Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11917 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SCIACCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DIECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sciacca del 2 ottobre 2020, ha concesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e ha confermato la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre di arresto ed euro milleduecento di ammenda nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e 2-sexies, C.d.S. (in Sciacca il 5 april 2018).
Il COGNOME ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’identificazione dell’imputato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzioNOMErio.
2.5. Con memoria del 5 febbraio 2024, la difesa del COGNOME insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso, reiterando le argomentazioni che escluderebbero la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.
Deduce, peraltro, che il reato contestato è prescritto.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, in tema di valutazione della prova indiziaria, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile (Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Maz2:eo, Rv. 272995, in fattispecie relativa al reato di fuga del conducente coinvolto in un sinistro stradale con feriti, in cui RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva ritenuto raggiunta la prova dell’identificazione dell’imputato quale conducente dell’auto che aveva cagioNOME l’incidente, in quanto egli, successivamente al sinistro, si era recato a ritirare la targa del veicolo, perduta nel corso dell’incidente, senza manifestare, né in quella sede né nel processo, circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo; Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220).
In tema di valutazione della prova il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, Rv. 252066).
Nella fattispecie in esame, pertanto, la Corte di appello ha operato un apprezzamento unitario degli indizi, per verificare la loro confluenza verso un significato univoco; ha ritenuto pienamente accertato che il COGNOME fosse alla guida dell’autovettura, in quanto, alle ore 4.50 di notte, gli organi di P.G. avevano notato l’auto Smart procedere ad alta velocità, l’avevano inseguita e, senza perderla di vista (salvo qualche secondo), avevano osservato il NOME mentre scendeva dall’auto (vedi le dichiarazioni del teste di NOME COGNOME); dopo averlo fermato avevano potuto constatare che il predetto aveva ingerito sostanze alcoliche. Rilevavano che non v’erano altri soggetti presenti nell’autovettura, nel momento in cui il COGNOME era sceso dalla stessa.
Da tali elementi di conoscenza, con motivazioni prive di aporie logiche, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che al momento del fatto di cui all’imputazione il COGNOME avesse guidato l’auto al momento dell’incidente.
Il ricorrente si limita a prospettare una tesi alternativa che, con motivazione lineare e coerente la Corte distrettuale ha ritenuto del tutto inverosimile alla luce dei molteplici elementi probatori sopra sinteticamente riportati.
In ordine al secondo motivo di ricorso, va osservato che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizi sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 de 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incrimiNOME, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275940).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, d
gr
conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte distrettuale, infatti, con motivazione lineare e coerente, ha reputato decisivi, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, il tasso alc lemico elevato (1,21 g/l) sensibilmente superiore al tasso soglia (0,8), la guida dell’auto in zona abitata e ad alta velocità in misura da determinare un elevato pericolo per l’incolumità propria e di terzi.
Si tratta di circostanze indiscutibilmente significative, sotto entrambi i profili, ch rientrano tra i parametri espressamente considerati dall’art. 133 cod. pen..
Il ricorrente si limita ad evidenziare la sussistenza di alcuni elementi a sé favorevoli, ma inidonei a sminuire la valenza dell’articolato apparato motivazionale.
In particolare, le censure inerenti alle incertezze sull’esatta determinazione del tasso soglia sono del tutto generiche e prive di riferimenti alla fattispecie concreta; in ogni caso, le ulteriori argomentazioni prospettate dalla Corte territoriale risultano decisive ai fini della valutazione di insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità invocata.
Quanto al terzo motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purc:hé non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del
reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenzoali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce della mancanza di ogni segno di resipiscenza, del tasso alcolemico elevato e della guida di un’autovettura, in stato di ebbrezza, ad alta velocità.
I rilievi difensivi non integrano precise carenze argomentative, in quanto il ricorrente non indica specifici elementi di segno positivo idonei a scalfire la valutazione complessiva ed esauriente della vicenda criminosa, in quanto la tesi alternativa prospettata è stata incentrata esclusivamente sulla presenza di sintomi di resipiscenza.
6. In relazione al quarto motivo di ricorso, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
La pena è stata irrogata in misura prossima al minimo edittale, per cui, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, l’entità della pena irrogata è stata correttamente giustificata in riferimento alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputato, c evidente riferimento agli elementi già sopra specificati in relazione all’esame delle altre doglianze.
Né appare obbligatorio che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
Contrariamente a quanto indicato nella memoria difensiva, il termine di prescrizione non era maturato alla data di deliberazione della sentenza di secondo grado.
Al riguardo, va evidenziato che, ai fini della determinazione della data di prescrizione del reato, va calcolato il periodo di sospensione di anni uno e mesi sei ex I. 23 giugno 2017, n. 103.
Alla data di commissione del reato, infatti, era in vigore la disciplina di cui all’ar 1, comma 11, I. n. 103 del 2017, del quale si riporta qui di seguito il testo, nella parte rilevante ai fini della presente decisione: «11. All’articolo 159 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: b) dopo il primo comma sono inseriti í seguenti: «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi: 1) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi». Il periodo di sospensione appena indicato va calcolato per tutti i reati commessi dal 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della I. n. 103 del 2017, solo fino al 31 dicembre 2019, in quanto per i reati commessi in epoca successiva a tale ultima data l’intera disciplina è stata innovata dalla legge 27 settembre 2021, n. 134.
Il dato della successiva abrogazione del citato secondo comrna dell’art. 159 cod. pen. disposta dall’art. 2, comma 1, lett. a), I. 9 gennaio 2019, n. 3 è irrilevante. La disciplina in questione, infatti, è stata modificata dall’art. 334 bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 2, comma 2, I. n. 134 del 2021, mediante la previsione dell’istituto dell’improcedibilità dell’azione penale, che è applicabile ai soli reati commessi dalla data del 1° gennaio 2020. Tale nuova normativa non è applicabile alla fattispecie in esame, in quanto tale istituto riveste natura processuale e, conseguentemente, non è applicabile in via retroattiva (Sez. 7, Ord. n. 43883 del 19/11/2021, Cusmà Piccione, Rv. 283043-02; Sez. 5, n. 334 del 05/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282419).
Per effetto del suindicato periodo di sospensione della prescrizione, il termine finale di prescrizione va individuato nella data del 5 ottobre 2024 e, cioè, in epoca successiva alla data di deliberazione della sentenza di secondo grado (22 giugno 2023).
Al riguardo, deve rilevarsi che l’inammissibilità del ricorso per Cassazione per manifesta infondatezza e per la presentazione di motivi non proponibili in sede di legittimità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2024.