Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23159 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo manifesta illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità, con particolare riferimento alla prova che egli si trovasse alla guida in stato di alterazione psicofisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità in quanto sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata ed sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare, in relazione all’unico motivo, la Corte territoriale ha logicamente motivato la configurabilità del reato ex art. 187 d.lgs. del 30 aprile n. 285, 1992, dando atto delle modalità della condotta che dimostrano assenza di lucidità dato che l’imputato ha perso il controllo del mezzo e non ha adottato alcuna manovra di emergenza per evitare di uscire dalla strada e di urtare un ostacolo fisso ed evidente.
Richiamando proprio la giurisprudenza di legittimità invocata dal ricorrente secondo cui è necessaria la prova dell’attualità degli effetti dell’assunzione di stupefacenti, atteso che la sanzione penale colpisce non già chi guida dopo aver assunto droghe, bensì chi guida in stato di alterazione dipendente da siffatta assunzione – la Corte territoriale concorda con il primo giudice, che ha ritenuto che la prova sia stata raggiunta attraverso la combinazione del risultato degli esami medici (nel caso di specie, ematici) con altri elementi indiziari, quali la condotta d guida dell’imputato, che non è stato in grado di governare e mantenere il controllo
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della vettura, uscendo dalla carreggiata, percorrendo a grande velocità il marciapiede, travolgendo un cancello e fermandosi solo in conseguenza dell’impatto.
Correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che l’accertamento tecnicobiologico documenta la presenza di THC nel sangue, e che quest’ultimo accertamento è da ritenersi estremamente significativo per ricollegare l’alterazione psicofisica all’assunzione di droga, differentemente dall’esame sulle urine che è meno attendibile in proposito. Ciò perché la presenza di metaboliti nelle urine costituisce la fase successiva sia al momento dell’assunzione della sostanza, sia al periodo di efficacia del principio attivo, costituendo essa il momento in cui l’organismo umano espelle le “scorie” metaboliche conseguite all’assunzione della sostanza da parte del soggetto. Differente invece è l’accertamento ematologico che porta a risultato con sufficiente margine di certezza dal punto di vista tossicologico.
La pronuncia, in tal senso, si colloca nel solco del più recente orientamento di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 14919 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 275650 – 01 in motivazione, oltre che le recentissime Sez. 4 n. 3383 del 23/11/2023 dep. 2024, COGNOME, non mass., Sez. 4 n. 31514 del 19/4/2023, COGNOME, non mass. e Sez. 7 n. 10351 del 21/02/2014, COGNOME, non mass.), che ha posto l’accento sul fatto che, mentre gli accertamenti su campioni piliferi e sulle urine hanno una affidabilità limitata perché rilevano tracce di sostanze stupefacenti che restano depositate in tessuti e organi anche per un periodo di tempo prolungato, gli esami ematici hanno una affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze tossiche che, al momento dell’accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono inevitabilmente destinate a raggiungere il cervello ed il sistema nervoso e, proprio per questo, sono suscettibili di alterare lo stato cognitivo e i riflessi d soggetto, per cui bastano da soli a ritenere lo stato di alterazione.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 dei 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024