Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11918 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
a
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 29 giugno 2021, con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro millecinquecento di ammenda, sostituita con centottantasei giorni di lavoro di pubblica utilità e alla sanzione accessoria consistente nella sospensione della ‘patente di guida per anni due, in relazione al reato di cui all’art. 186, co. 2, lett. c), C.d.S.
Il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per mancanza di elementi probatori validi dai quali desumere che il COGNOME guidava in stato di alterazione causato da abuso di alcool, essendo l’esito del test etilometrico inficiato a causa del considerevole lasso di tempo intercorso tra il suo espletamento e il fermo da parte dei militari. Tale considerazione, già fatta presente nei motivi di appello, non risultava essere stata correttamente vagliata dai Giudici del gravame, i quali hanno motivato per relationem.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa declaratoria di prescrizione del reato.
Con riferimento al primo motivo di ric:orso, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in ordine all’intervallo temporale fra la guida e la sottoposizione al test alcolemico, in presenza di un accertamento strumentale del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato, fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento (Sez. 4, n. 50973 del 05/07/2017, Denicolò, Rv. 271532; Sez. 4, n. 24206 del 04/03/2015, COGNOME, Rv. 263725).
In proposito si è argomentato che il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolemico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento (Sez. 4, n. 13999 del 11/03/2014, COGNOME, Rv. 259694) e, tuttavia, che il decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test rende necessario verificare, ai
fini della sussunzione del fatto in una delle due ipotesi di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e c), C.d.S., la presenza di altri elementi indiziari (Sez. 4, n. 47298 d 11/11/2014, Ciminari, Rv. 261573).
Quest’ultima affermazione, peraltro, non comporta necessariamente che, dato un accertamento strumentale a distanza di un tempo non breve dall’atto di guida (durata invero difficile da determinare una volta per tutte), sia necessario aggiungere elementi indiziari per ottenere il risultato di “prova sufficiente” dell’accusa: si dev infatti, tenere conto anche della distribuzione degli oneri probatori e se, non v’è alcun dubbio che l’accusa sia tenuta a dare dimostrazione della avveruta integrazione del reato, offrendo la prova di ciascuno e tutti gli elementi essenziali dell’illecito, è altr tanto indubbio che tale prova, per espressa indicazione normativa (e per radicata interpretazione giurisprudenziale), è già data dall’esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento; la presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell’accertamento deve essere oggetto di allegazione ad opera dell’imputato, al quale compete di dare la dimostrazione dell’insussistenza dei presupposti del fatto tipico (Sez. 4, n. 6774 del 13/12/2023, dep. 2024, Damu, non rnassimata).
Infine, si è affermato che, in tema di guida in stato di ebbrezza, è immune da censure la motivazione della sentenza che, ai fini del riconoscimento della responsabilità per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S., ritenga provato lo st di ebbrezza sulla base dei soli rilevamenti effettuati tramite alcoltest circa trenta minuti dopo la condotta di guida incriminata, in assenza di indici dell’inattendibilità del test (Sez. 7, Ord. n. 8875 del 12/02/2020, Crivaro, Rv. 279091; Sez. 4, n. 42004 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277689, fattispecie in cui la Corte ha precisato che la presenza di altri elementi indiziari dello stato dli ebbrezza si rende necessaria solo in caso di decorso di un intervallo di tempo di alcune ore tra la condotta di guida e l’esecuzione del test).
Ciò posto sui principi di diritto operanti in materia, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto pienamente dimostrativi dello stato di ebbrezza del COGNOME i seguenti elementi: a) gli inequivoci sintomi di ubriachezza constatati dagli operanti di P.G. consistenti in alito vinoso, occhi lucidi ed equilibrio precario; b) le misurazioni attestanti il tasso alcolemico di 1,65 g/I ed 1,79 g/I effettuate rispettivamente a 12 e a 18 minuti dal momento del fatto; essa ha altresì correttamente chiarito che il maggiore tasso alcolemico riscontrato nella seconda prova era logicamente attribuibile alla vicinanza temporale tra il fatto e l’accertamento.
Il ricorrente si limita a rilievi generici inerenti all’andamento generale della cd. curva di Widmark, senza allegare elementi concreti, tali da disattendere le risultanze sopra riportate.
