. pen., lette congiuntamente, e che osta ad esegesi che conducano a ritenere utilizzabili a fini di prova, al di là delle eccezioni tassativamente stabilite dal codice di rito, dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari al di fuori del contraddittorio delle parti e, dunque, in contrasto con quanto previsto dall’art. 111 Cost. (Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, Diana, Rv. 277471).
D’altra parte, a tale lettura giurisprudenziale, deve ritenersi direttamente connessa quella in base alla quale il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, può essere ritenuto utilizzabile a fini probatori soltanto nel caso in cui, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall’art. 500, comma 4, cod.proc.pen., risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo (Sez. F, Sentenza n. 43285 del 22/10/2019, Diana, Rv. 277471, sopra citata; Sez. 2, n. 10249 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 280772).
3.2 Sulla base delle predette considerazioni in punto di inutilizzabilità dei verbali di identificazione fotografica e della eccezionalità della acquisizione dei verbali medesimi al fascicolo del dibattimento, deve ritenersi che – sulla base di censura già proposta al giudice di appello e da questi rigettata – il modus operandi seguito dal giudice di primo grado non sia stato conforme ai principi processuali di riferimento.
Difatti, in primo luogo, deve ritenersi del tutto irrituale l’acquisizione di u atto di indagine – non utilizzabile e formatosi al di fuori del contraddittorio delle parti – mediante gli specifici poteri officiosi conferiti dall’art. 507 cod.proc.pen. attraverso i quali deve essere del tutto escluso che il giudice possa dare ingresso a una prova affetta da inutilizzabilità (Sez. 1, n. 27879 del 12/03/2014, COGNOME, Rv. 260249).
D’altra parte, tale irrituale acquisizione si riverbera – in accoglimento della relativa prospettazione difensiva – anche in punto di congruità del complessivo ragionamento probatorio seguito dai giudici di merito e con specifico riferimento alla valutazione delle dichiarazioni dei testi NOME e COGNOME in relazione all’ulteriore escussione disposta ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen..
Sul punto – in riferimento ad altra argomentazione difensiva – va rilevato che tale potere d’ufficio è esercitabile anche con riferimento al nuovo esame di un testimone già sentito, purché su circostanze diverse da quelle già oggetto di prova, poiché il requisito della “novità” si riferisce sia ai mezzi di prova non introdotti precedentemente, sia a quelli provenienti da fonti probatorie già esa m in ate ma su circostanze e contenuti differenti (Sez. 2, n. 54274 del 04/10/2016, Altana, Rv. 268857); come avvenuto nel caso di specie, in cui i testimoni sono stati chiamati a rispondere sullè, circostanzA, non oggetto della precedente deposizione, relativa alle modalità dell’individuazione operata nel corso delle indagini preliminari.
Peraltro, nel caso di specie, dal complessivo ragionamento probatorio seguito dai giudici di merito, si evince che l’affermazione di responsabilità dell’odierno imputato è stata fondata in modo esclusivo sul verbale dli individuazione fotografica redatto in sede di indagini preliminari – in riferimento alla dichiarazione dei testi che in sede dibattimentale hanno esclusivamente confermato di avere operato tale riconoscimento subito dopo la verificazione dei fatti – ponendosi quindi in contrasto con i suddetti principi in punto di limiti all’utilizzabil dell’individuazione fotografica ai fini dell’affermazione di penale responsabilità.
Ne consegue – con logico assorbimento dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso – che la sentenza impugnata appare affetta dal denunciato vizio di violazione di legge processuale.
Per l’effetto, la stessa deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Catania
Così deciso il 29 novembre 2023
Il Consigliere estensore