Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17795 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 13/03/1987
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso; Napoli, che ha concluso per letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di l’annullamento della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 ottobre 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza con cui il 4 maggio 2023 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di guida senza patente, condannandolo, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di arresto ed € 3.800,00 di ammenda, nonché al pagamento delle spese processuali.
1.1. Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, il giorno 4 ottobre 2021, NOME COGNOME si poneva alla guida di un’autovettura modello Nissa Micra in Napoli, senza aver conseguito la patente.
L’imputato aveva commesso analoga violazione il 16 dicembre 2020, come dimostrato dalla testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria e dalla documentazione acquisita.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che i giudici di merito hanno fondato loro convincimento su elementi non direttamente percepiti dal teste escusso (in ordine alla reiterazione della condotta), senza assumere la fonte diretta, e ciò pure a fronte della richiesta avanzata nel corso del dibattimento.
Tali elementi di prova, quindi, debbono ritenersi inutilizzabili ex art. 195 cod. proc. pen..
Inoltre, in conseguenza di ciò risultano violati i principi costituzionali (art. 11 comma 4, 27, comma 2 e 24 comma 2 Cost.) e convenzionali (artt. 6 CEDU e 14 PIDCP), in tema di giusto processo.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 133 cod. pen., in quanto dall’esame del comportamento processuale, delle condizioni di vita e delle caratteristiche del fatto i giudici di merito avrebbero dovuto trarre elementi per mitigare la risposta sanzionatoria.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Quanto alla recidiva nel biennio i giudici di merito, infatti, hanno ricavato la prova della precedente violazione e della definitività dell’accertamento sia dalla documentazione in atti, sia dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste di polizia giudiziaria (pp. 1 e 2 sentenza del Tribunale; pp. 3 e 4 sentenza ricorsa), in tal modo dovendosi escludere qualsiasi violazione del diritto di difesa, solo genericamente prospettata dal ricorrente.
Al riguardo il Collegio intende inoltre ribadire il consolidato orientamento secondo il quale nel reato di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, la recidiva è integrata tanto dal precedente giudiziario specifico, quanto da una precedente violazione amministrativa, purché definitivamente accertata (Sez. 4, n. 26795 del 30/05/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 27398 del 06/04/2018, Dedominici, Rv. 273405 – 01; Sez. 4, n. 48779 del 21/09/2016, S., Rv. 268247-01).
Contrariamente a quanto si afferma in ricorso, la prova della definitività dell’accertamento, a sua volta, non richiede necessariamente l’escussione dell’agente di polizia giudiziaria che ha proceduto al precedente controllo.
Costituisce ius receptum il principiò secondo cui per recidiva nel biennio deve intendersi l’accertamento del pregresso illecito amministrativo, non essendo necessario produrre un’attestazione documentale della definitività dell’accertamento del pregresso illecito, ed essendo sufficiente un minimo di prova (come ad esempio l’allegazione del verbale di contestazione, la dimostrazione dell’invio per l’iscrizione a ruolo oppure la testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria) unitamente alla mancata allegazione da parte del ricorrente di elementi contrari (cfr., Sez. 7, n. 30502 del 10/07/2024, COGNOME, Rv. 286879 – 01; Sez. 7, ord. n. 24220 del 29/5/2024, Fiume, non mass.; Sez. 7, n. 11916 del 14/03/2024, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286200 – 01; Sez. 7, ord. n. 8508 del 14/02/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 40851 del 13/09/2023, Triolo, non mass.).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha richiamato sia il contenuto della testimonianza dell’operante di polizia (che ha riferito in ordine al precedente accertamento, come emerso dalla consultazione in banca dati) sia il contenuto dello stesso verbale di contestazione (p. 1 sentenza del Tribunale) e della nota del Dipartimento di pubblica sicurezza.
In assenza di elementi comprovanti la non definitività di detta contestazione, che l’imputato non ha nemmeno indicato, i giudici hanno ritenuto correttamente integrato il requisito della recidiva nel biennio.
2.2. Deve inoltre escludersi la violazione dell’art. 195 cod. proc. pen., ipotizzata in ricorso.
Anche in questo caso, il ricorrente non si confronta con il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo il quale la testimonianza dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria che riferisca in ordine agli accertamenti compiuti attraverso dati risultant dall’anagrafe tributaria o da altre banche dati costituisce piena prova dei fatti accertati (Sez. 4, n. 30238 del 13/07/2021, COGNOME, Rv. 281742 – 01; Sez. 3, n. 12026 del 11/02/2015, Resimini COGNOME, Rv. 263002 – 01).
Né il ricorrente chiarisce le ragioni per le quali i giudici non avrebbe potuto valorizzare, oltre alle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria, la pr documentale (tra cui lo stesso verbale del 16 dicembre 2020), da cui pure sono stati tratti elementi di valutazione sulla definitività dell’accertamento.
2.3. Quanto alle ulteriori doglianze (pp. 3 e 4 ricorso), premesso che la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (art. 60 comma 1, lett. c, cod. proc. pen., citato a p. 1 del ricorso), il Collegio richiama costante insegnamento di questa Corte regolatrice, anche nella sua più autorevole composizione, secondo cui non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione, pp. 30 – 31; Sez. 4, n. 37650 del 03/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 22595 del 17/04/2024, Galluzzo, non mass.; Sez. 5, n. 4944 del 03/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282778 – 01; Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Leone, Rv. 279059 – 01; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261551 – 01).
La violazione di norme della Costituzione non è infatti prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen., e pertanto può solo costituire fondamento di questione di legittimità costituzionale, che nel caso di specie non risulta essere proposta.
Tale ultima circostanza consente altresì di escludere che la presente decisione si ponga in contrasto con l’orientamento, pure espresso in alcune pronunce di legittimità, che ritiene ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca esclusivamente l’illegittimità costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 25005 del 07/05/2024, COGNOME, Rv. 286713 02).
Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riguardo alla dedotta violazione di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a sua volta proponibile in ricorso unicamente a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna, poiché le norme della Convenzione EDU, così come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, rivestono il rango di fonti interposte, integratrici del precetto di cui all’art.
comma 1, Cost. (sempre che siano conformi alla Costituzione e siano compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).
Deve, pertanto, ritenersi non consentito il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale, che nel caso in esame non risulta proposta.
Anche il secondo motivo, sul trattamento sanzionatorio, è inammissibile.
Il motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen. (invocando genericamente l’eccessività della pena inflitta: p. 5), non è consentito in sede di legittimità, in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; conf., Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01).
D’altra parte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Ciò posto il Collegio, nel ribadire il principio di diritto secondo cui l’obbligo una motivazione rafforzata in tema di trattamento sanzionatorio sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01), osserva che i giudici di merito hanno ritenuto l’insussistenza di elementi valutabili al fine di mitigare una pena comunque inferiore rispetto al medio edittale.
Pena determinata richiamando l’attenzione sugli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero le modalità dell’azione e l’assenza di ogni forma di resipiscenza.
Inoltre, il ricorrente propone una doglianza aspecifica, non avendo in alcun modo indicato le ragioni concrete che avrebbero invece dovuto orientare verso un più favorevole trattamento sanzionatorio, limitandosi ad opporre un generico riferimento alle caratteristiche del fatto, alle condizioni di vita ed alla condo processuale (p. 5 ricorso).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de
ammende.
Così deciso in Roma, 6 maggio 2025
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