In ordine al secondo motivo di ricorso, va osservato che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizi sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 d 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275940).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, d conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei principi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte distrettuale, infatti, ha reputato decisive, ai fini della valutazione de grado di offensività della condotta, le gravi modalità del fatto, consistito nell’ave l’imputato guidato un’autovettura in profondo stato di alterazione alcolica, vicina alla soglia massima, determinando un elevato pencolo anche per l’incolumità degli altri guidatori.
Si tratta di circostanze indiscutibilmente significative e rilevanti in relazione a profili oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 133 cod. pen.
Il ricorrente si limita ad evidenziare l’ora tarda e la zona poco trafficata dell’epi sodio criminoso, da ritenere entrambe censure in fatto, senza confrontarsi con l’ampio apparato argomentativo della sentenza impugnata.
Quanto al terzo motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del
13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce dei numerosi precedenti penali, tra i quali uno specifico e risalente ad epoca recente.
Il ricorrente invoca la concessione delle attenuanti ex art. 52 bis cod. pen., al fine di adeguare la pena alla gravità del fatto’ censura da ritenere generica e non correlata alla fattispecie in esame.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto il termine di prescrizione non era maturato alla data di deliberazione della sentenza di secondo grado.
Al riguardo, va evidenziato che, ai fini della determinazione della data di prescrizione del reato, va calcolato il periodo intercorrente dalla data di scadenza del termine ordinario di quindici giorni per il deposito della sentenza di primo grado e, cioè, dal 14 luglio 2021 fino al 17 maggio 2023 (data di deliberazione della sentenza di secondo grado), da ridurre ad anni uno e mesi sei.
Alla data di commissione del reato, infatti, era in vigore la disciplina di cui all’ar 1, comma 11, I. 23 giugno 2017, n. 103, del quale si riporta qui di seguito il testo, nella parte rilevante ai fini della presente decisione: «11. All’articolo 159 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: b) dopo il primo comma sono inseriti í seguenti: «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi: 1) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se
emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi». Il periodo di sospensione appena indicato va calcolato per tutti i reati commessi dal 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della I. n. 103 del 2017, solo fino al 31 dicembre 2019, in quanto per i reati commessi in epoca successiva a tale ultima data l’intera disciplina è stata innovata dalla legge 27 settembre 2021, n. 134. Pertanto, oltre il termine massimo di prescrizione di cinque anni, di cui agli artt. 157 e 161 cod. pen., vanno calcolati altresì i seguenti periodi di sospensione: A) sessanta giorni in relazione al periodo di sospensione per impedimento del difensore; 4 B) centotrentaquattro giorni dalla data di scadenza del termine di novanta giorni fissato dal Giudice per il deposito della sentenza di primo grado e, cioè, dal 1° settembre 2022 fino al 13 gennaio 2023 (data di deliberazione della sentenza di secondo grado). Per effetto della somma dei suindicati periodi di sospensione della prescrizione, il termine finale di prescrizione va individuato nella data del 3 giugno 2024 e, cioè, in epoca successiva alla data di deliberazione della sentenza di secondo grado (7 febbraio 2023).
Il dato della successiva abrogazione del citato secondo comma dell’art. 159 cod. pen. disposta dall’art. 2, comma 1, lett. a), I. 9 gennaio 2019, n. 3 è irrilevante. La disciplina in questione, infatti, è stata modificata dall’art. 334 bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 2, comma 2, I. n. 134 del 2021, mediante la previsione dell’istituto dell’improcedibilità dell’azione penale, che è applicabile ai soli reati commessi dalla data del 10 gennaio 2020. Tale nuova normativa non è applicabile alla fattispecie in esame, in quanto tale istituto riveste natura processuale e, conseguentemente, non è applicabile in via retroattiva (Sez. 7, Ord. n. 43883 del 19/11/2021, Cusmà Piccione, Rv. 283043-02; Sez. 5, n. 334 del 05/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282419).
Ne consegue che alla data dell’emissione della sentenza impugnata, oltre ai cinque anni di prescrizione massima calcolata ex artt. 157 e 161 cod. pen. devono aggiungersi anni uno e mesi sei ai sensi delle disposizioni citate della I. n. 103 del 2017, con conseguente fissazione del termine di prescrizione alla data del 23 marzo 2024.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 14 marzo 2024.