Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18174 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18174 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PESCARA il 22/05/1997
avverso la sentenza del 22/10/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME con le quali si è chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 2114 del 22/10/2024, ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara, con la quale COGNOME NOME era stato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 116, co. 15, codice strada, per avere guidato senza titolo abilitativo, siccome mai conseguito (in Montesilvano, 11 e 12 agosto 2021), con recidiva nel biennio, condannandolo alla pena di mesi due di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso il difensore del COGNOME formulando tre motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla mancata considerazione e menzione delle conclusioni rassegnate dal difensore in data 06/10/2024, nel pieno rispetto dei termini di cui all’art. 23 bis, legge n. 176/2020, avendo la Corte d’appello richiamato solo quelle rassegnate dal Procuratore generale. La difesa ha rilevato, peraltro, di avere inoltrato tali conclusioni a uno degli indirizzi, uno dei quali (depositoattioenaliEMAIL ), da utilizzarsi per il deposito di istanze inerenti a procedimenti aventi a oggetto misure cautelari, di prevenzione, revisioni, restituzioni in termini, ingiusta detenzione ricorsi per cassazione; l’altro (EMAIL, da utilizzarsi, invece, per le udienze. Nella specie, la difesa avrebbe utilizzato il primo indirizzo, pur sempre riferibile al medesimo ufficio giudiziario, non potendo tale evenienza essere sanzionata con la inammissibilità e inutilizzabilità delle conclusioni rassegnate mediante inoltro a un indirizzo, comunque censito nel provvedimento del DIGSIA, espressamente contemplante la coesistenza di plurimi indirizzi.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica del fatto, asseritamente errata con riferimento all’elemento costituivo della recidiva nel biennio, la cui prova non- può derivare dalla mera contestazione dell’illecito, essendo necessaria la sua definitività.
Infine, con il terzo motivo, ha detto vizio della motivazione quanto alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis, cod. pen., l’interpretazione della Corte territoriale denotando una preoccupante deriva in termini di responsabilità oggettiva, producendo il paradosso per il quale la guida senza patente, reato a ridotta pericolosità, rimarrebbe a priori escluso dall’ambito applicativo della norma a differenza di fattispecie ben più gravi.
Il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è generico e non autosufficiente, oltre che manifestamente infondato.
In tema di ricorso per cassazione, si è già chiarito che è inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza, il motivo inteso a denunciare l’omesso esame di una richiesta, della quale non vi sia menzione nel provvedimento impugnato, qualora non siano stati specificamente indicati, ai fini dell’inserimento nel fascicolo formato dalla cancelleria del giudice a quo ai sensi dell’art. 165 bis, co. 2, disp. att. cod. proc. pen., gli atti da cui possa desumersi che detta richiesta era stata invece ritualmente proposta (Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796 – 01). Nella specie, la difesa ha censurato la motivazione nella parte in cui non avrebbe dato conto dell’avvenuta presentazione delle conclusioni nel termine di legge.
Ma, in ogni caso, è la stessa difesa ad affermare che l’asserito inoltro delle conclusioni non menzionate nella sentenza impugnata sarebbe stato effettuato a un indirizzo diverso da quello previsto per le udienze.
Sul punto, sembra utile rilevare che questa Corte di legittimità ha già precisato, con riferimento ai motivi nuovi nel giudizio di cassazione, che essi sono inammissibili se trasmessi a una casella di posta elettronica certificata diversa da quella individuata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 24, co. 4, d.I.28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (Sez. 1, n. 9887 del 26/01/2021, Giambra. Rv. 280738 01; n. 17052 del 02/03/2021, Noise, Rv. 281386 – 01).
Peraltro, nel rito a trattazione scritta, i termini per il deposito delle conclusioni delle parti, pur in mancanza di espressa indicazione, devono ritenersi perentori, essendo imprescindibilmente funzionali a consentire il corretto svilupparsi del contraddittorio, sicché il deposito tardivo esime il giudice dal tenere conto delle conclusioni ai fini della decisione, fermo restando che l’imputato non può limitarsi a lamentare un generico pregiudizio del proprio diritto di difesa, dovendo dedurre un’effettiva incidenza delle conclusioni intempestive rispetto all’esito del giudizio (Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024, P., Rv. 286664 – 01, in fattispecie relativa a inosservanza del termine per il deposito delle conclusioni del procuratore generale presso la corte di appello, previsto dall’art. 23 bis, co. 2, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176).
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, rispondendo alla censura articolata dall’appellante, in ordine al mancato accertamento della definitività delle pregresse violazioni amministrative, ha precisato che l’imputato risultava, in base al certificato del casellario giudiziale, gravato da ben quattro precedenti penali specifici, per complessivi sette episodi di guida senza patente riferiti al biennio precedente ai giorni 11 e 12 agosto 2021.
Trattasi di argomento risolutivo, rispetto al quale del tutto ininfluente appare l’ulteriore argomentazione utilizzata dalla Corte di merito quanto alla prova della definitività dell’accertamento in sede amministrativa. La censura riproposta in ricorso, pertanto, risulta formulata a prescindere da un effettivo confronto con l’argomento dirimente considerato dai giudici del merito, sostanziandosi nella ripetizione della censura veicolata con l’appello, inerente alla necessità della definitività dell’accertamento amministrativo, senza nulla dedurre quanto al dato dirimente rappresentato dai precedenti penali specifici riferibili al periodo rilevante, cosicché deve ribadirsi quanto affermato dal diritto vivente a proposito della aspecificità dei motivi d’impugnazione: l’appello, così come il ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o d diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 -01).
Il terzo motivo è manifestamente infondato, il diniego del corrispondente motivo di gravame essendo stato correttamente motivato dalla Corte territoriale, alla stregua di principi ribaditi da questa stessa Sezione della Corte di legittimità sulla ontologica incompatibilità del reato per il quale si procede con la causa di non punibilità invocata a difesa (Sez. 4, n. 17841 del 12/03/2024, COGNOME, n.m.; n. 48515 del 05/10/2023, COGNOME, n.m.; n. 28657 del 05/07/2024, COGNOME, Rv. 286812 – 01), essendosi precisato che la condotta di reato è sanzionata solo ove essa risulti reiterata nel biennio.
E, peraltro, sul significato da attribuirsi alla nozione di “condotta reiterata”, espressamente inclusa dal legislatore tra i reati ostativi di cui all’art. 131 bis, comma 4, cod. pen., soccorre lo stesso diritto vivente, per il quale «…la serialità è elemento della fattispecie, sufficiente a. configurare l’abitualità, senza necessità di verificare la presenza di distinti reati» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, in motivazione).
Nella specie, la manifesta infondatezza della censura risiede anche nel fatto che il deducente si è limitato a riprodurre e reiterare gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confronto critico con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 27816 del
22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01), così avendo solo apparentemente denunciato un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01). Infatti, il giudice d’appello ha espressamente dato conto di plurime condotte (ben sette), inerenti alla stessa
fattispecie di reato, per fatti commessi nel biennio di rilevanza. Ed è in relazione a tali plurime violazioni che quel giudice ha fondato il giudizio di abitualità che osta al
riconoscimento della causa di non punibilità di cui si discute (Sez. 6, n. 6551 del
09/01/2020, COGNOME Rv. 278347 – 01, in cui si è precisato, per l’appunto, che il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche
successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente; 4,
n. 14073 del 05/0372024, Campana, Rv. 286175 – 02).
5. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 07 maggio 2025