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Guida senza patente e sorveglianza: quando è reato

La Corte di Cassazione ha stabilito che la depenalizzazione della guida senza patente non si applica ai soggetti sottoposti a sorveglianza speciale. Per questi ultimi, la condotta configura un reato autonomo previsto dall’art. 73 del D.Lgs. 159/2011. Il ricorso dell’imputato, che sosteneva l’avvenuta depenalizzazione del fatto, è stato dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida senza Patente: Non Sempre un Semplice Illecito Amministrativo

La guida senza patente è una violazione che, a seguito della depenalizzazione del 2016, è stata trasformata in un illecito amministrativo. Tuttavia, questa regola generale non si applica a tutti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per chi è sottoposto a misure di prevenzione, come la sorveglianza speciale, mettersi al volante senza un titolo di guida valido costituisce ancora un reato a tutti gli effetti. Analizziamo questa importante decisione per capire le ragioni giuridiche e le conseguenze pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con l’obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza. Nonostante la revoca della patente, questa persona è stata sorpresa alla guida di un motociclo. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello lo avevano condannato per il reato previsto dall’art. 73 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), che punisce la violazione delle prescrizioni imposte con le misure di prevenzione.

La Tesi Difensiva: Appello alla Depenalizzazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la sua condotta non dovesse più essere considerata un reato. La tesi difensiva si basava sul Decreto Legislativo n. 8 del 2016, che ha depenalizzato il reato di guida senza patente previsto dall’art. 116 del Codice della Strada. Secondo il ricorrente, tale depenalizzazione avrebbe dovuto estendersi anche alla sua situazione, portando a una doverosa assoluzione.

L’Analisi della Cassazione sulla Guida senza Patente del Sorvegliato Speciale

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno chiarito che la depenalizzazione operata nel 2016 riguarda esclusivamente la contravvenzione generale prevista dal Codice della Strada e non può influire sulla specifica fattispecie di reato contestata.

Il Reato Autonomo Previsto dal Codice Antimafia

Il punto centrale della decisione è che l’art. 73 del D.Lgs. 159/2011 configura un reato autonomo. Questo significa che la norma non punisce la guida senza patente in sé, ma la violazione degli obblighi imposti a una persona considerata socialmente pericolosa e, per questo, sottoposta a una misura di prevenzione. La condotta di guidare senza abilitazione, per un sorvegliato speciale, rappresenta una trasgressione diretta del regime di controllo a cui è sottoposto, dimostrando una persistente pericolosità sociale che la legge intende reprimere penalmente.

I Precedenti Giurisprudenziali e la Conferma della Corte Costituzionale

La Cassazione ha rafforzato la propria posizione richiamando un suo precedente consolidato (sentenza n. 8223 del 2018) e, soprattutto, una recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 211 del 2022). Quest’ultima ha esaminato e confermato la piena legittimità costituzionale dell’art. 73, sottolineando che la scelta di mantenere rilevanza penale per questa specifica condotta è una decisione ragionevole del legislatore, volta a tutelare la sicurezza pubblica attraverso un più severo controllo dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra l’illecito comune e il reato specifico. La depenalizzazione ha interessato la violazione generica, commessa da un cittadino comune. Al contrario, la condotta del sorvegliato speciale assume una gravità diversa, perché si inserisce in un contesto di pericolosità sociale già accertata. La guida senza patente, in questo quadro, non è una mera infrazione amministrativa, ma un sintomo della mancata adesione al percorso di prevenzione imposto, giustificando una risposta sanzionatoria di natura penale. Dichiarare il ricorso inammissibile ha comportato, per il ricorrente, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma un importante principio di diritto: lo status di ‘sorvegliato speciale’ modifica la qualificazione giuridica di alcuni comportamenti. La guida senza patente, per questi soggetti, non è un semplice illecito da sanzionare con una multa, ma un reato che può portare a una condanna penale. La decisione sottolinea la volontà del legislatore e della giurisprudenza di mantenere un regime più rigoroso per chi è sottoposto a misure di prevenzione, considerando le loro azioni come potenzialmente più pericolose per la collettività.

La depenalizzazione della guida senza patente si applica anche a una persona sottoposta a sorveglianza speciale?
No, la depenalizzazione del reato di guida senza patente, prevista dal D.Lgs. n. 8 del 2016, non si estende all’ipotesi in cui la condotta sia posta in essere da una persona sottoposta a una misura di prevenzione personale.

Perché la guida senza patente da parte di un sorvegliato speciale è considerata un reato autonomo?
È considerata un reato autonomo perché l’articolo 73 del D.Lgs. n. 159 del 2011 punisce specificamente la violazione delle prescrizioni imposte ai soggetti sottoposti a misure di prevenzione. La guida senza patente, in questo contesto, è vista come una trasgressione di tali obblighi e non come una semplice infrazione al Codice della Strada.

Quali sono le conseguenze se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso determinata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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